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     n. 1 anno 2022

Se non capisci cos'è una cultura people centric non potrai mai sviluppare un business customer centric

di Alessandra Belluccio

Nel 1980 i professori Edward Deci e Richard Ryan dell’Università di Rochester, New York, distinsero sei principali motivi per cui le persone lavorano e creano valore per le organizzazioni e per i clienti: il gioco, alla base della motivazione e dell’apprendimento, lo scopo, per un lavoro identitario, il potenziale, la pressione emotiva, la pressione economica e l’inerzia.

Una cultura organizzativa ad alte prestazioni massimizza i motivi del gioco, dello scopo e del potenziale e riduce al minimo quelli inerenti la pressione emotiva, la pressione economica e l’inerzia.

A distanza di oltre quaranta anni, con tutti gli stravolgimenti tecnologici, climatici, demografici intervenuti, alcuni accelerati anche dalla pandemia ancora in corso, possiamo ritenere la tesi ancora valida, salvo allineare le modalità di creazione di una cultura organizzativa siffatta alle nuove regole del gioco: lavoro agile, digitalizzazione, flessibilità, dematerializzazione di prodotti e processi, deverticalizzazione organizzativa.

La cultura organizzativa è un ecosistema. Gli elementi della cultura interagiscono e si rafforzano a vicenda e si trasformano in esperienza vissuta e poi in valore per i lavoratori e per i clienti.
Facciamo qualche esempio concreto: le compagnie telefoniche offrono, solo per i nuovi clienti, dei contratti molto vantaggiosi in termini economici e di servizio, ma i vecchi clienti non ne hanno diritto. La perdita/insoddisfazione del singolo cliente sembra non impensierire le aziende e questo è grave perché significa non tener conto del vero valore di quel cliente, che è quello che si sviluppa nel tempo.

Ma, in termini di valore e profittabilità dell’azienda, il costo di acquisizione di un nuovo cliente per l’azienda è molto più alto di quello del mantenimento di un cliente già acquisito.

Pensiamo invece ad Amazon: in questo caso, l’App o il portale di eCommerce sono solo la punta dell’iceberg. Dietro c’è una macchina logistica poderosa, un’organizzazione coordinata e un’attenzione ai dettagli che creano la magia di una consegna anche in 24 ore e una gestione impeccabile dei resi.Il contrario dell’APP Immuni!

In sintesi non importa se parliamo di servizi, di prodotti o di app; quando parliamo di Customer Experience, ciò che conta è che non si riduca il tutto ad un gadget tecnologico, ma si guardi appunto all’esperienza nella sua totalità.

Concretamente vuol dire farne una missione aziendale e creare cultura, analizzare i KPIs, definire obiettivi e strategie per colmare i gaps, insomma far diventare la customer centricity una pratica quotidiana che interessa e coinvolge tutta l’azienda.

Ma, attenzione, anche un CRM da solo non garantisce la centralità del cliente. Prima di definire strategia e strumento, di chi è la responsabilità della soddisfazione del cliente? Certo non dell’IT, né del Customer Service, né dell’Amministrazione o del Marketing o delle Vendite. Nessuna funzione può essere ritenuta da sola responsabile perché tutte sono coinvolte. L’errore è non attribuire una precisa responsabilità ad ognuna, per la sua percentuale di influenza sulla soddisfazione totale del cliente. E ancora più grave è l’errore di non partire dalle Persone che ricoprono queste funzioni e dalle relazioni tra le stesse.

Ed arriviamo così al punto: per chi si prende cura delle persone che lavorano in azienda, la principale e continua azione quotidiana deve essere l’attenzione al cliente interno, il lavoratore, dal momento della selezione a quello dell’eventuale uscita dall’azienda, attivando tutti gli strumenti possibili, dall’ascolto ad un sistema di performance management trasparente ed incentivante, all’allenamento costante e diffuso delle competenze, alla negoziazione di merito, al feedback costante e ripetuto nel tempo.

Occorre sviluppare in primo luogo una cultura People Centric, in cui si promuova un senso identitario del lavoro, in cui siano chiari gli obiettivi ma soprattutto il purpose, in cui si valorizzi il potenziale e si favoriscano relazioni sane e trasparenti, non evitando ma gestendo i conflitti.

Occorre rendere unica e straordinaria prima di tutto l’esperienza delle Persone in azienda.

Anche e prima di tutto con queste è importante avere comportamenti coerenti in una visione onnicomprensiva.

L’esempio è sempre una buona pratica. Se si attribuiscono obiettivi al lavoratore, questi devono essere coerenti con una visione che metta al centro il cliente; se si riorganizzano i servizi di prenotazione e di accettazione, anche con l’introduzione di nuove tecnologie, questi devono essere pensati in funzione del valore da rendere al cliente; se si assume un lavoratore, occorre valutare la sua capacità di ascolto, la sua spinta valoriale, la sua attenzione ai bisogni dell’altro.

Ogni azione, volta all’interno o all’esterno dell’organizzazione, deve essere pensata e sviluppata in questa ottica. Solo così essa si trasformerà in crescita di valore ed anche in ricavi per tutta l’azienda.

Dobbiamo superare la logica della gestione della relazione con il lavoratore e poi del cliente per passare a quella della gestione dell’esperienza.

La prima è il modo con cui l’azienda capitalizza quello che sa del lavoratore e del cliente, raccogliendo i dati di ogni interazione per migliorare il contatto all’interno dell’organizzazione e tra questa e il cliente, soprattutto nell’ottica di spingere il proprio business.

La gestione della people e poi della customer experience invece vuol dire ascoltare quello che il lavoratore /cliente pensa e si aspetta dal noi e attivare tutta l’organizzazione verso quel risultato, essendo disponibili anche a modificare per questo l’organizzazione e ad innovare.

Esistono degli ostacoli affinchè questo si realizzi e parto da un assunto un po’ forte ma di cui sono estremamente convinta: un sistema che non è spinto, costretto ad orientarsi alle Persone, non lo farà spontaneamente. 

Questo perché un sistema, prima che possa chiamarsi tale, è solo la somma di tanti interessi particolari, di tante visioni non sempre allineate, di piccole routine operative quotidiane che seguono le priorità e le convinzioni dei singoli.

Per questa ragione ritengo che i tre principali ostacoli siano:

  1. La mancanza di una cultura People centric a livello dei vertici aziendali e della sua declinazione a tutti i livelli dell’organizzazione.
  2. Una visione di breve periodo della relazione con il lavoratore e con il cliente.
  3. La scarsa attenzione all’innovazione dei processi,dal primo contatto con il lavoratore/cliente o anche prima, fino alla verifica della sua soddisfazione e alla raccolta del feedback.

E tutto questo ha molto a che fare con la leadership, spesso ancora ferma su vecchie logiche o, nel migliore dei casi, quando più innovativa, basata prevalentemente su una cultura e logiche data driven, senza attenzione al gioco/motivazione, al purpose/identità, al potenziale/competenze.

Nel mondo sanitario, un esempio concreto è fornito da un progetto in corso in un Ospedale per la riorganizzazione del Dipartimento di malattie cardiovascolarie. Esso è ispirato ad una cultura customer o Patient centric, ma passa prima di tutto attraverso una cultura People centric.

Nei modelli convenzionali, il paziente, per curarsi, deve seguire un reale percorso ad ostacoli con lunghe attese, ripetizioni di esami diagnostici e prestazioni non sempre appropriate, in cui spesso le diverse unità operative non dialogano tra di loro.

Qualche mese fa in questo Ospedale è stato istituito l’Heart Team con il precipuo scopo di passare da un modello centrato sull’ospedale, in cui il malato segue un percorso di cura organizzato sulle competenze mediche verticali, ad un’organizzazione che mette al centro il malato.

Riportare il paziente al centro del percorso di cura vuol dire far evolvere i processi gestionali verso la multidisciplinarità, vuol dire modificare l’ospedale e l’organizzazione da un punto di vista di lay-out, ma soprattutto dal punto di vista della presa in carico del paziente, dai servizi di prenotazione, sino alla dimissione ed ai successivi follow-up. 

Tutto questo non si verifica senza ripensare il modo in cui gli attori del sistema, i lavoratori, agiscono ed interagiscono tra di loro; è stato necessario partire dalla riorganizzazione dei turni di medici e dell’altro personale sanitario, dai processi di formazione, dalla verifica delle competenze, da processi di comunicazione più fluidi, da sistemi informativi integrati, dalla cartella clinica condivisa e dal dialogo costante tra la programmazione sanitaria, componente medica, e la programmazione operativa, componente amministrativa.

Ma è stato necessario soprattutto promuovere una nuova cultura aziendale in cui non è più il singolo professionista a fare la differenza ma il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema in un unico modello condiviso.

La strada sarà lunga e già si intravedono gli ostacoli ma vale la pena provarci.

 

Alessandra Belluccio, Direttore Risorse Umane, Organizzazione e Programmazione Operativa, Gemelli Molise SpA. Presediente AIDP Campania

 

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