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     n. 9 anno 2021

I profili disciplinari nell'utilizzo dei Social Network in azienda

di Cristina Guelfi

di Cristina Guelfi

 

È legittimo il licenziamento per motivi disciplinari di un dipendente che durante le ore di lavoro trascorre un lasso di tempo prolungato sui Social Network siano essi Twitter, Facebook, Instagram, Linkedin rilevando ai fini disciplinari la sola quantità di tempo sottratto allo svolgimento dell'attività lavorativa.
Questo è quanto è stato previsto dalla decisione della Suprema Corte che con la sentenza n. 3133 del 28 marzo 2021 in materia di licenziamento disciplinare per eccessivo utilizzo di Social Network in ambito lavorativo ha privilegiato come criterio per la determinazione ai fini disciplinari della rilevanza del fatto commesso dal lavoratore la quantità del tempo trascorsa in una giornata di lavoro sui Social rispetto alle modalità di accesso.
La Corte ha poi specificato che l'abitudine di un lavoratore a distrarsi quotidianamente per utilizzo incessante dei Social attiene non solo ed esclusivamente al profilo disciplinare della condotta ma riguarda anche il profilo della valutazione delle performance in coerenza con gli obiettivi che in ogni caso un dipendente è chiamato, a seconda dei contesti aziendali, a raggiungere indistintamente dalla natura della prestazione e dall'inquadramento giuridico applicato.
Nel caso di specie una dipendente, assunta con contratto a tempo indeterminato, con mansione di addetta contabile, è stato licenziata per motivi disciplinari dal datore di lavoro perché dai controlli effettuati dall'azienda era risultata essersi collegata in una giornata lavorativa dal computer del suo ufficio 4.500 volte a Facebook. Un numero, dunque, di volte troppo ampio per essere casuale e irrilevante. Tanto più che nel caso in questione i giudici avevano constatato la correttezza della procedura adottata da parte dell'azienda in materia di controllo a distanza dei lavoratori così come oggi prevista dall'art 4 dello Statuto dei Lavoratori secondo la quale, a seguito della riforma avvenuta nel 2015, un datore di lavoro può ben predisporre un meccanismo di controllo sui dispositivi di proprietà aziendale dati in uso ai propri dipendenti se preventivamente dimostra di avere adempiuto agli obblighi in materia di Privacy secondo i canoni e i criteri espletati dal Regolamento Europeo e dal conseguente decreto attuativo vigente nel nostro Paese. A questo si aggiunga la predisposizione dell'azienda della Social Media Policy quale strumento regolatorio e informativo per i lavoratori sulle conseguenze disciplinari di comportamenti non conformi all'interesse datoriale in ambito Social. Uno strumento di prevenzione per l'azienda ma anche all'occorrenza di prova in sede giudiziale in relazione all'adeguata informazione e istruzione per i dipendenti e anche collaboratori sull'utilizzo degli strumenti social e sulle conseguenze disciplinari possibili. Si tratta dunque di un codice di condotta che regola sia la relazione su internet, e in particolare sui social media, tra l'azienda e i suoi dipendenti (social media policy interna) e tra l'azienda e i suoi clienti (social media policy esterna) ma soprattutto si tratta di uno strumento informativo per i lavoratori sulle conseguenze disciplinari di comportamenti non conformi all'interesse datoriale in quanto danneggiano la reputazione dell'azienda, diffondono informazioni riservate o, più in generale, ledono il vincolo fiduciario
In altri termini per gli Ermellini, fondare una procedura disciplinare su una prova acquisita internamente in azienda mediante una attività difensiva di indagine è lecita se risultano essere stati correttamente espletati le attività prodromiche che la normativa sulla Privacy richiede quale la raccolta del consenso informato da parte del lavoratore ai sensi dell'art 13 del Gdpr e la redazione di una policy, Social Media Policy, interna in materia controllo e modalità di utilizzo dei Social Network.
Assolti i requisiti prodromici in materia di raccolta di consenso informato e policy di regolamentazione dei Social, l'azienda potrà ben valutare di avviare una procedura disciplinare in tal senso dal momento in cui per un lavoratore trascorrere un quantitativo considerevole di tempo sul proprio profilo Social per fini extra-lavorativi rappresenta a tutti gli effetti una violazione dei doveri generali di lealtà, diligenza e buona fede; già solo per questo quindi sanzionabili.
Sarà poi onere di ciascun datore di lavoro valutare la gravità del singolo comportamento e conseguentemente applicare la sanzione in maniera proporzionale al comportamento realizzato, sanzione che potrà essere conservativa oppure nel peggiore dei casi espulsiva.
Nel caso in esame i giudici hanno valutato correttamente la decisione presa dall'azienda di espellere la lavoratrice dal contesto lavorativo in quanto i numeri di accesso rilevati avevano superato il limite normale di tollerabilità. A questo si aggiunga che alla lavoratrice era stato più volte raccomandato di non utilizzare frequentemente i canali social in ambiente lavorativo dando evidenza più volte l'azienda della policy aziendale interna che fra l'altro era stata appositamente condivisa attraverso i mezzi comunicativi interni con tutto il personale dipendente.
Si consolida quindi il panorama giurisprudenziale presente nel nostro ordinamento sul ruolo che i Social Network assumono anche nei quotidiani rapporti di lavoro fra dipendente e azienda così come si conferma l'orientamento ormai divenuto maggioritario per cui l'uso e l'accesso frequente ai profili social nell'arco di una giornata lavorativa costituisce rilevanza disciplinare che può essere sanzionato anche con il provvedimento del licenziamento se si dimostra essere comportamento abitudinario e di un quantitativo eccessivo di ore al giorno. Complice anche la normativa in materia di controllo dei lavoratori che per certi versi ha agevolato il controllo dei lavoratori legittimandone il controllo sui dispositivi dati in dotazione ai lavoratori ma di proprietà aziendale.
Ecco dunque che la materia dei social in azienda diventa complicata perché richiede da parte dell'azienda una attenta lettura e interpretazione che non può prescindere da una serie di strumenti di pari importanza quali la normativa dello statuto dei lavoratori in tema di controlli dei lavoratori, l'attenzione alle iniziative di regolamentazione interna come la Social Media Policy e l'interpretazione e l'orientamento che i giudici sempre più di sovente esprimono sul tema delineando l'aspetto pratico sul profilo tecnico giuridico. Insomma anche in questo caso prevenire e meglio di curare.

avv. Cristina Guelfi - Founding Partner Studio Legale NG Legal 

 

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