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     n. 5 anno 2020

Imparare dallo sport a gestire lo stress

di Fulvio Cuizza

Il temporary management porta con sé diverse forme di stress che potremmo definire congenito alla natura stessa della professione; ne citiamo tre tra le più rilevanti e sentite dai manager:

  • lo stress da deadline, molto più marcato di quello riscontrabile in una normale attività manageriale dato che è abbastanza impensabile di poter chiedere l'allungamento di un progetto per motivi che siano legati a difficoltà nell'implementazione da parte del manager
  • lo stress da possibile pausa - poiché può facilmente succedere che non sia immediato e scontato al termine di un progetto ne inizia subito un altro, questa forma di paura del "vuoto" inizia a manifestarsi di solito un mese prima della fine di un incarico
  • lo stress da pausa effettiva - se poi la pausa si materializza, ecco manifestarsi un forte stress di natura economica oltre ad uno di natura psicologica.
Dal mondo dello sport è possibile trarre alcune indicazioni utili per gestire al meglio queste situazioni.

Ogni nuovo scenario richiede nuove risorse personali, non solo per padroneggiarlo ma ancor prima per comprenderlo.
Fino ad alcuni anni fa situazioni molto più stabili permettevano generalmente di scegliere se e quando affrontare scenari nuovi e diversi, anche molto diversi. Oggi sono gli scenari, che cambiano con ritmi incalzanti, che ci costringono, tutti, a sforzi di interpretazione e di adattamento che sfidano volta per volta tutta una serie di certezze sulle quali pensavamo di poter contare per sempre come asset di sicuro valore professionale.
Ed è talmente profondo questo cambiamento imposto, che porta con sé anche tutte le inevitabili resistenze inconsce ad esso, a volte molto subdole e profonde perché nascono dal dover mettere in discussione anche automatismi dati per scontati, acquisiti, molti dei quali appartenenti alla nostra comfort zone professionale.
Questa è la prima matrice di quello stato di stress permanente al quale saremo sottoposti con le prossime ondate di cambiamento che a tutti i livelli toccheranno le organizzazioni, la produzione, la comunicazione e il valore professionale dei singoli.
La migliore strada virtuosa da prendere individualmente il prima possibile è quella di mettersi nelle condizioni di cavalcare tutto questo impostando un brillante lavoro su sé stessi per rendersi funzionali alle nuove sfide.
Il lavoro su sé stessi è sempre molto più difficile del semplice apprendimento di nuove nozioni, perché implica cambiamento, implica accettare di abbandonare anche alcune posizioni percepite come fondamenta della propria sicurezza e della propria visione del mondo.
È importante riuscire ad impostare un profondo lavoro di consapevolezza, per poter avere delle solide basi di conoscenza sui propri meccanismi interni. Tutti conosciamo piuttosto bene i processi logici, consequenziali, basati sull'elaborazione corretta dei dati...ma su questi processi nel medio periodo siamo destinati ad essere rimpiazzati dalle macchine, che li fanno più correttamente, velocemente ed economicamente di noi.
Sono infatti altri i processi interni che faranno la differenza, che costituiranno il nuovo valore aggiunto.
Si parla già da molto tempo di soft skills, ma vediamo che vengono ancora quasi sempre considerate ed insegnate come nuove tecniche da acquisire. Serve invece un salto di qualità, che porti a sviluppare un vero profondo interesse per tutto ciò che accade nella nostra esperienza soggettiva, in quel continuo flusso di rappresentazioni multisensoriali che costituisce il nostro mondo interno e che popola quella "stanza dei bottoni" interiore dove vengono prese le decisioni, dove vengono innescati gli atteggiamenti mentali che poi determinano tutti i nostri comportamenti.
Quando lavoro con professionisti dello sport, ci troviamo a cercare assieme le strategie interiori ottimali per riuscire a trasformarein azione agonistica tutto il capitale accumulato con la preparazione atletica, tecnica e tattica. Un errore nei processi interni può compromettere tutto il lavoro svolto, mentre sapersi mettere nel proprio stato di eccellenza agonistica significa porsi nella dimensione della possibile realizzazione di tutte le proprie potenzialità, ed è questa la dimensione affascinante nella quale si può riuscire a giocare attorno ai propri limiti massimali, e a volte anche superarli.
Tutto questo tenderà sempre di più a riferirsi anche alle prestazioni manageriali di eccellenza, per le quali sarà richiesta consapevolezza fisica ed emozionale, capacità di autoregolazione, lettura delle situazioni, un'ampia gamma di declinazioni comportamentali, flessibilità di obiettivi, tolleranza dell'incertezza, e così via...
Lo stress sarà inevitabile dicevamo, e quindi sarà essenziale acquisire tutte le capacità per gestirlo produttivamente, ponendosi due obiettivi principali, che sono la Prestazione e il Benessere.
Lo stress continuo logora mentalmente e fisicamente se non è ben gestito, e condiziona pesantemente pure i livelli di performance.
C'è invece un livello ottimale di stress, che definiamo Eustress, che è presente quando c'è equilibrio tra le richieste di prestazione, di raggiungimento di obiettivi elevati, e la percezione di disporre delle risorse sufficienti per affrontare la sfida. Tra queste risorse ci saranno sempre nuove informazioni da acquisire, ma soprattutto ci sarà la capacità di gestire l'inevitabile pressione, con un controllo articolato a livello cognitivo, ma anche emotivo e somatico.
Qui entra l'importanza di migliorare costantemente la propria capacità di autoregolazione, riportando anche in gioco il nostro corpo, che è stato quasi sempre escluso dalla cultura aziendale tradizionale.
E non si tratta semplicemente di andare in palestra, anche se sicuramente aiuta, ma di essere in grado di leggere e gestire il proprio arousal, la propria attivazione psicofisica, che deve essere calibrata per reagire alle tempistiche e alle diverse intensità e modalità degli impegni.
È essenziale per questo prima di tutto acquisire una capacità di auto-distensione profonda, per saper ricaricare velocemente energie fisiche e nervose, per saper rallentare i ritmi interni, per staccare e resettarsi, per cambiare onda e cancellare residui emotivi parassitari.
Sintonizzarsi su ritmi e modalità cognitive ottimali permette di gestire con padronanza situazioni ed interlocutori difficili, trovare soluzioni innovative e praticabili a problemi intricati, avere un senso del tempo che permetta di affrontare le accelerazioni ma anche di gestire produttivamente le pause, i rallentamenti.
Se sappiamo stare bene dentro di noi, in equilibrio, anche gli output comportamentali saranno equilibrati ed efficaci.
E stare bene dentro significa anche essere in contatto con le proprie risorse personali, con la propria identità più profonda. A questo serve il lavoro costante di manutenzione di una Auto-immagine positiva, una considerazione di sé stessi stabile, basata sui propri tratti migliori, in grado di resistere efficacemente agli attacchi dei periodi difficili.
Il lavoro con tanti professionisti sportivi di alto livello, rilevandone i profili di stress attraverso sensori che indicano la modificazione dei parametri fisiologici in situazioni di stress agonistico, ci ha permesso di toccare costantemente con mano quanto non siano tanto le condizioni esterne a determinare lo stress, quanto la rappresentazione interna che ne viene fatta, quella che scorre velocissima nel proprio "teatro mentale". È lì che si trova la "stanza dei bottoni" dove tutto viene impostato, spesso sotto la soglia della coscienza.
La battaglia si vince e si perde prima che inizi, nella testa, ci dicono le arti marziali.
Da tempo riscontriamo come processi molto simili avvengano nello spazio mentale dei manager, negli innermovies in cui si prepara la competizione, dove la dimensione agonistica è rappresentata dalla conduzione di riunioni impegnative, dalla gestione di situazioni conflittuali, da presentazioni pubbliche sfidanti, da interlocutori problematici, dai risultati misurabili da raggiungere, dal dover cambiare strategie in corsa...
Nello stesso modo poi viene anche richiesto di avere un fisico bestiale, di amare sia la competizione che la collaborazione, di adattarsi agli avversari, gestire la pressione, l'ansia agonistica, saper vincere e saper perdere.
Per questo sembra davvero che il ruolo e la performance di un manager tenderanno a somigliare sempre più a quelle degli agonisti di alto livello, per cui sarà bene attrezzarsi per il futuro, forse meglio se con un occhio anche al modo in cui lo fa chi pratica sport rischiosi, riskyjobs...

Fulvio Cuizza - Presidente di InnerTours srl, Startup Innovativa in Area Science Park 

 

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