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     n. 2 anno 2020

Performance management: Pratica per migliorare prestazioni individuali o risultati di team?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Ritorno a parlare di performance management continuando la riflessione avviata qualche tempo fa discutendo di alcune tra le questioni che più agitano e impegnano leader, manager e soprattutto HR. Proseguo con questo contributo, che nasce soprattutto dalla pratica ossia dalle azioni di accompagnamento alle imprese che vivono la trasformazione, l'esplorazione di ciò che stanno facendo le imprese per rendere i sistemi di performance management più agili e flessibili, un'esigenza molto avvertita dalle funzioni HR come scrivevo a novembre scorso (Hr On Line, n.19).

Performance management e trasformazione: serve un cambio di prospettiva?
Siamo abituati a pensare alla performance nella prospettiva individuale. Quando parliamo di questa pratica di gestione delle risorse umane, tra le più diffuse e meno amate, la rappresentazione che ne abbiamo è quella di un sistema capace di valutare per lo più il contributo individuale dei collaboratori in termini di risultati, obiettivi raggiunti, competenze sviluppate.
Ma è ancora attuale questa rappresentazione, è capace di cogliere davvero la realtà e le sue istanze? Questa prospettiva "individualista" che sostiene ancora la pratica del goal setting regge all'urto della trasformazione dei modelli di organizzazione del lavoro che stanno cambiando radicalmente e che pongono un'enfasi sempre più marcata sul team, sui progetti cross-functional, sui processi?
Sappiamo bene infatti che imprese e manager chiedono ai collaboratori di interpretare e agire il loro ruolo in modo sempre più interconnesso e interdipendente, condizione ritenuta indispensabile questa per conseguire performance efficaci. Non è difficile immaginare allora un crescente fabbisogno di capacità di collaborare con gli altri, di condividere informazioni e conoscenze.

 

Come stanno le cose?
Ci sono esperienze che possono segnalare un cambio di direzione nelle pratiche? Sono disponibili dati capaci di aiutare le Direzioni HR a meglio comprendere la complessa questione per assumere decisioni?
A livello globale in realtà, secondo una ricerca di Mercer, l'83% delle aziende richiede ancora obiettivi individuali. Solo il 56% richiede anche obiettivi di business unit. La domanda però rimane: le persone possono efficacemente comprendere il contributo richiesto e atteso per il progresso dell'azienda senza disporre di un collegamento esplicito e chiaro tra i loro obiettivi e quelli più ampi della business unit dove collaborano o delle priorità dell'azienda per cui lavorano?
Il goal setting allora può essere un'occasione per rispondere anche a un'esigenza organizzativa fortemente sentita, ossia utilizzando il sistema di performance management per meglio strutturare ed affinare la collaborazione tra aree di business. Come? Condivido qualche esempio frutto della nostra ricerca ed esperienza.

Cosa sperimentano le imprese
Alcune aziende ricorrono all'uso di specifici workshop di definizione degli obiettivi per i livelli di management più alti a cui partecipano rappresentanti di diverse business unit, garantendosi attraverso questa via l'allineamento orizzontale degli obiettivi del Performance Management.
Altre aziende invece si sforzano di definire la performance in modo molto più ampio, valutando l'efficacia dei dipendenti nel proprio network lavorativo. In questo modo vogliono apprezzare l'impatto di un individuo sul suo team e sulle reti interne. Sono interessate a comprendere, insomma, quanto e come abbia contribuito alle prestazioni degli altri, valutando anche l'efficacia dei feedback e del supporto forniti. E' interessante il fatto che, in alcune esperienze, si tratti di un processo che vede coinvolti gli stessi collaboratori, perché è loro richiesto di considerare in che modo abbiano contribuito alle prestazioni o allo sviluppo dell'organizzazione o delle persone al suo interno. Così come sono invitati a dire anche come gli altri hanno contribuito al proprio sviluppo.
Non mancano poi esperienze molto avanzate su tale aspetto, pratiche che segnalano attenzione e investimenti particolari del management che vuole cogliere anche le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali. E' il caso di multinazionali come Cisco, GE e Google che si sono spinte oltre usando software sofisticati per comprendere le dinamiche dei team e valutare in che modo i dipendenti contribuiscono alla loro performance. In questo modo, quello che si vuole conseguire con i sistemi di Performance Management cambia pelle: da un obiettivo teso a migliorare le prestazioni di un singolo collaboratore si trasforma in un obiettivo che vuole incrementare i risultati di un team.

 

HR: un nuovo protagonismo
Si tratta di segnali che lasciano immaginare una tendenza in atto le cui potenzialità sono ancora trattenute dalle pratiche. D'altro canto è il modo con cui procede la cultura che, come al solito prudente, cerca progressivi adattamenti per rispondere alla trasformazione imponente che viviamo.
Una cosa è certa e va condivisa. Il cambiamento e la sua pervasiva e inarrestabile portata sollecitano un diverso protagonismo delle funzioni HR. Perché anche questi sono segnali importanti che non vanno sottovalutati o peggio passati sotto silenzio tranquillizzati dalla circostanza che l'uso di metriche di performance individuale siano ancora quelle a cui vengono ancorati più frequentemente i sistemi premianti. Come potrebbe essere altrimenti in questa transizione?

Gabriele Gabrielli

Executive Coach, consulente e formatore è Consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit, insegna HRM & Organisation alla LUISS e alla LUISS Business School è Professor of Practice in People management, HRM e Organisation, Organisational Behaviour. E' ideatore, co-fondatore e Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

 

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