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     n. 8 anno 2024

Solitudine e mondo del lavoro. Qual'è il punto di contatto?

di Simona Alini, Dario Migliavacca e Sefora Rosa

Il lavoro è di per sé socialità, relazioni, condivisione. Sul posto di lavoro nascono collaborazioni, amicizie persino amori e qualche volta conflitti. Al lavoro non si è mai soli. Eppure in un contesto, quello lavorativo, in continuo, significativo e rapido combiamento ci arrivano anche storie che parlano di solitudine. Le abbiamo raccolte e volute raccontare. A volte si tratta di opportunità mancate di inclusione o di scarsa valorizzazione delle diversità. Molte ricerche evidenziano infatti come gli appartenenti a categorie sottorapresentate sperimentino piu frequentemente l’esperienza della solitudine, anche sul posto di lavoro. A volte invece si tratta di solitudini piu sottili, che il più delle volte si fatica a riconoscere e a comprendere. Per questo motivo le abbiamo chiamate solitudini invisibili e abbiamo voluto dare voce attraverso quattro esperienze di chi ha sperimentato o sperimenta l’isolamento sotto diverse forme. La solitudine di un espatriato che deve fare i conti con quella sottile nostalgia che lo coglie la sera prima di dormiree che è alla base di un senso di inadeguatezza crescente che spesso lo limita. La storia di una donna in carriera che si accorge solo nel momento in cui viene lasciata dal marito che ha investito troppo nel lavoro e troppo poco nelle relazioni. C’è chi poi fa i conti con una terribile diagnosi, quella di una malattia invisibile; la fatica nel tenerla nascosta sul posto di lavoro e la solitudine che ne consegue. C’è anche posto per una solitudine intesa come distanza fra le persone che progressivamente cresce fino a diventare lontananza, incomprensione, vuoto. Come nella storia di una coppia di genitori in carriera alle prese con un figlio adolescente che si è perso e loro insieme a lui. Storie di vita che raccontano un allarme reale e di cui poco si parla e per cui ancor meno si fa.

Si perchè, ironia della sorte, in una società iperconnessa come quella in cui viviamo la solitudine è una delle grandi emergenze e sebbene non sia un prodotto del Covid-19, la pandemia ha indubbiamente aggravato la situazione e ci ha resi più consapevoli del problema.

La solitudine è un’emozione personale ma il suo effetto si riverbera sugli altri, sul team, l’organizzazione e la comunità. La solitudine ha spesso a che fare con la sensazione di essere soli e non necessariamente con il fatto di non avere contatti o interazioni. Spesso è un tema di qualità, non di quantità. La solitudine è universale, non esiste il profilo della persona sola. A tutti capita di sperimentarla ma non tutti sono equipaggiati allo stesso modo per affrontarla.

Ma perchè questo tema dovrebbe interessare alle aziende? 

Senza relazioni interpersonali supportive e che nutrano le persone si isolano, riducono il loro contributo al minimo indispensabile. La solitudine percepita, che sia sul posto di lavoro o nella vita personale, incide sul benessere generale della persona, sulla sua capacità di collaborare e di contrubuire e genera gradualmente prestazioni lavorative inferiori. Le aziende si sono accorte dell’impatto, anche economico, di una tematica in apparenza solo personale e l’attenzione verso il tema cresce anche se non di pari grado rispetto alla diffusione del fenomeno. Una ricerca di Gallup evidenzia come aziende caratterizzate al loro interno da un elevato grado di solitudine sperimentano il 37% in più di assenteismo, il 49% in più di incidenti e il 16% in meno di produttività. Dati preoccupanti che fanno riflettere e confermano come le persone “sole” al lavoro sembrano essere meno performanti per via di una bassa socialità e convivialità e la mancanza di senso di appartenenza nei confronti dell’azienda.
La solitudine sul posto di lavoro innesca il c.d. ritiro emotivo. Quando le persone si sentono sole, iniziano a non presentare agli eventi sociali. Smettono di comunicare e interagire con i colleghi, di partecipare ad attività che implicano il lavoro in gruppo. La solitudine riduce il coinvolgimento dei dipendenti e ne abbassa la motivazione al lavoro.
Di conseguenza, anche altri dipendenti smettono di includerli nelle attività e nei processi decisionali. E’ l’inizio di un processo disfunzionale e peggiorativo della qualità di vita.
La solitudine poi contribuisce a deteriorare la salute mentale. Una  ricerca psicologica del National Center for Biotechnology Information ha citato la solitudine come uno dei motivi principali di malessere psicologico. Questi sentimenti di isolamento possono avere derive pericolose anche sul piano della salute fisica che ne risulta fortemente indebolita.
La solitudine ha effetti dannosi non solo sul benessere fisico ed emotivo ma anche cognitivo.
Uno  studio del 2019 (quindi prima del Covid) ha rilevato che uomini e donne che hanno segnalato un isolamento sociale superiore alla media hanno anche sperimentato un declino superiore alla media della funzione della memoria.

Ci sono tutti i motivi per chi si occupa di organizzazioni di prendere in considerazione questo tema. E allora cosa fare? Ecco alcuni suggerimenti.
Per tutti sarebbe opportuno fare check up periodici delle proprie relazioni e interazioni, da un punto di vista quantitativo e qualitativo. E’ importante avere consapevolezza del problema e dei rischi prima che sia troppo tardi.
Per le persone direttamente e indirettamente coinvolte l’azienda dovrebbe prevedere supporto in e i manager dovrebbere essere attrezzati per intrattenere conversazioni di qualità con le loro persone.
Accorciare le distanze, sviluppare sensibilità verso i primi segnali di allontanamento e agire tempestivamente attraverso interventi mirati.
Promuovere la qualità delle relazionie favorire il rafforzamento e l’estensione dei network aziendali.
Costruire e rinforzare il senso di appartenenza e un ambiente sicuro dove le persone possano esprimersi, alzare la mano, fare domande e chiedere aiuto.
Favorire una cultura di interconessione e di scambio fra le persone; collaborazione piuttosto che competizione.
Promuovere quelle competenze che sono e saranno fondamentali per chi gestisce persone: intelligenza emotiva, empatia, ascolto attivo e la capacità di intrattenere con le proprio persone conversazioni di valore. 
Le soluzioni ci sono, serve un impegno forte a volerle implementarle e promuoverle.

Il tema è ampio e necessita attenzione. Il nostro obiettivo è di aprire una porta su un mondo tutto da esplorare e conoscere. 

 

Simona Alini - Partner GSO Consulting e Head Change & Learning
Dario Migliavacca - Leadership and team effectiveness manager Nestlè
Sefora Rosa - Senior Consultant GSO Change & Learning

 

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