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     n. 18 anno 2017

Dal Philip Kotler Forum: cosa l’HR può imparare dal marketing

di Alessandro Belli

Anche le Risorse Umane devono imparare a fare marketing, diventando uno dei canali attraverso cui l'azienda comunica e si relaziona con il mercato. Un utilizzo della funzione in tal senso, può rivelarsi di grande supporto nell'ambito di progetti di temporary management inerenti la funzione stessa e/o ruoli di gestione complessiva dell'azienda. Lo spunto nasce dal PhilipKotler Marketing Forum e da un incontro ristretto con il Professor Kotler organizzato da G2 Startups

Qualcuno si chiederà cosa c'entra Kotler, universalmente riconosciuto come "l'inventore del Marketing moderno" con le risorse umane? E cosa dovrebbe interessare a chi si occupa di risorse umane della materia che ha creato e plasmato per tutti questi anni?

Sono sempre stato convinto ci fosse un forte legame e sono andato ad approfondire: non parlo di "comunicazione", né di "marketing interno" che tanto ha fatto parlare di se nel decennio scorso, quanto del Marketing delle 4P e che parla di prezzo, prodotto, distribuzione e promozione.
Non è assolutamente una forzatura come potrebbe apparire.

Prima di tutto però, in ossequio alla regola base del giornalismo del Chi, Cosa, Quando Dove e Perché, parto con qualche informazione più precisa.

Chi:ll nostro eroe è Philip Kotler, S.C.JohnsonDistinguishedProfessor of International Marketing allaNorthwestern University ed tra i 4 principali GURU del management mondiale di tutti i tempi (secondo il Financial Times).
Cosa: Kotlerè stato il pezzo forte dell'unica tappa italiana del PhilipKotler Marketing Forum (PKMF) presso l'università IULM di Milano
Quando e dove: Oltre al citato PKMF, lo scorso 7 ottobre, Kotler è stato 10 giorniin Italia, facendo circa 2 conferenze al giorno tra Roma, Bologna e Milano (il tutto alla veneranda età di 86 anni), per conoscere la realtà italiana e per presentare il suo ultimo libro "Marketing 4.0" (Hoepli).
Ricapitolando: il "GURU" del marketing a 86 anni suonati invece che andare ai giardini pubblici come tanti suoi coetanei sforna un nuovo testo sul marketing destinato a "rimpiazzare" il celeberrimo "Marketing Management" del 1967, adottato da moltissime facoltà di economia e di comunicazione nel mondo (si stima nella maggior parte di esse) e lo promuove con un tour mondiale come una rockstar.
Ma la vera domanda è, perché?
La prima cosa che mi colpisce è la sua vivacità e lucidità. Lo segue sempre un codazzo di persone che sembra davvero un'autorità istituzionale. Tra l'altro la vaga somiglianza con il Presidente emerito Giorgio Napolitano aiuta a creare questa sensazione.
Il primo contatto avviene nell'ambito di una serata ad inviti organizzata da G2 Startups: ha già una fitta giornata di incontri sulle spalle ma non si nota. E' fresco e brillante. I padroni di casa visibilmente emozionati scambiano qualche parola con lui e dopo un breve giro tra gli uffici inizia il suo intervento. Ci racconta di cosa ha visto in giro per l'Italia fino a quel momento, di aver incontrato tante realtà interessanti e del fatto che il marketing alla fine è "ascolto" per dare al cliente ciò che egli desidera. Sembra facile!
Al Forum qualche giorno dopo esplicita meglio il concetto e aggiunge che quanto abbiamo letto sui suoi libri è sostanzialmente da buttare via e che, le famose 4P, se non proprio soppiantate vengono quantomeno affiancate dalle 5S. Quindi se non li avete letti forse avete risparmiato tempo. Forse. Ovviamente non è proprio così, ha lanciato una provocazione insomma, per scaldare la platea e dare da subito il segno di come siano cambiate le cose nel mercato negli ultimi anni, nella relazione tra cliente e fornitore, tra chi offre qualcosa e chi la chiede e la riceve.
Si sofferma sul concetto di "prosumer". La crasi tra Producer e Consumer è un concetto non recentissimo, ma ancora poco esplorato fuori dai convegni. Certamente pochissimo nel mondo HR. Cosa vuol dire? E cosa in particolare per il nostro mondo? Qui inizio a capire che forse il marketing e le HR hanno più punti in comune di quanti non possa sembrare di primo acchito. Un esempio di approcci "prosumer" sono i software Open Source, Wikipedia, il modello delle aste di Ebay, la formazione del prezzo delle inserzioni su Google e più recentemente "blablacar".
Altro caso meno noto è quello di Safecast, raccontato da JoiIto (Director del MIT Lab, uno dei centri di innovazione più importanti del mondo) nel suo libro "Al Passo col Futuro" (Egea). Safecast nasce dell'esperienza del terribile terremoto e conseguente tsunami del 11 marzo 2011 che ha disastrato una parte consistente del Giappone nord orientale e la famigerata centrale nucleare di Fukushima.
Nei primi giorni e settimane le informazioni sulle radiazioni erano divulgate esclusivamente dalla Tepco, che gestiva la centrale e dal governo Giapponese, ma con grande parsimonia. Un gruppo di persone motivate dal fatto di avere parenti e amici in zona si misero in testa di effettuare rilevazioni autonome. In poche settimane, grazie alle proprie reti relazionali, misero insieme professionalità elevatissime sparse in tutto il mondo, denari raccolti su kickstarter e da altri donatori, un buon numero di volontari e relativi contatori Geiger per andare ad effettuare le misurazioni. Nel 2016 oltre 50 milioni di misurazioni molto accurate erano state fatte da cittadini-ricercatori. Gli utilizzatori delle informazioni erano anche i produttori delle stesse grazie ad una rete di relazioni e mezzi.
Cosa differenzia questi casi da una comunità di persone che producono soluzioni per migliorare il proprio lavoro all'interno delle proprie aziende e che realizzano prodotti e servizi che spesso utilizzano loro stessi. E cosa succede in una moderna aula di formazione, se non che il percorso di formazione viene realizzato grazie al contributo attivo e coinvolto dei discenti? Kotler a tale proposito a domanda esplicita sulla formazione risponde che la formazione frontale, seppure interattiva, così come la conosciamo ha esaurito la sua portata. Le persone devono essere protagoniste, realizzare progetti e sperimentare già in aula. Del resto, mi viene in mente che Maria Montessori lo aveva detto ben prima.
Ma pensiamo ad un altro processo sempre più critico, perché importante e perché difficile da rendere efficace: la ricerca e selezione.
Sempre più spesso le aziende lamentano di avere difficoltà nel trovare il personale che cercano: il problema è serio e strategico.
Qualche giorno fa un'amica che lavora per un marchio del settore moda piuttosto conosciuto ma non così trendy mi confessa che da tempo riscontrano grosse difficoltà a trovare e trattenere personale. La posizione è interessante, ben pagata da subito, con ottime e concrete prospettive di carriera. Mentre mi parla cerco su internet e trovo che l'unico annuncio serio è sul portale aziendale (ma chi ci va mi domando?) e poi ci sono un po' di annunci su siti generalisti e dal coinvolgimento medio basso. Gli obietto che così sarà difficile "pescare" il jolly per un'azienda che non ha un potere di attrazione del marchio.
Analizziamo il caso (ma ne potrei portare altre decine) da un punto di vista marketing. L'azienda è solida, paga bene, offre prospettive, probabilmente migliori dei competitor e crescita interna (crescono costantemente) già pianificata. La figura è quella di "assistente store manager" che dopo 18 mesi diventerà, salvo ripensamenti reciproci, "store manager" e andrà in uno degli store in apertura già pianificata ben pagato e piuttosto coccolato. Ma il "mercato" "delle competenze" non lo sa! I migliori candidati potenzialmente disposti a cogliere questa opportunità (fatta anche di sacrifici sul piano della vita privata, perché bisogna cambiare spesso città) probabilmente non la conoscono, o non conoscono l'azienda o non conoscono i dettagli dell'offerta o la serietà dell'offerente e così via. I candidati migliori per questa azienda potrebbero non candidarsi mai.

Risultato: l'azienda spende tempo (per ricercare persone che non trova o che se ne vanno prima del tempo), risorse economiche per processi di ricerca e selezione che non ricercano e selezionano il meno peggio (in termini di adeguatezza al ruolo ovviamente). Tutto questo complicherà il piano di sviluppo commerciale dell'azienda che, alternativamente, dovrà decidere se posticipare le aperture, o verosimilmente di inserite store manager che non hanno completato il periodo di formazione nel ruolo, con possibili effetti nelle performance dei nuovi punti vendita. In questo caso come in molti altri, il processo di ricerca e selezione diventa cruciale e strategico. La sua inefficienza si "annacquerà" in una risultante di indicatori di performance insoddisfacenti ma probabilmente non associati a questo cruciale processo.
Se, per trovare le "persone giuste" si usasse un approccio ed energie analoghe a quelle che le aziende adottano per ricercare clienti, non avremmo annunci di lavoro quasi tutti uguali, senza un'immagine o un video, senza contenuti "emozionali" come amano dire i comunicatori e che quasi mai in maniera seria puntano a "vendere" l'azienda prima che il "posto", la prospettiva prima che l'opportunità di breve periodo. Molte aziende non se lo possono permettere magari, in termini di credibilità prima di tutto, ma altre si e non lo fanno ugualmente. Anche il sistema professionale che ruota attorno a questo mondo è troppo spesso ancorato agli stereotipi e alle modalità di lavoro precedenti all'avvento di internet, dei social e del loro effetto di disintermediazione. Le stesse piattaforme più evolute offrono possibilità molto limitate in termini di quello che dovremmo forse definire "Hiring Advertising".
Il processo di ricerca e selezione (R&S) dovrebbe essere quindi forse ribattezzato processo di promozione e scelta (P&S). Promozione dell'azienda e dei suoi punti di forza, promozione da parte del candidato (qui qualcosa in più si è fatto) e scelta reciproca.
Dopo un'attenta analisi dei bisogni, e quindi del target dei candidati desiderati, si dovrebbe lanciare una campagna tarata su quel determinato target, perché i millennials (ne ha parlato bene Gabriele Gabrielli in un articolo su HR On Line n. 15 del 2017) non cercano lavoro nello spesso modo e non sono attratti dagli stessi annunci e dalle stesse offerte di un ultracinquantenne.
Troppo spesso la mole di CV che si riceve viene scambiata per una più ampia possibilità di scelta. Ma il processo di R&S è una gara anomala e molto dura. C'è posto solo per il primo classificato. Gli altri sono tutti secondi e se quel primo non è quello giusto, sarà probabilmente l'inizio di una storia tormentata o quantomeno poco proficua per il lavoratore e l'azienda.
A torto o a ragione sono sempre più i candidati a scegliere l'azienda e non viceversa, ma l'azienda potrebbe facilmente non accorgersene nemmeno, perché la scelta, da parte del potenziale candidato, spesso avviene rinunciando a candidarsi, se l'offerta non è soddisfacente, lasciando spazio alle candidature fotocopia di coloro i quali si candidano a qualsiasi cosa.

Maggiore coraggio, uscire dall'anonimato, costruire comunità (non solo di clienti ma anche di aspiranti collaboratori) e parlare con loro costantemente, avviare un dialogo, conoscerle, permetterà alle aziende nel tempo di assicurarsi le persone e le professionalità più in linea con le proprie esigenze sempre più mutevoli e di non inficiare i propri piani industriali per mancanza di professionalità e risorse.
Per questo credo che il marketing con una buona dose d'innovazione sia una filosofia di basealla quale chi si occupa di HR non potrà più rinunciare se vorrà fare la differenza.

Alessandro Belli - Verbena Management 

 

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