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     n. 3 anno 2024

Soddisfatti o rimborsati

di Nicola Ladisa

Con tipico british humour ci si chiede che differenza c’è tra una gallina ed un maiale per una “English breakfast” con le uova strapazzate con bacon?

La gallina potrebbe essere motivata e fornire buone uova, il maiale sicuramente non lo è!

Potremmo, quindi, avere tante galline in allevamento con soddisfazione limitata e raggiungeremmo l’obiettivo di ottenere una più che discreta “scramble eggs”, ma pretendere di avere anche il maiale motivato è difficile, molto complicato, neppure se lo “paghi” una enormità.

Chiariamoci: la giusta retribuzione in azienda, quella in linea con il mercato ed equa internamente, è importante. Altrettanto importante ragionare di policy aziendali sui “benefit”. Il tema, però, è se sia sufficiente per avere persone fortemente motivate.

Magari potranno essere soddisfatte, quelle che si alzano satolle da tavola, ma non quelle che ti raccomanderebbero il ristorante. Perché le recensioni social che ti danno le 5 stelle sono scritte dalle persone che hanno avuto una esperienza positiva a 360°: servizio, cortesia, risposta alle loro necessità, oltre al buon cibo e cucina (comunque indispensabili!).

Pensiamo all’azienda: un buon prodotto, buoni risultati di business e buone remunerazioni non bastano più per soddisfare appieno. Oggi si tiene conto più che mai dell’ambiente, dell’esperienza quotidiana, della progettualità di innovazione e delle buone relazioni.

Allora, cosa è importante per essere un’azienda che si potrebbe consigliare ad un amico dove andare a lavorare, al di là del fatto che paghino bene?

Comincerei da quello che cercano insistentemente i giovani, ma che anche i Millenials e i Boomers non disdegnano per nulla: sviluppo delle competenze per crearsi opportunità di crescita professionali, lavorando su progetti intriganti perché innovativi.

Se, poi, si avesse in mente la valorizzazione dei talenti di ogni persona, cioè delle proprie caratteristiche di forza personali, quelle che contraddistinguono ciascuno di noi, l’azienda sarebbe eccezionale: ci sentiremmo pienamente utili per il conseguimento degli obiettivi aziendali contribuendo con la parte migliore di noi! Ognuno parteciperebbe con la propria unicità. Si supererebbero tematiche di necessario rispetto delle diversità: l’inclusione non è delle differenze, ma è delle singole unicità.

E per quanto riguarda l’ambiente di lavoro? Pochi dubbi: avere la possibilità di costruire relazioni sane, di poter sbagliare per imparare, di potersi scambiare dei feedback e avere dei confronti aperti e autentici.

Aggiungerei anche altri elementi che importanti per ottenere una cultura aziendale distintiva: la cura e l’attenzione alle persone, con programmi di Wellbeing mirati a ottenere un benessere diffuso. Questi programmi dovrebbero rispondere alle esigenze personali, quali il benessere del corpo e della mente. Programmi in cui si abbia a disposizione professionisti che possano dare indicazioni utili e indirizzate alla specifica esigenza del singolo, evitando programmi di massa che, di fatto, non è detto siano altrettanto efficaci per ogni persona. Si dovrebbe essere in grado di rispondere alla particolare esigenza del singolo, piuttosto che tentare di dare una risposta che possa andare bene per i più. 

Ricordiamoci, inoltre, che alzarsi alla mattina di buon grado per immergersi in un commuting stressante per raggiungere l’ufficio ha inevitabilmente bisogno di una molla forte che ci sbalzi fuori dal comodo letto: in azienda si raggiunge un vero “engagement” delle persone se si dà costantemente un senso a ciò che le persone fanno.

Amo poi pensare ad una azienda in cui il tema cross generazionale si possa affrontare in modo tale che la saggezza dei Boomer sia a supporto dell’impeto di cambiamento dei Gen Z, così da superare il pericolo di vedere inutili i più anzianotti. Anzi, i più “senior” dovrebbero essere ricercati come mentori dei più giovani. 

E ancora: i processi di lavoro dovrebbero essere meno complessi eliminando burocrazia inutile, riunioni lunghe e noiose che ricercano solo il consenso dei molti (spesso troppi) partecipanti e non la soluzione dei problemi. 

È l’azienda che non c’è? Probabilmente sì, oggi. 

Ma se lavorassimo in modo pragmatico e non formale sui temi della Sostenibilità, potremmo costruire aziende con tutti questi elementi che ne definiscono una cultura basata su forti valori condivisi che creino comunità e appartenenza.

Sono sicuro, infine, che un profondo senso etico porterebbe al consolidamento di un reciproco rapporto fiduciario tra l’azienda e le persone, che sicuramente non chiederanno di essere rimborsate alla fine dell’esperienza “culinaria”.

 

Nicola Ladisa, HRO Director, Holding De Agostini Group

 

 

 

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