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     n. 12 anno 2022

Due interessanti pronunce in materia di licenziamenti disciplinari

di Filippo Capurro

di Filippo Capurro

All’indomani della sentenza della Corte Costituzionale 19/05/2022 n. 125, che ha inciso sulla parte dell’art. 18 L. 300/1970 relativa ai licenziamenti economici, ancora una volta abbiamo la misura di come l’attuale impianto normativo in materia, oltre ad essere bizantino e illogico, stia rovinosamente franando. E si può dire che il percorso di stratificazione normativa, costituzionale e giurisprudenziale degli ultimi dieci anni, rende ormai urgente un ripensamento dell'intera disciplina in direzione di una reale ragionevolezza e coerenza.

Tuttavia, rebus sic stantibus, nel ricco panorama di pronunce in materia di licenziamenti, se ne segnalano due recenti di notevole interesse.
La prima riguarda la questione dell’assenza di tempestività della procedura disciplinare e le relative conseguenze; la seconda la rilevanza delle condotte del lavoratore in relazione alle previsioni disciplinari contenute nei contratti collettivi.

Licenziamento disciplinare e tempestività della procedura 
E’ noto il principio generale per il quale gli addebiti disciplinari debbono essere contestati al lavoratore con solerzia, senza inutili attese rispetto al momento in cui sono conosciuti dal datore di lavoro. Unica eccezione - ma da gestire con buon senso e prudenza - è l’ipotesi i cui si rendano necessari approfondimenti sulle condotte del lavoratore che richiedano un ragionevole lasso di tempo, circostanza della cui prova è onerata l’azienda.
Un interessante ordinanza(1) ha affermato il principio per cui, in caso di licenziamento disciplinare, deve ritenersi che, in ipotesi di contestazione tardiva, la sanzione applicabile sia la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4(2), L. 300/1970. Quindi in sostanza si avrebbe reintegrazione e risarcimento del danno entro il massimo delle dodici mensilità.
Il giudice ha precisato che deve infatti ritenersi che la prolungata inerzia del datore di lavoro di fronte al comportamento del dipendente, possa essere considerata una dichiarazione implicita della volontà di non perseguire il fatto, e quindi dell’insussistenza di una lesione in concreto ai propri interessi. Mancando dunque il requisito dell’antigiuridicità, il fatto tardivamente contestato, sarebbe insussistente.
Vi è qui un discostamento rispetto all’importante sentenza Cass. SS.UU. 27/12/2018 n. 30985 secondo la quale Il licenziamento disciplinare, che viene dichiarato illegittimo per tardività della contestazione, deve essere sanzionato con il riconoscimento in favore del dipendente della c.d. tutela economica forte di cui all’art. 18, comma 5(3), L. 300/1970. Quindi in sostanza si avrebbe la condanna al pagamento di una mera indennità risarcitoria da un minimo di dodici a un massimo di ventiquattro mensilità. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che il principio della tempestività della contestazione può risedere anche in esigenze più importanti del semplice rispetto delle regole di natura procedimentale, vale a dire nella necessità di garantire al lavoratore una difesa effettiva e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare. Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro a tutelare il suo legittimo affidamento sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile.
Il datore di lavoro deve inoltre comportarsi in conformità ai canoni della buona fede.
Mi pare che le due pronunce - benché arrivino ad approdi sanzionatori diversi - siano entrambe significative perché sottolineano l’estrema rilevanza della tardività della procedura disciplinare quale vizio per nulla formale ma sostanziale e quindi mai comunque riconducibile alla tutela economica affievolita di cui al comma 6 dell’art. 18 (mera condanna a un’indennità risarcitoria da sei a dodici mensilità).
Tutto questo ove si applichi l’art. 18, L. 300/1970. Nel caso di applicazione del Jobs Act (d.lgs. 23/2015) e quindi per i lavoratori assunti dal 07/03/2015, e, per quanto qui interessa, in riferimento ai datori di lavoro che occupano oltre 15 dipendenti, quale trattamento sanzionatorio in caso di procedura disciplinare non tempestiva?Se - per le ragioni contenute nella pronuncia del giudice di Ravenna – si equipara l’assenza di tempestività all’assenza di un fatto disciplinarmente rilevante, dovrà applicarsi l’art. 3, comma 2, d.lgs. 23/2015 e quindi la tutela reintegratoria. Se invece accediamo all’orientamento delle SS. UU., si dovrebbe fare riferimento all’art. 3, comma 1, ossia la mera tutela indennitaria, che può infatti intendersi come la tutela di carattere generale dell’impianto Jobs Act, analogamente al comma 5 dell’art 18 L. 300/1970 nell’ambito di tale tutela.
Mai comunque sarebbe applicabile la tutela indennitaria più leggera prevista dall’art. 4, d.lgs. 23/2015 per i vizi formali.

Rilevanza della condotta contestata rispetto alle previsioni del contratto collettivo
La seconda questione riguarda il trattamento sanzionatorio delle condotte disciplinarmente rilevante a seconda che rientrino o meno, in base ai contratti collettivi e i codici disciplinari, tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.
L’art. 18, commi 4 e 5 (supra note a piè di pagina 2 e 3), tracciano il confine tra le due ipotesi.
Il primo stabilisce la sanzione reintegratoria per il caso si licenziamento irrogato nel caso di insussistenza del fatto contestato o di previsione per lo stesso, da parte dei contratti collettivi o dei codici disciplinari, di una mera sanzione conservativa, e il secondo la sola tutela indennitaria per il caso di vizio riferito alla mancanza di proporzionalità.
La questione si pone giacché è frequente che le condotte disciplinarmente rilevanti previste dai contratti collettivi non siano definite in maniera rigida e secondo una rigorosa applicazione del principio di tassatività, ma abbiano in prevalenza carattere indeterminato, in relazione all’ampiezza degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà del dipendente, alla cui violazione è connesso l'esercizio del potere disciplinare. Secondo una recente pronuncia(4), in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quella reintegratoria e quella indennitaria, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa, anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Viene anche precisato che ciò non equivale a un’autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma di una interpretazione del contratto collettivo e della sua applicazione alla fattispecie concreta.
Quindi, nel caso in cui nel contratto collettivo siano presenti formule generali, norme elastiche, norme di chiusura, la mancata tipizzazione di alcune condotte tra quelle suscettibili di essere punite con una sanzione conservativa non è di per sé significativa della volontà delle parti sociali di escluderle da quelle meritevoli di una sanzione più lieve rispetto al licenziamento.
La flessibilità interpretativa è altresì rinvenibile in un’altra interessante pronuncia(5) - questa volta in senso più severo nei confronti del lavoratore - secondo la quale, in materia di licenziamenti disciplinari, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione - trattandosi di condizione di maggior favore(6) - a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. Emblematico il caso trattato che riguardava un medico psichiatra colpevole di aver tentato insistentemente di intrattenere con una propria paziente un rapporto di natura sessuale, in tutta evidenza esulante dalla relazione professionale instaurata. Il contratto collettivo applicato prevedeva per le molestie personali, comprese quelle sessuali, l'applicazione della sanzione conservativa, ma altresì, in via residuale, il licenziamento in tutti i casi non espressamente ricompresi tra le condotte tipizzate che, seppur estranei alla prestazione lavorativa, per la loro gravità non consentano la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro. Non essendo stata ritenuta la condotta del medico una mera molestia, ma tale da aver leso o la sfera personale e sessuale della paziente in violazione degli obblighi fondamentali della relazione tra psichiatra e paziente, è stata ritenuta idonea a legittimare il licenziamento disciplinare(7).

 

avv. Filippo Capurro, Partner dello Studio Legale Associato Beccaria e Capurro


(1) Trib. Ravenna 12/01/2022, ord., est. Bernardi.
(2) Art. 18, comma 4, L. 300/1970 (che si applica agli assunti fino al 07/03/2015): “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto (…). In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.”
(3) Art.18, comma 5, L. 300/1970 (che si applica agli assunti fino al 07/03/2015): “Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo"
(4) Cass. 11/04/2022 n. 11665.
(5) Cass. 28/03/2022 n. 9931.
(6) L’art. 12, L. 604/66 dispone: “Sono fatte salve le disposizioni di contratti collettivi e accordi sindacali che contengano, per la materia disciplinata dalla presente legge, condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”
(7) Molto simile è Cass.27/03/2019 n.8582 relativa a un caso di guida in stato di ebrezza ritenuto più grave del mero stato di ebrezza in servizio,condotta quest’ultima di per sé punibile secondo il contratto collettivo con la mera sanzione conservativa.

 

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