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     n. 2 anno 2022

Contro Canto n. 136 (stimoli da 849 a 855)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

# Collaboratori, la sindrome dell’accondiscendenza (849) 
La sindrome del dipendente accondiscendente riguarda quanti accettano tutto passivamente ed eseguono senza criticare perché non concepiscono la critica. Sul posto di lavoro non si interrogano su cosa stanno facendo né sulla possibilità eventuale di non farlo. Sentono il bisogno di annullarsi nella speranza di ricevere così una gratificazione, un riconoscimento. In realtà è una regressione: si rinuncia ai desideri, alle idee, alla responsabilità, alle prerogative dell’età adulta per tornare a uno stato infantile. La totale dipendenza implica infatti come contraltare le gratificazioni del padrone-mamma: protezione e sicurezza. Si sa che ci verrà sempre detto cosa fare, si sa che gli altri penseranno a noi e per noi: adattandosi a questo modello si risparmiano energie. Criticare è faticoso: chi critica sta male perché rileva una differenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe. E affrontare questo conflitto costa molto più che lasciarsi andare alla regressione.
Questo modello, per cosi dire giapponese, sembra inaccettabile, ma non è il peggiore: gli individui passivi sono in fondo buoni amministratori della loro energia psicologica! Eseguire mantenendo la lucidità critica o eseguire senza porsi domande sono due modi diversi di gestire la propria esistenza. Il primo è più maturo, adulto e creativo, ma implica costi umani alti, tra cui stress e disagi conseguenti. Il secondo regala serenità ma comporta il rischio dell’appiattimento. La scelta dipende dalla propria capacità di gestire la conflittualità: qualcuno preferisce evitarla; qualcun altro sente di esistere solo se l’affronta. 
*** Vittorino ANDREOLI, 1940, psichiatra, saggista e scrittore, citato da Luca e Laura Varvelli, Saper negoziare, Il Sole 24 ore, Milano, 2003-2004. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 26 giugno 2015

# Disciplina, senza non c’è libertà (850) 
La maggior parte delle persone associa la disciplina all’assenza di libertà. “Il dovere uccide la spontaneità”. “Non c’è libertà nell’espressione ‘devo”. “Voglio fare ciò che voglio. Questa è libertà”.
Di fatto è vero l’opposto. Solo chi si dà una disciplina è davvero libero. Chi non lo fa è schiavo dell’umore, degli appetiti e delle passioni. 
Sapete suonare il piano? Io no. Non ho la libertà di suonare il piano. Non mi sono mai impegnato dandomi la disciplina di studiarlo. 
*** Stephen R. COVEY, 1932-2012, saggista, consulente di direzione e formatore statunitense, L’ottava regola, 2004, FrancoAngeli, Milano, 2005. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 25 giugno 2015

# Decisioni, il pericolo di quelle giuste (851) 
Intrappolato.
Non è perché state prendendo le decisioni sbagliate, è perché state prendendo quelle giuste.
Generalmente cerchiamo di prendere decisioni sensate in base ai fatti che ci stanno di fronte.
Il guaio, a prendere le decisioni sensate, è che lo fanno anche tutti gli altri. 
*** Paul ARDEN, 1940-2008, inglese, già direttore esecutivo creativo di Saatchi & Saatchi, imprenditore cinematografico, scrittore, Qualunque cosa pensi, pensa il contrario, 2006, Tea, Milano, 2006. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 9 luglio giugno 2015

# Dedicarsi, una virtù astratta (852) 
Trasposto nell’ambito familiare, il ‘basta con il lungo termine’ significa continuare a muoversi, non dedicarsi in profondità a qualcosa e non fare sacrifici. Sull’aereo, Rico all’improvviso scoppiò in un: «Non puoi immaginare quanto mi sento stupido quando dico ai miei figli che è importante dedicarsi a qualcosa. Per loro si tratta di una virtù astratta: non la vedono da nessuna parte». 
*** Richard SENNETT, 1943, sociologo, saggista, scrittore statunitense, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, 1998, Feltrinelli, Milano, 1999. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 30 giugno giugno 2015

# Innovazione, minacciata dalla precarietà del lavoro (853) 
Fra le maggiori minacce all’innovazione ci sono la precarietà del posto di lavoro e l’impressione di correre dei rischi nella propria attività. (...) Quando gli individui si sentono minacciati tendono a reagire in maniera difensiva e poco immaginativa. (...) Si attengono a routine sperimentate e collaudate anziché cercare di affrontare in maniera nuova il loro ambiente. (...) Perciò è generalmente più probabile che corrano dei rischi e sperimentino nuovi modi di procedere nelle situazioni in cui si sentono relativamente al sicuro da minacce. 
Il presente rapporto suggerisce quindi che alla rivoluzione nella struttura del management realizzata negli anni Ottanta si aggiunga negli anni Novanta e nel prossimo secolo un’altra rivoluzione che incrementi (...) la sicurezza psicologica sul lavoro e il sostegno pratico allo sviluppo e alla realizzazione di metodi di procedere nuovi e più sofisticati. 
*** Michael WEST, Clive FLETCHER e John TOPLIS, psicologi inglesi, Fostering Innovation: A Psychological Perspective, British Psychological Society, Leicester, 1994, citato da Guy Claxton, Il cervello lepre e la mente tartaruga, 1997, Mondadori, 1998. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 30 giugno 2015

# Manager, troppo a sinistra e poco a destra (854) 
Uno dei motivi per cui così pochi manager sono riusciti a fare il salto dal ruolo di bravo manager a quello di leader di successo è che la cultura aziendale, insieme alla società nel suo complesso, apprezzano e premiano le realizzazioni fatte con la parte sinistra del cervello e tendono a sottovalutare quelle fatte con la parte destra. Pensare alla riga dei totali è una manifestazione del dominio della parte sinistra. Le abitudini nascono nella parte sinistra e sono disfatte da quella destra. 
*** Warren BENNIS, 1925-2014, famoso consulente di direzione statunitense, esperto di comportamento organizzativo, Come si diventa leader, 1989, Sperling & Kupfer, Milano, 1990. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 1 luglio 2015

# Frenesia, non c’entra con la velocità (855) 
Vi è una grande differenza tra frenesia e velocità. La velocità è un modo di agire in stretta connessione con la possibilità di raggiungere un obiettivo. Senza velocità non vinco un gran premio di formula uno. Senza velocità non finisco in tempo un compito che mi è stato richiesto di consegnarlo entro questa sera.
La frenesia è invece quel comportamento che utilizza la velocità sempre, indipendentemente dalla necessità imposta dall’obiettivo. Nella frenesia vi è una coazione a ripetere che applica la velocità come standard, come modello diventato automatico e meccanico di agire. La frenesia è la velocità che si è trasformata da mezzo a condizione, da funzione a modalità d’essere. 
*** Gian Maria ZAPELLI, consulente di direzione e formatore, saggista, Vincere lo stress, Il Sole 24 ore, Milano, 2005. Anche in ‘Mixtura’ (masferrario.blogspot.com), 2 luglio 2015

 

a cura di Massimo Ferrario, consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-Logos

 

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