hronline
     n. 4 anno 2019

Contro Canto n. 107 (stimoli da 652 a 656)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

GORDIO, ricominciare da lui (652)
Mi è venuto in mente il nodo di Gordio. La storia di questo nodo è significativa. Gordio era il nome di un contadino frigio che, grazie a una profezia, diventò re e fondò una città a cui diede il suo nome. L'agricoltore per gratitudine consacrò a Zeus il suo aratro, che aveva il timone annodato con un nodo complicatissimo. Scioglierlo era così difficile che si decise di dare l'impero del mondo a chi ci fosse riuscito. Passò di lì Alessandro Magno, aspirante imperatore, e non ci perse nemmeno dieci secondi: sguainò la spada e lo tagliò.
Questo gesto è stato molto amato da certa posterità sensibile ai gesti plateali, tanto che se oggi si dice nodo gordiano viene subito in mente Alessandro che sguaina la spada e zac. Del contadino, del suo aratro e della funzione simbolica di quel nodo difficile è sbiadita la memoria. Perché? Perché questi comportamenti brutali e presuntuosi di militari piacciono tanto? Forse perché sembrano contenere chissà quale saggezza (si pensi all'uovo di Colombo) e invece trasmettono l'idea banalotta che grand'uomo è chi non perde tempo con i beoti ma taglia, rompe, spacca con decisione.
Il messaggio del contadino-re tuttavia non era banale e può essere sintetizzato così: "Chi pretende il comando del mondo deve avere la pazienza, la costanza, la sensibilità e l'intelligenza che ci vogliono per sciogliere questo nodo". Messaggio di grande saggezza, finito come al solito nel nulla grazie a un colpo di spada.
E' pur vero, però, che la metafora dello sciogliere nodi ha conservato una sua positività, e il genere umano non si è ancora estinto solo grazie a chi si è sempre battuto perché i nodi non vadano tagliati ma sciolti. Certo non è cosa che ci si possa aspettare da eroi e navigatori, forse nemmeno da santi.
E' compito della gente di buona volontà ricominciare da Gordio e impedire l'ottuso ricorso dei furbi alla spada. La pace, alla fine, è il buon governo della complessità. La guerra è il trionfo criminale della semplificazione. (Domenico STARNONE, 1943, insegnante, scrittore, Bush e Gordio, ‘MicroMega', 2, 2003).

KAIRÒS, quando il tempo è ‘opportuno' (653)
Derivato da kérannumi, che in greco significa ‘mescolare', il Kairòs segnala quella mescolanza opportuna che ciascuno può riconoscere sia nel tempo atmosferico, sia nel tempo che regola le azioni degli uomini che sono praticabili solo se si perviene a quella qualità dell'accordo che rende praticabile, tra i diversi, un'azione comune.
Contadini e artigiani conoscono questo tempo, perché sia gli uni, sia gli altri, sanno che non rispettando il ‘tempo debito' il raccolto o l'opera vanno in rovina.
Nel ‘tempo debito' si custodisce l'essenza dell'uomo e il suo legame con il cielo e con la terra. Nel ‘tempo debito' c'è il suo abitare come sintonia il luogo geografico che rende possibili certe attività e non altre, i tempi del lavoro e del riposo, la qualità del proprio agire, in quello spazio specifico che è il ‘paesaggio'. (Umberto GALIMBERTI, 1942, filosofo e psicoanalista, Temperanza in tempi tempestivi, ‘domenica -Il Sole 24 Ore', 13 dicembre 1992).

LAVORO, è identità e dignità (654)
II lavoro ha sempre rappresentato qualcosa di più di una pura transazione economica. Esso contribuisce a definire la nostra identità; è una conferma della nostra utilità. Ciò che facciamo sul lavoro (...) apporta significato e dignità alla nostra vita. La dignità sul lavoro non è una semplice questione di posizione sociale e di potere. La dignità dipende in gran parte, credo, dal fatto che uno si senta apprezzato. E il senso dell'essere apprezzati sul lavoro deriva sia dalla stima che ci viene dimostrata dagli altri, sia dal nostro orgoglio nello svolgere bene il nostro compito, non importa quanto umile. Da questo punto di vista, il lavoro è una questione tanto etica quanto economica. (Robert REICH, 1946, economista, ex ministro del Lavoro statunitense, citato da David Noonan, consulente aziendale statunitense, Esopo e il manager, Etas, Milano, 2007).

SPECIALIZZAZIONE, non fa comprendere (655)
Eppure, la parcellizzazione dei ruoli e delle funzioni non solo non è inevitabile, ma deve essere ripensata alla radice. Affidarsi esclusivamente alla specializzazione comporterebbe infatti l'incapacità di cogliere i problemi nella loro ampiezza e complessità. Se il sistema ha comportato un eccesso di specializzazione, tale eccesso ha finito per indebolire la facoltà essenziale per la comprensione delle cose, la capacità critica.
Uno specialista può osservare, per la sua stessa formazione, solo una parte di ogni problema: non è abituato a vedere l'insieme. Ecco l'idea del lavoro acritico, del lavoro ai tempi della specializzazione. Il lavoro in cui torna l'alienazione nel modo in cui venne concepita da Karl Marx.
L'unica cura possibile è riuscire a guardare la totalità delle cose, di qualunque lavoro si tratti: del manager oppure della segretaria. Fare bene una professione significa ampliare il proprio lavoro oltre i confini del semplice compito, mantenere uno sguardo che definirei, in questo senso, ‘filosofico'. (Guido ROSSI, 1931-2017, docente emerito di diritto commerciale all'università Bocconi di Milano, docente di filosofia del diritto all'università Vita Salute San Raffaele di Milano, già top manager di aziende, Perché filosofia, Editrice San Raffaele, Milano, 2008).

SENSO CRITICO, e testa alta (non è mai troppo tardi) (656)

Cari ragazzi di quinta, abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore. Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. È vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti "sangue dello stesso sangue". Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi. Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad esser voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o "addomesticare" come vorrebbe. Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E' vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D'altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo. Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, se voi non volete. Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione; con l'affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza, e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare, e... amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi. E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao. (Alberto MANZI, 1924-1997, maestro, pedagogista, conduttore del programma tv di alfabetizzazione degli adulti ‘Non è mai troppo tardi', 1960-1968, da Lettera agli scolari di V elementare, dalla rete, https://bit.ly/2Gopp38)

Massimo Ferrario, Consulente di Formazione e di Sviluppo Organizzativo, responsabile di Dia-Logos 

 

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