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     n. 20 anno 2021

Cernobbio, Genova, Ischia: tre eventi ricchi di spunti per le PMI

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

Lo scorso mese è stato animato da tre eventi, World Manufacturing Forum a Cernobbio, Family Business Festival a Genova, ”L’Italia riparte da qui” organizzato da ICC e UCEE a Ischia, che hanno messo sotto i riflettori alcuni temi che per PMI e aziende familiari possono rappresentare  grosse opportunità di crescita e sviluppo, ma che spesso si scontrano con alcune arretratezze strutturali del nostro sistema economico: manifattura circolare e digitalizzazione, internazionalizzazione, credito complementare.

In questo delicatissimo momento storico, in cui il nostro sistema paese sta mettendo a punto i piani di sviluppo per poter accedere “con merito” alle ingenti risorse economiche messe a disposizione dall’Europa, la classe politica e quella imprenditoriale fanno continui riferimenti a temi quali industria 4.0, trasformazione digitale, manifattura circolare, internazionalizzazione, facilitazione dell’accesso al credito e a quanto le PMI e le aziende familiari dovrebbero mettere in campo per realizzare tutti i cambiamenti invocati.

Dichiarazioni di bandiera a parte, quasi altrettanto unanime è il riconoscimento che  sottomanagerializzazione e sottocapitalizzazione continuano a essere i fattori maggiormente  rilevanti e limitanti nelle  PMI: a ciò si aggiunga che la lunga onda epidemica rischia di incidere  soprattutto sulle imprese che avevano già dato avvio a progetti di sviluppo senza aver però ancora consolidato la propria posizione economica e finanziaria. Per queste imprese, abbandonare forzatamente le strategie di sviluppo, soprattutto dei progetti di ricerca, potrebbe avere effetti negativi di più lungo periodo.

Dal World Manufacturing Forum di Cernobbio

Partiamo dalle tematiche legate al manufacturing e alla digitalizzazione. Si ha spesso la sensazione che tutto il gran parlare che se ne fa soffra di una forte distorsione prospettica: si parla infatti tantissimo delle nuove competenze che le ondate di cambiamento comporteranno e di come le aziende debbano avviare pesanti percorsi di re-skilling e/o up-skilling, ignorando molte delle complessità gestionali che gravano sulle PMI.

Nel corso dell’ultimo World Manufacturing Forum, e in particolare nelle 10 Raccomandazioni della World Manufacturing Foundation, è stato evidenziato come il fattore culturale e la mancanza di adeguate competenze siano un fattore di ritardo per lo sviluppo delle PMI sulla strada della digitalizzazione, a sua volta precondizione necessaria per poter pensare alla manifattura circolare, insieme alla carenza di finanziamenti.
Il punto è quantitativamente rilevante, se pensiamo solamente alle centinaia di migliaia di persone over 40 che nelle PMI lavorano - e che dovranno lavorarci per i prossimi vent’anni - molte delle quali dovranno confrontarsi con modalità del tutto nuove di operare potendo contare su una cultura e una preparazione molto poco digitale e una scarsa propensione al cambiamento.
In buona sostanza, c’è un universo composto in maggioranza di “nativi analogici” che bisogna far interagire in maniera virtuosa con il mondo dei “nativi digitali” che saranno la maggioranza domani.

La combinazione tra aspetti progettuali, gestione del cambiamento e  carenza di competenze e risorse necessarie a gestire il tutto fa sì che le PMI utilizzino spesso lo strumento del temporary management, preferito alla consulenza tradizionale per un approccio orientato più al fare e al gestire e che si rivela un modo ottimale per portare rapidamente in casa competenze di alto livello e immediatamente operative, in più capaci di operare in contesti straordinari, come l’attuale. Strumento che, nella sua accezione part time/fractional è accessibile anche a realtà molto piccole (<5 milioni), quali buona parte delle aziende italiane.
Quello che chiedono le imprese sono manager che sappiano creare contesti in cui le persone e le organizzazioni siano in grado di evolvere armonicamente in un quadro rivoluzionario, grazie alle infinite potenzialità degli strumenti tecnologici e alla loro facilità e immediatezza di accesso. Non dimentichiamo che nei prossimi anni avverrà un progressivo inserimento di “nativi digitali” a fronte di una progressiva uscita di “nativi analogici”, ciò che richiede particolare sagacia nella gestione dei meccanismi di sovrapposizione e di blending.

Dal Family Business Festival di Genova

Tra i numerosi spunti offerti  dal Family Business Festival di Genova, ci siamo soffermati su un interessante considerazione di SIMEST sulle possibilità di internazionalizzazione che il nuovo contesto offre alle imprese familiari, non solo a quelle più grandi, ma anche a quelle di dimensione più contenuta (tra i 20 e i 50 milioni), tra le quali non sono infrequenti operazioni di investimento all’estero.

Secondo Mario Alfonso, AD di SIMEST, la crisi pandemica ha rivoluzionato lo scenario globale, ridisegnando il modello di globalizzazione del commercio internazionale, creando al contempo opportunità per le imprese familiari che vogliano investire sullo sviluppo tramite operazioni di acquisizione all’estero, sia di aziende concorrenti sia di aziende complementari.

SIMEST mette a disposizione delle aziende le risorse economiche e finanziarie per poter giocare sui tavoli internazionali, in forma non invasiva, senza quindi entrare nella governance aziendale e senza quindi toccare gli equilibri del controllo: di fatto, forniscono “capitale paziente” con un’ottica di medio-lungo periodo. Con l’ulteriore vantaggio per l’azienda di avere un partner istituzionale che rappresenta il nostro Stato: un grande passo verso la realizzazione del principio di un sistema paese che si muove compatto verso l’estero, sulla falsariga di quello che sono sempre stati maestri a fare i cugini francesi, che peraltro abbiamo sempre invidiato.

Per le aziende più piccole, il vincolo per poter cavalcare proficuamente questa nuova onda è spesso rappresentato dalla mancanza di adeguate risorse e competenze per muoversi agilmente e disinvoltamente sui mercato internazionali, e soprattutto per cambiare mentalità nei confronti dell’internazionalizzazione.

A questo riguardo è possibile distinguere tra tre diverse tipologie di impresa: quelle per cui i mercati esteri sono uno sbocco di tipo addizionale e nulla più (imprese esportatrici); quelle innovative che considerano i mercati esteri come fonte di fattori produttivi e quindi come destinatari di investimenti diretti (imprese internazionalizzate); quelle infine che si trovano a metà del percorso (la maggior parte),  e che, pur percependo il bisogno di cambiare non sanno come coniugarlo con i vincoli derivanti dal loro passato. 

Il problema per le aziende “a metà strada”  è come immettere nuove capacità che permettano loro di accelerare i tempi di passaggio alla fase della maturità: il temporary management può essere una soluzione ottimale in tal senso.
Una soluzione che le PMI sembrano gradire in modo particolare è, per questo tipo di operazioni, la possibilità di utilizzare temporary manager locali (un indiano in India, per intenderci), in quanto decisamente più competitivi e più efficaci rispetto all’utilizzo di italiani espatriati, data la conoscenza di “usi e costumi”, sistema giuridico, metodi di gestione, lingua e più rapidi nella presa di contatto con il problema e con la locale filiale. Senza dimenticare il sensibile vantaggio in termini di costi.

E’ possibile enucleare una serie di situazioni tipiche, rilevate nel caso di operazioni da parte di aziende a proprietà e controllo italiane verso paesi terzi.
Iniziamo dalla fase di pre-acquisizione, ovvero di identificazione e selezione dei possibili target per un investimento diretto (IDE o FDI) o una JV.
L’utilizzo più frequente è nel caso di acquisizione di quote di controllo (e talvolta di minoranza qualificata) in aziende piccole e/o di matrice familiare in un altro paese. Attraverso manager esperti dello specifico settore risulta più veloce la parte di identificazione dei possibili target, così come i primi contatti preliminari con la proprietà, inizialmente anche su base anonima. 
Oltretutto, avvalendosi di un manager che ha conoscenza specifica del settore, risulta essere più efficace ed efficiente anche l’attività di assessment del management esistente, che è uno degli aspetti maggiormente trascurati (anche solo per “ignoranza”) in queste situazioni.
 Il contributo di un manager  può limitarsi alla sola fase esplorativa e pre-negoziale, ma talvolta si estende alla fase negoziale vera e propria e alle prime fasi di gestione dopo la conclusione del deal, come soluzione ponte per preparare l’ingresso di un manager, sempre locale, su base permanente o semi-permanente.

Spesso, specie nel caso di acquisizione di aziende piccole, l’acquirente decide di mantenere con ruoli operativi uno o più membri del gruppo familiare di controllo originario. La motivazione principale è quella di garantire una transizione soft verso la nuova proprietà, dando tempo a persone che hanno magari un’anzianità aziendale molto elevata  e un rapporto fiduciario e personale con la proprietà di adattarsi a nuove logiche e a nuovi comportamenti. 
Nella realtà purtroppo si riscontra che tutti gli elementi appena citati funzionano al contrario: gli esponenti della vecchia proprietà finiscono per continuare a gestire l’azienda come se fosse la loro, con una serie di ricadute decisamente poco gradevoli per il nuovo entrante.

Dal convegno di Ischia “L’Italia riparte da qui” 

Dal convegno, organizzato da IIC Istituto per il Credito Complementare e UCEE (Unione Camere Esperti Europei), è emerso un crescente interesse da parte delle PMI verso sistemi alternativi per sopperire alla carenza di liquidità che contraddistingue l’onda lunga del COVID.

Parliamo di una pratica commerciale, il barter, o corporate barter o barter trading, ampiamente utilizzata ed apprezzata in altri contesti, ad esempio quello americano, che regola lo scambio multilaterale di beni o servizi in compensazione. 
Qualcuno potrebbe obiettare che il baratto (questa è la traduzione dei termini inglesi sopra riportati) risale alla notte dei tempi: l’innovazione sta nel superamento della natura bilaterale originaria del baratto, per arrivare ad un concetto di tipo multilaterale. 
Questo significa che una transazione commerciale non si limita ad un puro e semplice  scambio di merci o servizi di tipo bilaterale, ma prevede l'assunzione di crediti, da parte di chi vende, e debiti, da parte di chi acquista, direttamente nei confronti del circuito, che possono essere saldati rispettivamente con l'acquisto e la vendita di beni e servizi nello stesso circuito in un tempo successivo. 
Questo meccanismo consente un’armonica diffusione e circolazione degli scambi all’interno del circuito, che è in certo qual modo garante del bilanciamento tra crediti e debiti complessivi, facilitando l’incontro tra una domanda e un’offerta non più condizionate da problemi di liquidità.

 

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