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     n. 22 anno 2021

Innovation Manager Community: conversazione con la sua animatrice Francesca Chialà

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

Il tema dell’innovazione, legato principalmente a concetti quali digital disruption/evolution, circular manufacturing, sostenibilità, ESG, growth hacking è senza dubbio oggi uno dei più battuti e dibattuti: la complessità forse più rilevante sta nel gestire quello che nei fatti rappresenta un cambio culturale. Creare e diffondere cultura, nelle grandi imprese e, a scendere, fino alle PMI, rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per poter innescare il cambiamento. In tal senso è molto interessante la strada perseguita dall’Innovation Manager Community. Ne abbiamo parlato con la sua animatrice, Francesca Chialà.

L’Innovation Manager (IM) è una figura di cui sempre più spesso si parla e che un numero crescente di aziende più grandi cristallizza ormai in una “casella” organizzativa ben definita (come succede anche per la diversity). Interessante quindi l’approccio di creare una community. Quali sono i principi cui la nuova community si ispira e e quali sono i motivi per cui è nata?
L’Innovation Manager è una figura completamente nuova che il mondo delle grandi aziende multinazionali italiane e straniere stanno inserendo all’interno dei loro organigrammi. Il loro numero sta diventando sempre più rilevante ma, essendo un nuovo ruolo, gli Innovation Manager non hanno ancora creato associazioni di riferimento che li rappresentino formalmente, così come non hanno l’opportunità di scambiarsi in modo strutturato e continuativo informazioni, esperienze, best practice, visioni di futuro. All’interno delle Università hanno iniziato a studiare questa evoluzione strategica ed organizzativa e a creare delle community embrionali basate principalmente sull’analisi delle best practice

Quali sono le principali caratteristiche che un buon IM dovrebbe avere?
Per esempio, secondo la Survey della Digital Transformation Academy del PoliMi, l’Innovation Manager è un esploratore, un abilitatore e un’evangelista dell’innovazione. Deve avere visione strategica, apertura mentale, creatività, curiosità, entusiasmo e leadership, ossia la capacità di ispirare le persone verso il cambiamento, motivandole e facilitando i processi di trasformazione. 

Come avete iniziato a muovervi?
Circa due anni fa ho supportato il Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma nell’organizzazione di un  primo incontro con dieci Innovation Manager per iniziare a confrontarci e scambiare esperienze. Poi è scoppiato il Covid, ma noi non ci siamo fermati. Abbiamo continuato a dialogare e realizzare incontri digitali informali con gli Innovation Manager per stimolarli, coinvolgerli e ispirarli.

Quali obiettivi ha questa nuova Community? In cosa si distingue da una classica associazione manageriale?
In realtà siamo ancora in una fase embrionale, non siamo né una community formale, né tanto meno un’associazione manageriale. Personalmente ho approfittato del maggior tempo che avevo a disposizione durante la pandemia per andare a scovare i diversi Innovation Manager in Italia, intervistarli, coinvolgerli con lunghissime chiacchierate telefoniche o in video call per farmi raccontare le loro esperienze personali e professionali. Sono molto felice perché grazie a questo lavoro certosino, sono nate tante nuove amicizie e ho rafforzato quelle esistenti attraverso l’autentica e generosa condivisione. E fin dall’inizio, mi sono posta soprattutto l’obiettivo di stanare le donne Innovation Manager, sempre meno visibili rispetto ai loro colleghi, per coinvolgerle non solo nei diversi eventi digitali realizzati durante la pandemia, ma per raccontare le loro storie sui social network. 

Dalle esperienze condivise quali modi di fare innovazione emergono? Un esempio particolarmente illuminante dalle aziende della community?
Cito l’unico caso in cui è stato deciso di non inserire la figura dell’Innovation Manager, per sottolineare che i diversi manager dell’azienda possono diventare e conquistarsi il ruolo di Innovation Manager.
Unilever rappresenta l’esempio di una grande multinazionale che circa quattro anni fa si è posta il problema di invertire la rotta: le scelte strategiche sull’innovazione che fino ad allora erano state sempre prese al centro dalla corporate anglo-olandese, fondata nel 1930, sono state delegate alle diverse country. In particolare, Unilever Italia ha fatto da apripista di questa nuova visione e approccio al cambiamento, con un team di lavoro che ha visto il Direttore HR, Gianfranco Chimirri e il Direttore IT, Angelo Ruggiero, lavorare insieme per ideare, progettare e realizzare progetti concreti di Open Innovation con gli incubatori e acceleratori più dinamici presenti in Italia. I risultati del loro lavoro sono stati cosi eccellenti che hanno permesso a Chimirri di diventare Global Human Resources Director di Unilever Food Solutions e a Ruggiero di essere il punto di riferimento internazionale per tutti i nuovi progetti di business innovativi.

Anche e forse soprattutto l’IT deve cambiare …
Non a caso, Angelo Ruggiero nei nostri incontri di benchmarking, ha sempre sostenuto l’importanza di trasformare anche la figura dell’IT Manager che non può più essere un semplice esecutore di decisioni sull’innovazione prese dai vertici, ma deve avere un ruolo fondamentale di guida, stimolo quotidiano e antenna verso l’esterno. In una nostra personale conversazione mi ha detto: “l’IT Manager deve rinnovarsi profondamente. Deve sposare questo nuovo mindset oppure rischia seriamente di diventare un “ruolo morto” che verrà sempre più marginalizzato nelle organizzazioni complesse”

 Come vi  ponete nei confronti dei processi di innovazione nelle PMI, specie in quelle più piccole?
Siamo ancora un gruppo informale di Innovation Manager di grandi aziende multinazionali italiane e straniere che non ha ancora deciso cosa vuol fare del proprio futuro. Personalmente penso che si dovrebbero formalizzare queste opportunità di incontro che le diverse Università in Italia stanno offrendo e creare una associazione che aggreghi tutti gli Innovation Manager in Italia, evitando quello che è successo nel mondo HR in cui sono nate diverse associazioni concorrenti. E gli Innovation Manager delle grandi aziende dovrebbero a loro volta supportare gli imprenditori delle PMI a selezionare delle figure adeguate a definire delle strategie internazionali sull’Innovazione che possano tradursi in nuovi assetti organizzativi, a ridefinire i processi, i sistemi IT e, soprattutto a supportare le persone a salire a bordo in questo cambiamento epocale.

Innovare nelle PMI si scontra con diversi ordini di problemi. Proviamo a passarli in rassegna.
Nelle PMI lavorano centinaia di migliaia di persone over 40: dovranno lavorarci per almeno i prossimi vent’anni e dovranno confrontarsi con modalità del tutto nuove di operare potendo contare su una cultura e una preparazione molto poco digitale e una scarsa propensione al cambiamento. In sintesi, c’è un universo composto in maggioranza di “nativi analogici” che bisogna far interagire in maniera virtuosa con il mondo dei “nativi digitali” che saranno la maggioranza domani.
In realtà questo non è solo un problema delle PMI, ma è la situazione anche di tante multinazionali italiane e straniere. Proprio per questo molte hanno introdotto la figura dell’Innovation Manager. L’azienda italiana che le PMI dovrebbero studiare e da cui potrebbero raccogliere molti stimoli per costruire il proprio modello di cambiamento è ENEL. Il CEO, Francesco Starace, ha avuto la lungimiranza di fondere Innovazione e Sostenibilità, creando la funzione Innovability@ alle sue dirette dipendenze e di scegliere un Innovation Manager fuori dagli schemi, Ernesto Ciorra, che ha aiutato Starace a trasformare completamente l’azienda in 7 anni.

Prendendo spunto dall’osservazione su come le grandi aziende possano supportare le PMI, non si può non citare il caso di ENEL, che ha dato vita ad un programma di supporto alle PMI della propria filiera, attraverso anche servizi “nuovi” per queste aziende, come il temporary management, che può essere utilizzato in questi contesti proprio per introdurre cultura e processi legati all’innovazione. 

Le PMI sono strutturalmente caratterizzate da sottocapitalizzazione e sottomanagerializzazione: come aggirare questi vincoli?
Non credo che il vero problema sia la sottocapitalizzazione. Nella mia visione i soldi non sono un problema: quello che manca e fà la differenza sono la Visione e le Persone. L’unico vero tema da affrontare è la sottomanagerializzazione. Per esempio, il Preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza, Antonio D’Andrea, ha creato il primo master rivolto agli Innovation Manager di oggi e di domani: il “Master Ingegneria dell’Innovazione”. Sarà accessibile sia agli studenti che desiderano diventare Innovation Manager, sia a tutti quei professionisti che vorranno mettersi in gioco e cambiare pelle. Il corpo docente sarà composta dagli Innovation Manager della nostra community informale che, generosamente, metteranno a disposizione il proprio tempo per formare gli Innovatori del futuro e dare la possibilità alle PMI di poter selezionare persone preparate concretamente attraverso l’esperienza e le best practice di chi l’innovazione la promuove ogni giorno nelle grandi aziende internazionalizzate.

Conseguenza del punto precedente: le PMI hanno risorse scarse e sono stimolate su un ampio numero di fronti. Come aiutarle ad ottimizzare i loro percorsi di innovazione selezionando quelli più confacenti alla singola realtà?
Nelle PMI l’Innovation Manager è di fatto l’Imprenditore. Non credo che i manager delle grandi aziende siano adatti a lavorare nelle PMI affianco agli imprenditori, tranne rari casi. Mentre si può formare una nuova leva di Innovation Manager, facendo studiare i giovani affianco ai Manager dell’Innovatione delle multinazionali seguendo il modello formativo della Bottega Rinascimentale e, in un anno di percorso, si possono costruire gli innovatori di domani per le PMI.

 

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