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     n. 10 anno 2021

Le nuove politiche attive del lavoro
Se otto milioni di disoccupati
Vi sembran pochi...

di Simona Lombardi e Walter Passerini
(www.fondazioneantoniolombardi.it)

L'allarme è lanciato: grazie alla pandemia finora si sono perduti un milione di posti di lavoro, c'è chi dice un milione e mezzo, ma la cifra reale la vedremo prossimamente, ed è purtroppo destinata a crescere. La bomba dei senza lavoro sta raggiungendo livelli da record, che stanno travolgendo le scarse difese e le arretrate politiche del lavoro. Nel nostro paese si rischia ancora una volta di perseguire le vecchie pratiche assistenziali, ma ormai è conclamato: la disoccupazione non si combatte solo con un assegno o con un bonus, ma va affiancata da reti di servizi, pubbliche e private, che costituiscono le cosiddette politiche attive del lavoro. Tutti si devono attivizzare, nessuno può pensare di sottrarsi alla lotta per il lavoro, anche perché le forze in campo, quelle arroccate sui propri privilegi e soprattutto quelle più fragili e indifese, sono numerose e articolate e ben superiori a quelle denunciate dagli stessi mass media.

Attualmente nel nostro paese i senza lavoro, i disoccupati reali sono arrivati a superare la cifra dei 7 milioni e stanno avvicinandosi a quota 8 milioni. Come è possibile? Non è un gioco da salotto. Vediamo insieme, su dati disponibili al momento di scrivere. I disoccupati ufficiali nel nostro paese sono oltre 2,5 milioni. Sono persone che hanno perso il posto di lavoro e hanno compilato la Did (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro), risultando così presi in carico dai servizi attuali, i Centri per l'impiego, che il più delle volte non sanno da che parte cominciare.

A questi vanno aggiunte le cosiddette forze di lavoro potenziali, che hanno tipologie e caratteristiche articolate. In questo momento l'Istat ne conta in totale oltre 3 milioni, sono persone senza lavoro, oltre 1,7 milioni sono donne, oltre 1,3 milioni sono maschi. I diplomati, laureati e masterizzati superano quota 1,6 milioni. Sono persone che in stragrande maggioranza (2,8 milioni) non stanno cercando un lavoro ma sono disponibili a lavorare. Oltre 100 mila invece stanno cercando un lavoro ma in questo momento non sono disponibili a lavorare. Poi ci sono gli scoraggiati, cioè coloro che pensano di non riuscire a trovare lavoro, che sono circa 1,5 milioni.

Se sommiamo i disoccupati ufficiali con le forze di lavoro potenziali e gli scoraggiati arriviamo a superare quota 7 milioni: è questo il campo di intervento da cui dobbiamo partire, a cui seguono altre tipologie di soggetti. E' questo l'esercito dei senza lavoro, il cuore delle politiche attive e il loro numero è destinato ad aumentare in vista dello sblocco dei licenziamenti. Vi sono poi altri soggetti: quelli che hanno un contratto a scadenza; i part timer involontari; quelli che sono in aziende soggette allo stato di crisi e tutti i lavoratori che ora sono coperti delle casse integrazione guadagni: con le nuove statistiche dopo tre mesi di cassa vengono classificati a tutti gli effetti come disoccupati. E poi aumenterà il numero degli scoraggiati e quello degli inattivi fasulli: questi nuovi pendolari del lavoro e dei mille mestieri che faranno scendere il valore dei contributi, e saranno condannati alla triste storia del lavoro nero. Bisogna quindi fare presto e trovare delle soluzioni. Da qui dovranno decollare nuove strategie e nuove proposte. Da qui dovranno essere messe in cantiere, finalmente, le nuove politiche attive del lavoro.

UNO STATUTO DEI LAVORI, RICORDANDO MARCO BIAGI VENT'ANNI DOPO

Le conseguenze della pandemia e della crisi hanno fatto riaffiorare un grande bisogno, per combattere la disoccupazione, per ricostruire delle politiche attive del lavoro e un sistema di tutele rinnovato. Molti propongono ammortizzatori universali, altri l'avvento di un vero e proprio Statuto dei Lavori, non antitetico ma integrativo per efficaci politiche del lavoro. Il dibattito ha avuto un andamento carsico. Molti ne parlano ma pochi si dedicano a costruire un rinnovamento del sistema di tutele. Vorremmo contribuire a farlo noi, in quest'anno particolare, dopo vent'anni. Quest'anno ricorre infatti il ventesimo Anniversario della presentazione del Libro bianco che, appunto, vent'anni fa (ottobre 2001) vide la luce ad opera di Marco Biagi, che lo stilò insieme a un gruppo di esperti. Un testo profetico e lungimirante, che costò la vita al professore (19 marzo 2002), un testo utile da cui ripartire, sottraendolo alle inconcludenti discussioni ideologiche, che non hanno contribuito all'adozione di misure efficaci e strategiche.

Si tratta del documento, consistente in 90 pagine, presentato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell'ottobre del 2001. Un Libro Bianco che ancora oggi può indicare diverse soluzioni al problema della disoccupazione. Si legge nell'executive summary: "Il conseguimento di una maggiore occupazione non dipende esclusivamente dalle politiche del lavoro qui delineate. Esse, tuttavia, devono assicurare che la crescita economica possa essere pienamente sfruttata, accrescendo le possibilità occupazionali degli individui ed aumentando l'intensità occupazionale dello sviluppo economico. A questo fine deve essere rafforzata la capacità di funzionamento efficiente del mercato, liberandolo dalle inefficienze economiche e normative che hanno nel corso degli anni ostacolato il pieno dispiegarsi delle sue potenzialità. Ciò, ovviamente, non dovrà avvenire restringendo le tutele e le protezioni, bensì spostandole dalla garanzia del posto di lavoro all'assicurazione di una piena occupabilità durante tutta la vita lavorativa, riducendo, quindi, i periodi di disoccupazione o di spreco di capitale umano."

Eloquente la parte che riguarda la proposta di uno Statuto dei Lavori. Soprattutto oggi, in un'economia e in un mercato del lavoro che si sono frammentati. La sfida è quella del rapporto tra flessibilità e sicurezza. E' del tutto ingiusto che ancora oggi vi siano lavoratori tutelati e soggetti fragili. Le politiche attive del lavoro non devono aumentare le disuguaglianze. E' un problema di civiltà e di democrazia. Oggi esistono lavoratori di serie A e lavoratori di serie B: nel lavoro precario e in quello sommerso, nel lavoro autonomo e nelle partite Iva, nel lavoro indipendente e in quello dipendente, nel lavoro pubblico e in quello privato. Ancora troppi sono i sistemi di tutele e i mille contratti che tendono a dividere. Mentre si affacciano sul mercato del lavoro nuovo figure professionali, dai rider agli smart worker. Che chiedono rispetto e un nuovo vocabolario dei diritti.

Simona Lombardi e Walter Passerini
(www.fondazioneantoniolombardi.it)

 

 

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