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     n. 13 anno 2022

PMI e innovazione: spunti dallo Young Innovators Business Forum

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

L’evento, promosso da ANGI, l’Associazione nazionale giovani innovatori guidata da Gabriele Ferrieri, ha riunito in Borsa Italiana un’ottantina di relatori, in rappresentanza di aziende, istituzioni, associazioni, banche ed entità formative per riflettere e confrontarsi sui temi dell’innovazione e della digitalizzazione che, attraverso anche l’esame di casi di successo, possano fornire al sistema Paese indicazioni operative su come implementare strategie di successo.
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Il tema dell’innovazione, legato a concetti quali digital disruption/evolution, circular manufacturing, sostenibilità, ESG, growth hacking è oggi gettonatissimo e fa sicuramente audience: siamo di fronte ad un vero e proprio cambio culturale. E’ necessario creare e diffondere cultura, nelle grandi imprese e, a scendere, fino alle PMI, quale condizione necessaria e sufficiente per poter innescare il cambiamento.
Bastano i giovani per creare cultura? Molto probabilmente NO!

Tra i tantissimi spunti emersi nel corso del Forum, più di un relatore ha evidenziato il ruolo che l’esperienza e la conseguente seniority possono giocare nel realizzare processi di innovazione, specialmente per quanto concerne il mondo delle nostre PMI.

Illuminante la frase di Domenico Agnello, Partner di PWC Italia e responsabile Innovazione, secondo cui “l'innovazione è un incrocio tra una spinta giovane e l'esperienza, ovvero un mix tra la capacità dei giovani di esprimersi e di chi è un po’ più avanti di trasmettere loro esperienza”.

Se da un lato è corretto e strategicamente doveroso pensare a come operare sulle nuove generazioni, e alle diverse migliaia di persone di cui ci sarà bisogno nel prossimo futuro, non possiamo dimenticare le centinaia di migliaia di persone over 40 che lavorano oggi nelle aziende  e che dovranno lavorarci per almeno altri vent’anni, molte delle quali hanno una cultura e una preparazione molto poco digitale, una scarsa propensione al cambiamento e dovranno confrontarsi con modalità del tutto nuove di operare. Il problema si pone con particolare evidenza nelle PMI, dove spesso l’età media e la permanenza nella stessa azienda sono molto elevate.
C’è quindi tutto un mondo, ad oggi ancora la maggioranza, di “nativi analogici” che bisogna far interagire in maniera virtuosa con il mondo dei “nativi digitali” che saranno la maggioranza domani. Pensare solo ai digitali rischia di essere una prospettiva miope.

Per le aziende più grandi, in grado di dispiegare notevoli risorse finanziare e di risorse umane, il discorso risulta relativamente più facile (pensiamo ai gruppi che hanno realizzato incubatori e acceleratori. a quelli che hanno creato una funzione di Innovation Management dedicata o ancora al caso di Innovability@ di Enel in cui, con lungimiranza, si fondono innovazione e sostenibilità).

Le PMI devono invece confrontarsi con la sottomanagerializzazione strutturale che le caratterizza: come infatti poter gestire tutti gli aspetti dell’innovazione sopra citati in presenza di risorse scarse specie per quanto riguarda la loro gestione?
I dati al riguardo sono preoccupanti:  secondo una recente indagine Unioncamere - Centro studi Guglielmo Tagliacarne, solamente un’impresa su tre è oggi pronta a tradurre in progetti concreti le risorse finanziarie del PNRR (l’80% di PMI non ha a piano di utilizzare le risorse allocate). Rischiamo quindi di non poter fare quel “debito buono” più volte richiamato da Mario Draghi, quando era ancora Presidente Emerito delle BCE.

Il tema delle competenze manageriali per gestire i processi di innovazione è emerso negli interventi di diversi relatori nei molti panel in cui si è articolato il Forum.

Per Roberto Race, Corporate Strategist,: “spesso si definisce un’organizzazione o un’azienda innovativa solo perché  opera in settori nuovi, o considerati tali dai media. Ma è  un errore perché anche  in tanti settori ‘tradizionali’ ci sono  aziende e organizzazioni che fanno innovazioni di processo, di prodotto o dell’offerta. E dietro a tutte queste innovazioni, ci sono donne e uomini che amano il proprio  lavoro. Persone che hanno fatto loro il proverbio africano “Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa” e che sanno che la vera innovazione è quella condivisa in grado di generare benessere per la collettività. E sono le PMI, le startup di successo e le loro persone a poter accelerare i processi di innovazione delle grandi aziende. Queste ultime spesso sono costrette dal mercato a comprare realtà più piccole e che sono state in grado di innovare i mercati di riferimento. In questo contesto il ruolo dei manager è fondamentale e figure come quella del temporary manager sono strategiche per la loro capacità di portare cultura organizzativa e di processo in PMI dove spesso la tanta creatività e voglia di innovare va messa nei giusti binari”.

Su questa linea di pensiero si è espresso anche Palmiro Noschese, Temporary Manager nel comparto Hotellerie & Luxury Hospitality: “innovazione significa non solo tecnologia e digitalizzazione,  ma anche lavorare in modo diverso. Ad esempio, il fractional management e il temporary management,  il virtual secretary o chabot on the back of the administration, ci portano a concepire figure tradizionali in modo assolutamente nuovo,  per non parlare poi del temporary work,  che dà grandi vantaggi alle aziende, ma non solo. In questo modo, infatti, i manager possono arricchirsi professionalmente e umanamente, arricchendo a loro volta e con il loro know-how aziende e società,  allargando le sfere e dando spazio a work life balance e well being. Flessibilizzare per innovare e trasformare la precarietà in mobilità che rende il settore vivace e pronto a rispondere alle esigenze del mercato”.

Il turismo è un settore chiave della nostra economia, per il cui sostegno e sviluppo sono previsti ingenti investimenti per portare a compimento trasformazioni già in atto che richiedono grandi capacità alle PMI alberghiere sono di non poco conto: diversificare l’offerta; sviluppare innovazione; migliorare le competenze professionali; prolungare la stagione turistica; consolidare le conoscenze socio-economiche sul turismo. Occorre, in questo comparto forse più che in altri, introdurre pensiero manageriale, facendo ricorso anche a soluzioni di temporary management, per rendere più dinamica la gestione, collegandola alle più recenti innovazioni, come il posizionamento sui new media, l’informatizzazione, l’introduzione di moderni strumenti di controllo di gestione e analisi costi, una più avanzata modalità di marketing e di promozione, cercando di destagionalizzare l’attività produttiva.
Il comparto, in buona parte costituito da piccole e medie strutture di matrice familiare, deve oggi più che mai recuperare competitività in un contesto sempre più affollato ed esposto alla concorrenza. Come per le PMI più in generale, bisogna lavorare su capacità e competenze, iniettando nelle aziende nuova managerialità capace di agire in qualità di  facilitatore e acceleratore del processo di cambiamento e di introdurre stabilmente in azienda le capacità critiche richieste.

Un altro comparto in pieno fermento è il cosiddetto Terzo Settore, sulla spinta della rigorosa compliance indotta dalla riforma del Dlgs. 106/2016 e relativi decreti attuativi, ma anche di un 
mercato in cui  donatori sempre più attenti, vigili e consapevoli chiedono accountability e credibilità.  Assistiamo quindi ad una crescente professionalizzazione delle risorse umane in un ambito dove un grande asset sono i volontari (progressiva stabilizzazione contrattuale, crescente ricerca di personale specializzato).

Al Forum, è stato presentato dal suo CFO, Silvia Ramalli il caso della LILT MI-MB.
Con il supporto di un temporary manager, e’ stato portato a termine un lavoro completo e complesso: messa in efficienza delle operations, pianificazione e attuazione di un piano di transizione generazionale, revisione dell’intero set di competenze e professionalita’, innovazione e digitalizzazione dell’intera dotazione IT. Per dirla con le parole dello stesso manager: si è realizzata una “transizione generazionale verso una sostenibilita’ economica”.
Il ruolo del CFO è stato determinante per “mettere le competenze manageriali a supporto di un processo virtuoso di passaggio generazionale, di trasformazione ed innovazione per garantire la continuità futura dell’attività di missione con l’inserimento di forti figure manageriali in ruoli chiave. La grande sfida è stata quella di coniugare il meglio dei due mondi (profit e no profit), far crescere il team creando armonia, valorizzando il fattore umano, mantenendo gli alti valori che un ente come LILT ha in sé. Le soft skill hanno rappresentato il fattore chiave per calarsi ed amalgamarsi in un contesto con valori diversi rispetto al mondo profit dal quale provenivo.  Nello svolgimento del ruolo è stato quindi fondamentale tenere conto di tutto questo”.

Il CFO quindi motore di cambiamento?

Sul tema si è soffermato Vittorio Biassoni, Vice Presidente ANDAF Lombardia: “il CFO come custode della tradizione ancorato ad una visione numerica e di precisione. È una figura jurassica ormai in estinzione. Oggi il CFO affronta sfide che ne hanno cambiato la sua figura. Dai numeri alla visione strategica, all’essere un business partner per il CEO e per gli altri colleghi del Top Management. Un membro di sicuro riferimento nell’ambito del leadership team.
Ma cosa lo ha reso una figura chiave? Il suo ruolo viene ora apprezzato per l’agilità dei sistemi di pianificazione e controllo, nell’ottimizzazione dei processi aziendali ma diventerà ancora più rilevante nel prossimo futuro per la gestione del risk management, nell’analisi di redditività, ecc.
La costruzione, ad esempio, di modelli predittivi in grado di supportare le decisioni aziendali è sicuramente una delle sfide del CFO. Però pensare che questi obiettivi vengano raggiunti con la sola innovazione tecnologica è dare solo una visione tecnocratica di tutto questo”.

In quest’ottica, il CFO comincia ad essere figura sempre più apprezzata anche dalle PMI: non è casuale che ANDAF abbia dato vita ad un gruppo dedicato al comparto, la cui attività si concretizza in momenti formativi e informativi attraverso cui trasmettere alla classe imprenditoriale il valore derivante dal portare in casa questo tipo di competenze, cosa che avviene sempre più spesso attraverso progetti di temporary management o di part time/fractional per le aziende più piccole.

Le trasformazioni sopra richiamate impattano sui processi che in molte aree aziendali mutano radicalmente, sulla tecnologia che deve essere pronta all’evoluzione costante che il mondo digitale richiede, ma soprattutto sulle persone, che sono il driver fondamentale attraverso cui qualsiasi trasformazione si realizza.

Per questo motivo, la funzione Risorse Umane riveste, nell’ambito della trasformazione digitale in particolare, un ruolo chiave nello sviluppo della cultura digitale in azienda.

Le funzione Risorse Umane diviene in tal senso garante e abilitatore di un processo collaborativo, capace di coinvolgere l’intera organizzazione affinché le persone contribuiscano e partecipino attivamente, una volta che siano adeguatamente informate, formate e motivate/incentivate. Delle sfide per le Risorse Umane ha parlato al Forum Matilde Marandola, Presidente di AIDP.
Anche AIDP, come ANDAF, ha da tempo sviluppato un’area di attività dedicata alle PMI (denominata oggi AIDP-PMI) che persegue l’obiettivo di elevare cultura e sensibilità di queste aziende sulla necessità di dotarsi di competenze manageriali per la gestione delle risorse umane e dare così al capitale umano il giusto e importante ruolo da protagonista, per arrivare al trasferimento delle competenze necessario alla gestione dei processi di cambiamento in atto.

 

Maurizio Quarta, Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors (TMC)

 

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