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     n. 1 anno 2024

Benessere organizzativo e performance lavorativa

di Cesare Sansavini

Questo articolo nasce dalle esperienze maturate da alcune aziende nello sviluppo di progetti concreti intesi a sviluppare una cultura del Benessere Organizzativo (B.O.)

Come sappiamo l’evoluzione manageriale, propone costantemente nuovi strumenti gestionali, alcuni hanno una ricaduta concreta sulla gestione lavorativa, basti pensare al “Management by Objectives”, proposto da Peter Drucker negli anni ’50 che ha fatto scuola nel management aziendale. Viceversa altre teorie, sia pure di grande spessore, non hanno fatto breccia nella cultura aziendale, come ad esempio la “Learning organization” proposta da Peter Senge nel suo celebre libro, “la quinta disciplina”. Nel 1997 Harvard Business Review annoverava il libro di Senge, fra i più importanti volumi di management degli ultimi 75 anni, ma nel mondo aziendale non si ha traccia delle straordinarie opportunità proposte da Senge  per lo sviluppo di una cultura delle competenze all’interno delle aziende.

Questa premessa è d’obbligo perché il Benessere Organizzativo può avere una grande ricaduta sulla performance lavorativa e anche sulla retention dei talenti, ma solo se saremo in grado di farla decollare con la necessaria concretezza. 

A tal fine proporremo un’esperienza significativa realizzata nella Provincia Autonoma di Bolzano.

Il tema B.O. non è una novità, da anni si parla di work life balance, osservando un ampio consenso con evidente ricaduta sui benefit aziendali. 
Molto più clamore ha avuto la ventata sulla cultura del B.O, attraverso una cassa di risonanza contingente imposta dal lock down e conseguente smart working.

Molti dipendenti hanno forse scoperto nuove priorità di vita in grado di avere il sopravvento sul tradizionale posto di lavoro. Il mondo aziendale stava già soffrendo per la fuga di personaggi, spesso a più alto potenziale, le cui aspettative di vita non avevano più lo stipendio come motivazione primaria. Le società più evolute, avevano già avviato progetti di fidelizzazione dei talenti, ma non erano ancora pronte a fronteggiare il fenomeno della Great Resignation, nato come evoluzione dei tempi, ma accelerato dallo Smart working che probabilmente ha facilitato una visione di vita più ampia, nella sua interezza, e non più nella storica distinzione: vita privata e lavoro.

Cosa dovrebbero avere imparato le aziende dallo Smart working? 

  • Tutte le aziende hanno vissuto il lock down con tante preoccupazioni iniziali, salvo poi assistere ad un adattamento ad una nuova realtà. Si sono infatti osservati, nel lavoro in remoto, chiari miglioramenti nella performance lavorativa da parte di collaboratori abituati ad operare con una certa autonomia, e orientati alla pianificazione del lavoro. In contrapposizione si sono evidenziate cadute di performance nei collaboratori: “ufficio dipendenti”, meno autonomi nel prendere anche decisioni spicciole.
  • Tutte le analisi sulla performance in smart working, hanno inoltre evidenziato che i reparti supervisionati da Manager molto attenti alla gestione e performance dei propri collaboratori, in particolare nel condividere con loro obiettivi e stimolare il senso di autonomia hanno ottenuto una performance del proprio team nettamente superiore.

Queste osservazioni ci hanno portato ad ampliare l’orizzonte del B.O., proponendolo come strumento di sviluppo della performance individuale e di gruppo. La proposta nasce da tre evidenti osservazioni sull’attuale gestione del B.O. 

  1. Prima osservazione: la gestione del B.O. sembra essere accentrata nel reparto HR. Ovviamente le decisioni strategiche devono partire dalla Direzione HR, ma è indispensabile avvalersi del supporto di Manager opportunamente formati, in grado di personalizzare il B.O. ai propri collaboratori, come già dovrebbe avvenire nel progetto talenti. 
  2. La seconda osservazione è di avere focalizzato l’attenzione sui “Benefit aziendali”. Piena approvazione nell’investire in asili nido, fondi pensionistici, flexi time, smart working, ecc., ma non siamo certi che i Benefit, rafforzino il senso di appartenenza e la vera motivazione? I Benefit sono i componenti hard del B.O, perché hanno una ricaduta importante sul clima aziendale e sulla immagine aziendale, ma creano solo soddisfazione e non la vera motivazione dei singoli, come ci ha insegnato Maslow. I collaboratori, soprattutto quelli di spessore, cercano nel lavoro la possibilità di realizzarsi o di far scattare la propria passione. Cercano opportunità di Job Rotation o di Job enrichment o anche di trovare una conciliazione tra il lavoro e i loro valori personali, tratti dalla vita privata e irrinunciabili. Il ruolo del Manager è determinante nell’attuare un’analisi motivazionale personalizzata e cercare possibili risposte vincenti. Il Manager aziendale, come il venditore professionista deve saper cogliere le motivazioni profonde del proprio interlocutore.
  3. La terza osservazione è di non avere agganciato il B.O. alla performance individuale. Il Manager è chiamato a promuovere il B.O. e cogliere le aspettative e motivazioni del proprio collaboratore. Questo importantissimo colloquio deve essere collocato in un ambito di discussione e pianificazione della performance: nel momento in cui condividiamo il piano di sviluppo del collaboratore apriamo la porta alla diagnosi motivazionale, ad esempio: “Siamo qui per esaminare assieme un percorso di sviluppo della tua performance avvalendoci anche delle opportunità offerte dal B.O.”

Queste brevi osservazioni resterebbero pura teoria se non fossero state realizzate da un’importante organizzazione aziendale: “ La Provincia Autonoma di Bolzano”, attraverso il Dir. della Formazione dott. Guenther Soelva. Dalla nostra collaborazione sono nate queste conclusioni.

 

Cesare Sansavini, Presidente Change Project

 

 

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