hronline
     n. 15 anno 2022

Il MentorCoaching®: percorso di formazione innovativo

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

Storie e strumenti di MentorCoaching®sono l’elemento principale attorno a cui ruota il volume “Felici al lavoro” di Nicola Chighine e Franco Moscetti (Edizioni Il Punto d’Incontro, con la prefazione di Ferruccio De Bortoli): un approccio innovativo, con tanto di registrazione del marchio, per aiutare le persone ad ottenere migliori risultati in ambito lavorativo. Ne abbiamo approfondito obiettivi e contenuti in una intervista con Franco Moscetti, Presidente del Gruppo OVS.

Partiamo dall’elemento più “stuzzicante” del libro: il MentorCoaching®.
MentorCoaching® (di seguito indicato come MC) è un percorso di formazione innovativo ad alto impatto per lo sviluppo delle competenze di Leadership. Un percorso dove l’approccio divergente, di scoperta e di esplorazione del Coaching si fonde e si integra con l’approccio convergente, concreto e diretto dell’executive Mentoring. Lo sviluppo della leadership diventa l’obiettivo comune di questi due approcci sinergici e complementari a tutto vantaggio degli interessati.

Perché un’azienda dovrebbe ricorrere al MC in un mondo oggi pieno di Mentor e di Coach?
Quali sono i limiti dei due e in che misura il MC contribuisce al loro superamento?
In altre parole, c’era bisogno di un nuovo metodo oppure, come qualche malizioso potrebbe essere indotto a pensare, si tratta di una intelligente operazione di marketing?
La mia esperienza pluridecennale nella guida di aziende importanti mi ha guidato nella scelta di questo approccio. Il Coach può essere uno bravissimo che non necessariamente conosce la vita aziendale; Il Mentor conosce bene i meccanismi che regolano il funzionamento aziendale ma gli potrebbero mancare alcune technicalities e alcuni riferimenti anche bibliografici tipici di chi ha studiato per diventare coach. Fondere Coaching, Mentoring e Active Learning apportando un grande contributo al potenziamento di sé stessi non può essere considerata, a mio avviso, solo “una intelligente operazione di marketing”

Spiegato cos’è il MC, chi sono i MentorCoach e che profilo hanno?
Avete intenzione di farne una scuola per rilasciare certificazioni o simili?
Proprio in assenza di una scuola che rilasci certificazioni simili, alla quale stiamo però lavorando, oggi il MentorCoaching® si caratterizza proprio per avere due interlocutori anziché uno solo: il mio partner, Nicola Chighine, è un Coach bravissimo. È titolare di un Master in comunicazione e Marketing di Publitalia ’80 ed è un Coach certificato ICF. È inoltre Docente di Intelligenza Emotiva in varie realtà. Personalmente, ho gestito aziende multinazionali, quotate o meno, avendo iniziato la mia carriera da venditore. Naturalmente con Nicola ho un rapporto talmente funzionante da intenderci soltanto con uno sguardo. La complementarietà ed anche la complicità tra Coach e Mentor è naturalmente fattore chiave di successo.

Puoi sinteticamente raccontare due esempi di successo nell’applicazione del MC?
Volentieri, con la premessa che non posso fare nomi puntuali perché nei nostri percorsi di MentorCoaching® è fondamentale il concetto di riservatezza. Tra i tanti,ecco due casi significativi: Il primo, che trovate raccontato con dettaglio nel libro, è di un top manager dell’area commerciale di un importante multinazionale, che ha lavorato con noi sul tema dello sviluppo delle proprie capacità di creare connessioni e networking internazionale. 
Un altro caso è stato di un manager responsabile della comunicazione che soffriva della sindrome dell’impostore, in altre parole si sentiva spesso non all’altezza delle situazioni in cui si trovava.
In entrambi i casi abbiamo lavorato prima sulla presa di consapevolezza di sé, molto spesso anche manager di alto livello e grande seniority hanno bisogno di uno specchio per vedersi meglio e cogliere i cosiddetti angoli ciechi. Con il primo manager abbiamo lavorato molto sull’esplorazione di una prospettiva, tecnicamente una geografia, che lo aiutasse a uscire dal blocco che gli impediva di creare un networking funzionale. 
Nel secondo caso abbiamo invece dedicato molte energie al potenziamento dell’autoefficacia e allo scardinare le convinzioni limitanti.

Ferruccio De Bortoli, nella prefazione al libro, lo definisce “manuale di sopravvivenza attiva” o “baedecker di purificazione organizzativa”: puoi esplicitare i concetti?
Ferruccio ha scritto una prefazione di cui sono orgoglioso e che presenta perfettamente lo spirito del libro. Nello scenario attuale, che lui stesso definisce incerto, in evoluzione ma sicuramente attraente, il libro vuole dare, coerentemente con l’approccio del Mentorcoaching®, sia risposte che domande per navigare con consapevolezza e soddisfazione i mari della professione e del lavoro.
Molti paradigmi organizzativi che funzionavano prima, ora sono del tutto inefficaci, si pensi ad esempio a quanto abbia perso rilevanza il concetto di gerarchia all’interno di molte aziende. Di fronte al cambiamento servono comportamenti e strumenti nuovi, in “Felici al lavoro” ne suggeriamo diversi che troviamo di valore.

Il libro ospita il racconto di diversi special guest: potendo, per motivi di spazio, sceglierne uno solo, di chi vorresti condividere storia e portato con i lettori della rivista?
Questa è una domanda difficile, nel senso che tutti gli ospiti del libro hanno dato un contributo fondamentale al libro. Se proprio devo citarne uno, credo che la storia di Salvatore Aranzulla sia di grande ispirazione. Non solo perché il sito che porta il suo nome è uno dei più importanti nel panorama nazionale e ha aiutato milioni di italiani a collegare una stampante o far partire un modem, ma soprattutto per come è arrivato a questo successo. Salvatore è riuscito con talento ed intuizione a monetizzare due passioni che lo hanno sempre accompagnato: capire il funzionamento delle cose e risolvere i problemi. In “Felici al lavoro” parliamo con lui proprio di vocazione e orientamento professionale.

Il libro propone anche una serie di test di autovalutazione/autocoscienza: puoi spiegare il concetto di “intersezione”?
L’intersezione è l’incontro, o il punto di incrocio, di due elementi orientati secondo direzioni diverse. Spesso abbiamo una percezione di noi stessi, delle nostre caratteristiche e del nostro potenziale che è diversa da quella che gli altri hanno di noi. Sia in positivo che in negativo. I test che proponiamo nel libro dovrebbero servire ad oggettivizzare la realtà che ci appartiene.

Ancora due interessanti due concetti da espandere: il primo, la forza dell’autoefficacia …
L’autoefficacia è, in sintesi, la percezione di sentirsi in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati, ovviamente a fronte di un impegno. Credo sia un tema fondamentale, sia per i giovani che devono costruire la propria muscolatura professionale che per i manager che devono garantirne le condizioni per lo sviluppo all’interno del proprio gruppo di lavoro. Minare il senso di autoefficacia non dando i giusti feedback, non riconoscendo il valore delle persone e non facilitando lo sviluppo delle stesse è un errore manageriale imperdonabile, nei confronti delle proprie persone e dell’organizzazione.

… il secondo: la distinzione tra capo buono e buon capo
Io e Nicola nel libro abbiamo voluto dare il nostro punto di vista su alcune mode manageriali a nostro avviso fuorvianti e poco sensate. Ad esempio, la trappola del capo buono, del capo forzatamente gentile e che opera come “il buon padre di famiglia”. Il rischio che vediamo è cadere nella trappola del (falso) buonismo, di cui alcuni social sono pieni, oppure di quello che Eric Berne chiama “la spinta al compiacere” sempre e comunque. Il buon capo è invece un leader e come tale, quando serve, deve saper prendere decisioni necessarie ma impopolari e gestire con coraggio i conflitti.

Quali indicazioni ti senti di dare al mondo dei manager, in generale e dei Direttori Risorse Umane in particolare, e degli imprenditori?
Voglio condividere un mio punto di vista con tutte e tre le “categorie” sul tema della gestione dei giovani talenti in azienda, che osservo essere di particolare criticità in questo momento storico. Vedo ancora molti HR, manager e imprenditori che applicano le stesse formule, gli stessi principi, gli stessi comportamenti nella selezione, sviluppo e retention dei talenti che funzionavano anni fa ma che adesso risultano non adeguati. La raccomandazione che mi permetto di dare loro, con la sintesi che l’articolo mi richiede, e di abbracciare questo cambiamento culturale e di ripartire dall’ascolto, vero, profondo, attivo dei propri giovani. Ho sperimentato sulla mia pelle, prima in veste di manager ed ora come Mentor, quanto l’ascolto sia potente per la comprensione di sé e degli altri. Tutti sappiamo che giudicare è più facile (e rapido) che comprendere. Ma un giudizio oggettivo può arrivare solo dopo aver ascoltato e compreso le ragioni dell’interlocutore. 

Per finire, ci sono i mentee, i coachee e …
… e coloro che sono un talento senza saperlo!

 

 

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®