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     n. 18 anno 2022

Riflessioni a margine del cd. "Decreto trasparenza": la tutela contro il licenziamento ritorsivo e l'onere della prova a carico datoriale

di Paola Polliani

di Paola Polliani

Il D. Lgs. 104 del 27 giugno 2022, attuativo della Direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, entrato in vigore lo scorso 13 agosto e ribattezzato da subito “Decreto Trasparenza”, è intervenuto a modifica ed integrazione delle previsioni di cui al D. Lgs. 26 maggio 1997, n. 152, ampliando significativamente quantità e qualità delle comunicazioni da effettuarsi nei confronti dei lavoratori all’inizio del rapporto di lavoro. Si tratta di informazioni che, in particolar modo con riferimento all’orario di lavoro, alla durata di ferie e congedi retribuiti, all’eventuale utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, devono essere estremamente specifiche e dettagliate, al punto da richiedere una profonda revisione dei modelli contrattuali sino ad oggi adottati. 

Tra le tante questioni aperte, particolarmente interessanti appaiono le previsioni dell’art. 14 del “Decreto Trasparenza”, laddove si stabilisce che “Sono vietati il licenziamento e i trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all'esercizio dei diritti previsti dal presente decreto e dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, come modificato dal presente decreto” e che “Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, qualora il lavoratore faccia ricorso all'autorità giudiziaria competente, lamentando la violazione del comma 1, incombe sul datore di lavoro o sul committente l'onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti adottati a carico del lavoratore non siano riconducibili a quelli di cui al comma 1”.

In buona sostanza, la norma stabilisce la natura ritorsiva del recesso intimato per ragioni riferibili all’esercizio legittimo, da parte del lavoratore, di diritti garantiti dal “Decreto Trasparenza”.

Come ormai noto, il recesso del datore di lavoro si considera ritorsivo quando si concretizza in un’ingiusta e arbitraria reazione del datore essenzialmente quindi di natura vendicativa a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro o a questo comunque connessi. Poiché il motivo fondante è illecito, ne consegue la nullità del licenziamento.

La nullità consegue, tuttavia, soltanto allorquando l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinante esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso  dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento. L’onere di provare la natura ritorsiva, per costante giurisprudenza, grava sul lavoratore.

In deroga al consolidato principio appena esposto, l’art. 14 del “Decreto Trasparenza” introduce un’espressa inversione dell’onere della prova processuale, che viene posto a carico esclusivo del datore di lavoro. 

In altre parole, allorquando il lavoratore lamenti di essere stato licenziato per aver esercitato i diritti previsti dal Decreto Trasparenza, spetterà al datore di lavoro dover fornire al Giudice la prova della sussistenza e veridicità delle diverse motivazioni (lecite) sottese al recesso. 

Le sanzioni nel caso di inosservanza del Decreto da parte del datore di lavoro potrebbero, dunque, non essere limitate alle sole sanzioni pecuniarie, ma avere conseguenze anche in termini più ampi derivanti dal possibile contenzioso con il lavoratore licenziato che reclami la natura ritorsiva del recesso.


avv. Paola Polliani, Partner, Head of Labor & Employment Department, Avvocati Associati Franzosi Dal Negro Setti

 

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