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     n. 11 anno 2017

Assumere e trattenere candidati validi in Far East

di Carlo Gardella e Pietro Borsano

Non è infrequente il ricorso da parte di aziende italiane a temporary manager per gestire operazioni a carattere industriale e commerciale nei paesi dell'area ASEAN. Sia che si voglia gestire l'operazione attraverso un manager italiano espatriato, sia che lo si voglia fare attraverso manager locali, è indispensabile che l'azienda, specie se parliamo di PMI, abbia chiara la complessità di gestire risorse umane locali, al fine di evitare pericolosi boomerang. Questo articolo mira ad evidenziare le principali aree di criticità e di attenzione.

Assumere personale qualificato in Thailandia e nel Sud-Est Asiatico.

Di frequente, aziendeeuropeericercano personale qualificato per le loro attività commerciali o produttive in Thailandia e nelle altre nazioni del Sud-Est Asiatico.
Per i manager e gli imprenditori europei, il processo di assunzionee, in seguito, di gestione del personale thailandese, o - in generale - asiatico, appare molto difficile. Da qui, una serie di incomprensioni, strategie fallimentari e, infine, un'inadeguata gestione delle risorse interne. L'inevitabile conseguenza è l'insuccesso del business in Estremo Oriente.

Partiamo da un dato. Il tasso di disoccupazione in Thailandia è pari all' 1.1% (dati della Bank of Thailand al febbraio 2017).

Il tasso di disoccupazione thailandese ha segnato una media dell'1.46% dal 2001 sino al 2017, raggiungendo il picco del 5.73% nel gennaio 2001 ed il livello record pari a 0.39% nel novembre 2012. Se si confrontano questi dati con i numeri italiani,si inizia a comprendere l'enorme differenza tra le due realtà.Il tasso di disoccupazione italiano è più di dieci volte maggiore di quello thailandese (dati ISTAT al febbraio 2017).

Il confronto rimane a favore della Thailandia anche per quanto riguarda la disoccupazione giovanile. Tasso del 5.2% thailandese contro quello del 35.2% italiano.

Cosa consegue dalla lettura di questi dati?
Innanzitutto, la Thailandia - come molti paesi orientali - ha un regime di (quasi) piena occupazione. Ciò è dovuto anche alla (ancora) scarsa automatizzazione del lavoro, all'età media non avanzata e alla disponibilità di manodopera qualificata a costi vantaggiosi. A tutto ciò si aggiunga un sistema politico che non eroga servizi assistenziali (come sanità, pensioni, etc.); dall'altra parte, però, il governo favorisce l'impiego del maggior numero possibile di persone.
Come deve, quindi, comportarsi l'imprenditore europeo che opera in questi mercati?
Per prima cosa, non pensare secondo gli schemi italiani.La ricerca delle risorse umane- sia operai o impiegati, sia top manager - deve avvenire in tempi rapidissimi.
I candidati thailandesi sono abituati a trovare lavoro con estrema facilità. Per loro, cambiare lavoro di frequente è la norma. Nove-dodici mesi nella stessa azienda sono visti come un orizzonte temporale lungo.
La selezione deve essere rigorosa, ma anche propositiva da parte del potenziale datore di lavoro.

Le parti - rispetto all'Europa - sono esattamente invertite. I candidati, soprattutto quelli bravi, sono consapevoli del proprio valore e della loro unicità.
Vogliono proposte concrete dalle aziende e non hanno fiducia in processi di selezione lunghi e complicati. I diversi step di application, gli assignment da fare a casa, gli assessment di gruppo, etc. in Oriente sono più difficili da applicare. I candidati si aspettano un lavoro e si aspettano anche il rimborso spese per il colloquio, se hanno dovuto affrontare uno spostamento rilevante.

Qualche ulteriore consiglio in sede di selezione

Il salario è essenziale. Si chiede, si propone, si discute, si contratta. Non è un tabù come in Italia, ma il primo argomento di discussione.

Attenzione al famoso "pezzo di carta".
Qui, una similitudine con l'Italia. Non tutte le università thailandesi preparano gli studenti alle sfide del mondo del lavoro. In molte aziende locali, inoltre, il training dei dipendenti non è centrale. Si possono, pertanto, trovare dei candidati con curricula sulla carta eccezionali, ma in realtà poco adatti alle esigenze di un'impresa europea.Infine, occorre considerare la psicologia di molti laureati locali. L'appartenenza a una scuola o a un'università è un tema particolarmente sentito, in Thailandia come in molte altre nazioni orientali. La rivalità tra scuole ed università può sfiorare livelli da tifo calcistico.
Le conseguenze sul mondo del lavoro sono evidenti: i laureati provenienti dalle università migliori sono orgogliosi del loro percorso scolastico, a tal punto da poter manifestare eccessiva overconfidence e magari una qual supponenza. In fase di selezione, è pertanto difficile quantificare il vero valore che potranno apportare all'organizzazione. Una volta assunti, la loro gestione è complessa. Difatti, si rende necessario arginare l'eccessivo orgoglio, senza però sminuire il loro amor proprio. Un difficilissimo esercizio di equilibrio, intelligenza emozionale, di detto e non detto e di soft leadership. Un processo logorante per molti manager espatriati.

La lingua. I candidati che approcciano le imprese europee in genere chiedono un salario due-tre volte maggiore alla media, soltanto perché sono in grado di comunicare in inglese. Non è detto, tuttavia, che siano i candidati migliori. La conoscenza dell'inglese è senz'altro un must in molti ambienti lavorativi, ma cosa succede se ciò va a scapito del sapere tecnico? Forse è più consigliabile affidare il proprio dipartimento di produzione, logistica, prototipi, ingegnerizzazione, etc. a personale con elevate conoscenze in quello specifico settore, pur essendo carente in inglese.
Per fortuna, ci sono moltissimi tecnici, sales manager, ingegneri e dirigenti thailandesi di gradissimo valore, che tuttavia non conoscono l'inglese. L'abilità sta nel trovarli e nel gestirli.

Qual è quindi la soluzione a tutte le sfide ora elencate?
Le imprese europee che vogliono assumere nel Sud-Est Asiatico devono affidarsi a esperti professionisti, che conoscano gli usi, la lingua, la cultura lavorativa e le università locali, e possano valutare seriamente i candidati, capendone la mentalità e le aspirazioni.

Un'efficace strategia di execution e diretentiondelle risorse locali

La sfida più impegnativa è, tuttavia saper gestire, controllare, motivare e tenere in azienda i bravi dipendenti thailandesi. È questo lo scoglio su cui si sono infrante moltissime imprese occidentali.
Come spiega ogni manuale di business administration, l'execution è un elemento chiave di ogni azienda. Ciò implica anche la capacità di implementare la strategia a tutti i livelli aziendali ed indirizzare le proprie persone verso gli obiettivi prefissati.
Proprio sull'allineamento del personale locale emergono le difficoltà maggiori.

Un caso di successo è rappresentato dalle aziende giapponesi (il Giappone è uno dei maggiori investitori esteri in Thailandia e nel resto del Sud-Est Asiatico). Le multinazionali giapponesi hanno dimostrato difatti una stupefacente capacità di execution e di allineamento delle forze lavoro locali agli obiettivi strategici da perseguire.
Molte imprese europee, per contro, sono partite con le migliori intenzioni, ma hanno fatto estrema fatica ad allineare i lavoratori locali alle consuetudini, practice e linee guide decise a livello di quartier generale.
In poche parole, le filiali di molte aziende occidentali sono state fagocitate e "catturate" dalle abitudini locali, perdendo così il controllo sulle operazioni estere e sugli standard qualitativi adottati dalle loro controllate thailandesi e orientali in generale.
Ciò è dovuto soprattutto ad una scarsa conoscenza della cultura lavorativa locale, che porta ad ideare strategie aziendali sbagliate e - ancora peggio - ad eseguirle in maniera errata.
Ecco alcune delle bestpractice seguite dalle multinazionali giapponesi (soprattutto in ambito automotive):

  1. Chiarissima suddivisione dei ruoli;
  2. Ordine gerarchico ben definito;
  3. Forte spirito di appartenenza, quasi militaresco, a partire dal motto aziendale;
  4. Spiegazione lineare, schematica e semplice delle mansioni;
  5. Training costante dei dipendenti;
  6. Video, fotografie, cartelli e chart disseminati in azienda per istruire i dipendenti e ricordare loro le mansioni di ciascuno;
  7. Flow produttivo strutturato nei minimi dettagli;
  8. Middle management locale istruito e formato secondo standard giapponesi e "cinghia di trasmissione" tra la base ed il vertice;
  9. Top management giapponese integrato nella struttura aziendale e vicino ai dipendenti locali.

Questo è solo un breve esempio di come sia possibile eseguire la strategia aziendale a tutti i livelli dell'organizzazione. Non è, tuttavia, sufficiente. Difatti, risulta fondamentale motivare i dipendenti ed evitare i frequenti "cambi di casacca" descritti in precedenza.

Una volta acquisiti bravi dipendenti e averli formati, come fare ad attuare un'efficace politica di execution e di retention?
Innanzitutto, i manager espatriati o l'imprenditore occidentale debbono costruire un ambiente di lavoro adeguatamente bilanciato.Un forte legame tra il management locale e quello espatriato, e tra i dirigenti ed il personale, è la chiave di volta da perseguire per realizzare in modo efficace sia l'execution della strategia aziendale sia la retention del personale.L'ambiente lavorativo thailandese ed asiatico è basato sul rispetto, sulla gerarchia e sulla seniority, in maniera più marcata rispetto al sistema anglosassone (ma non diversamente dall'ingessato ambiente lavorativo italiano).Tuttavia, è altrettanto essenziale far sentire i propri dipendenti integrati e ben accolti presso l'ambiente lavorativo.
Può sembrare strano o eccessivo dal punto di vista del manager europeo, ma in Thailandia è una pratica gestionale delle risorse umane molto diffusa e di grande successo. Viene, in particolare, praticata dagli imprenditori di origine cinese-thai.
Per questo tipo di gestione delle risorse umane, è centrale il principio del taking care, ossia la disponibilità da parte dell'imprenditore o del manager di prendersi cura in modo empatico del proprio team.
Il taking care avviene durante le ore di ufficio. Il buon capo non si dimentica mai di portare qualche prelibatezza al suo team, di intrattenere ogni tanto i suoi e di farli sentire protetti, come se fossero in famiglia.
Ma soprattutto, il taking care emerge organizzando di tanto in tanto piccoli eventi, quali cene, karaoke, un breve viaggio, o altre attività ludiche che coinvolgano tutto il team. Sarete sorpresi circa gli effetti positivi che questa gestione delle risorse umane sarà in grado di offrire alla stabilità e all'efficienza del gruppo di lavoro.
Infine, bisogna sempre tenere a mente il contesto culturale nel quale si vive e si lavora.Come analizzato dall'antropologo americano Edward Hall negli anni settanta, si possono suddividere le culture in due grandi categorie: quelle connotate da un'elevata distanza culturale, e quelle invece caratterizzate da una ridotta distanza culturale.
Le prima culture sono, tipicamente, quelle orientali, ove la comunicazione avviene in maniera indiretta ed implicita, con grande rispetto per la gerarchia, le relazioni sociali e lo status di una persona. Edward Hall annoverava anche il problema della perdita della faccia come un aspetto cruciale per le culture orientali. Interessante notare, infine, che, nella distinzione di Hall, Italia e Francia rientrano tra i sistemi con elevata distanza culturale.

All'opposto, si trovano invece i sistemi anglosassoni e germanici, per cui, invece, la comunicazione avviene in modo diretto ed esplicito; l'accento viene posto, anziché sui rapporti sociali, sul perseguimento dell'obiettivo. È, questo, l'ambiente lavorativo, ove merito e approccio diretto con i superiori vengono accettati e, anzi, incentivati.

Gli studi di Edward Hall hanno avuto enorme seguito nello sviluppo della scienza delle risorse umane e dello staffing internazionale. Ancora oggi, la suddivisione netta operata da Hall, anche se forse un po' semplicistica, può servire ai manager espatriati per indirizzare le loro scelte di gestione delle risorse umane locali.
Proprio utilizzando gli schemi di cui sopra, i manager espatriati dovrebbero prepararsi in anticipo allo shock culturale derivato dal differente workingenvironment della Thailandia e del Sud-Est Asiatico.
Innanzitutto, debbono abbandonare l'approccio diretto ed esplicito che contraddistingue l'ambiente lavorativo occidentale. Senza, per questo, perdere di chiarezza e concisione nell'assegnare task e fissare goal: la scarsa conoscenza dell'inglese da parte della workforce locale impone essenzialità nella comunicazione.
È sempre consigliato mantenere un'attitudine calma e rilassata, evitando il più possibile di alzare il tono della voce.Questa manifestazione, il più delle volte, verrebbe percepita in modo negativo dai colleghi thailandesi.
Nell'ambiente lavorativo orientale, anche i feedback, seppur basati su fatti accaduti o comportamenti tenuti, possono essere percepiti alla stregua di una valutazione. Di conseguenza, i giudizi ed i feedback espressi dai manager espatriati vanno dosati con la massima cura.
Ad esempio, i performance assessment devono sempre essere svolti in privato, evitando che gli altri componenti del team ne siano testimoni. Non è comunque escluso che dopo un performance assessment o un feedback negativo, il dipendente decida senza preavviso di dimettersi. Seduta stante, lascerà l'ufficio o non si presenterà al lavoro il giorno successivo. Uno scenario impensabile in Europa, ma realtà quotidiana a queste latitudini. Ricevere un feedback di fronte ai propri colleghi determina una vera e propria ferita all'amor proprio. Ne consegue la c.d. "perdita della faccia", fenomeno culturale diffuso in tutte le nazioni asiatiche. Per quanto inconsueta e lontana dal nostro modo di pensare,"la faccia" riveste in Asia una significativa rilevanza sociale e contribuisce spesso ad influenzare importanti scelte, in ambito sia lavorativo sia personale.

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Carlo Gardella e Pietro Borsano - ADVISINGASIA

 

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