hronline
     n. 14 anno 2016

La certificazione dei contratti di temporary management

di Andrea Follin

Il temporary management, contrattualmente parlando, è un po' il regno dell'atipico, fatto questo che talvolta preoccupa manager e aziende, in particolar modo quelle più piccole meno strutturate internamente e meno avvezze a gestire certe problematiche. Quello che non tutti sanno è che esiste l'istituto della certificazione, creato appositamente per ridurre il contenzioso in materia di lavoro

L'istituto della certificazione dei contratti di lavoro è stato introdotto dal nostro legislatore con lo scopo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro. 

La certificazione è una procedura volontaria di verifica della conformità del tipo contrattuale prescelto rispetto al rapporto che in concreto le parti intendono instaurare o abbiano già instaurato. La procedura si conclude entro 30 giorni dalla presentazione dell'istanza con un atto amministrativo di certificazione che conferisce un'efficaciarinforzata alla qualificazione contrattuale.
L'attuale norma permette che l'oggetto e le finalità dell'istituto divengono ancora più ampi e, ad oggi, può riguardare qualsiasi rapporto di lavoro.
Il principale vantaggio ottenuta la certificazione è che la qualificazione data al rapporto resiste alle contestazioni nei confronti delle parti e dei terzi (in particolare degli organi di vigilanza) e conserva nel tempo tale sua efficacia, salvo instaurazione di un apposito giudizio di contestazione avanti il Tribunale competente.
La norma prevede la possibilità certificare il contratto presso Commissioni di certificazione in seno ad una pluralità di organismi, con ambiti di competenza differenziati:

  • Enti Bilaterali, costituiti sia nell'ambito territoriale di riferimento, sia a livello nazionale; 
  • Direzioni territoriali del lavoro; 
  • Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie; 
  • Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento e nell'ambito di intese appositamente definite tra Ministero del Lavoro e Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro. 
Presso le Commissioni è pure possibile certificare i contratti di appalto di opere o servizi di cui all'art. 1665 c.c., sia nella fase della stipulazione dello stesso accordo che nella successiva fase di attuazione del programma contrattuale, anche ai fini della concreta distinzione dalla somministrazione di lavoro.
Inoltre, limitatamente a rapporti preesistenti di collaborazione coordinata e continuativa che vengano ricondotti ad un progetto, programma di lavoro o ad una sola fase di esso, i diritti derivanti dal precedente rapporto di lavoro possono essere oggetto di rinunzie, transazioni tra le parti in sede di certificazione del (nuovo) rapporto di lavoro, così rendendo la volontà abdicativa e transattiva fra le parti inoppugnabile.
Infine con l'introduzione delJobs Act e dei successivi decreti attuativi sono state rafforzate le competenze delle Commissioni di certificazione.

Perché è importante e conveniente certificare un contratto?

Per rispondere a questa semplice domanda bisogna far riferimento all''efficacia giuridica della certificazione. Un contratto, che abbia ottenuto il visto di certificazione da parte dell'apposita Commissione, acquista "piena forza legale" sia fra le parti che nei confronti di terzi etale "forza" permane sino all'eventuale intervento di una sentenza di merito che attribuisca una diversa qualificazione al rapporto concreto, inquadrandolo in altra tipologia contrattuale.
Ci troviamo di fronte cosiddetto principio di inversione dell'onere della prova, per cui spetta a chi contesta la regolarità del contratto dimostrare eventualmente in giudizio l'invalidità del testo certificato. I terzi soggetti interessati a svolgere tale tipo di contestazione sono, verosimilmente, gli organi di vigilanza: INPS, INAIL, ENPALS, ENASARCO, Direzioni provinciali del lavoro (queste ultime quali organi periferici del Ministero con competenza anche in materia di vigilanza sul rispetto delle norme di lavoro e di applicazione delle sanzioni amministrative in caso di violazione).
Prima dell'introduzione dell'istituto della certificazione - ma anche oggi rispetto ai contratti non certificati - il datore di lavoro era soggetto agli effetti di un atto amministrativo "semplice", quale un verbale di accertamento da parte di uno degli organi di vigilanza. Per evitare le conseguenze di tale atto, soprattutto sotto il profilo sanzionatorio e previdenziale, non aveva che da impugnare il provvedimento accertativo avanti l'organo competente ed ivi assolvere un onere probatorio gravoso, dovendo dimostrare che il rapporto originariamente instaurato tra le parti fosse regolare.
Viceversa, per effetto della certificazione e della sua opponibilità anche nei confronti di taluni terzi, ora è chi intende mettere in discussione la genuinità del rapporto di lavoro a doverlo impugnare, richiedendone l'invalidazione innanzi al Tribunale e sostenendone il relativo onere probatorio. Di fronte ad un contratto asseverato da una competente Commissione, pertanto, anche gli organi di vigilanza, supponendo una qualificazione del contratto differente da quella certificata, prima ed al fine di emettere un provvedimento con effetti ricadenti sul datore di lavoro, dovranno promuovere un giudizio di impugnazione dell'atto certificato.
Solo una successiva e differente valutazione del giudiceè in grado di rimuovere all'atto certificato quella "forza di legge" attribuitagli dalla Commissione.
Altro punto di forza è rappresentato dalla possibilità di certificare, assieme al contratto di lavoro stipulato ex novo, anche quello in corso di esecuzione, assegnando efficacia retroattiva, sin dalla stipula del contratto, al provvedimento certificativo della Commissione.
Oggi, dopo l'entrata in vigore delJobs Act l'istituto della certificazione torna ad acquisire maggior interessante e vigore, tanto da essere richiamato dallo stesso legislatore in materia di collaborazioni.

Dal 1° gennaio 2016 è ancora possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa ma ad essi si applica la disciplina del lavoro subordinato qualora il rapporto si concretizzi in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e secondo modalità di esecuzione organizzate dal committente (tre requisiti, cd. della etero-organizzazione, che si devono manifestare tutti congiuntamente perché operi tale presunzione). Dal punto di vista opposto, gli indici sintomatici di un rapporto ancora soggetto alla disciplina del lavoro autonomo possono essere così riassunti: mancata ingerenza sui tempi e sul luogo di lavoro da parte del committente, carattere non esclusivamente personale (cioè ausilio di collaboratori) e occasionalità della prestazione (la quale per non essere qualificata come continuativa deve, ancorché ripetuta anche in tempi ravvicinati, esaurire di volta in volta l'oggetto cui è finalizzata).
Le parti, allora, possono richiedere alla Commissioni di certificazione competente di attestare la genuinità del proprio rapporto di lavoro siccome collaborazione non soggetta - per modalità organizzative - alla disciplina del lavoro subordinato, al fine dunque di certificare l'intero contratto, di ottenere l'attestazione di assenza dei requisiti della etero-organizzazione o anche solo far attestare la conformità della tipologia contrattuale prescelta rispetto all'effettiva modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.
A conclusione di questa brevicenni sull'istituto della certificazione si può affermare che la certificazione sia divenuta nel tempo uno strumento polivalente, posto dall'ordinamento a disposizione di tutte quelle parti che intendano apporre un "sigillo" sulla qualificazione del rapporto di lavoro (instaurando o preesistente), dotata di un certo grado di resistenza rispetto alla libera interpretazione altrui, organi di vigilanza e giudice compresi.
Alla luce delle recenti modifiche apportate dal Jobs Act alla disciplina dei rapporti di collaborazione continuativa, dunque, l'asseverazione del contratto di lavoro da parte di una Commissione certificatrice costituisce un valido strumento di difesa avverso eventuali accertamenti e contestazioni che possano essere svolti dai competenti organi di vigilanza. Come detto, infatti, il verificatore che voglia disconoscere quel contratto avrà la sola strada del ricorso al giudice.

Fino ad oggi, tuttavia, l'istituto della certificazione non è stato molto sfruttato. Questo può dipendere, almeno a giudizio di chi scrive, sia dalla scarsa pubblicizzazione che di esso si è fatta anche a livello governativo, sia da una inadeguata conoscenza che gli operatori hanno circa i vantaggi che la certificazione comporta.
Un breve riflessione finale sull'utilità della certificazione del contratto di lavoro: se, per pura ipotesi, immaginassimo che tutti i contratti di lavoro in essere fossero certificati, da un lato, vedremmo crollare drasticamente il contenzioso tra azienda e dipendente e, dall'altro, molte ispezioni degli organi di vigilanza verrebbero inibite ab initio, con evidente riduzione anche di sanzioni e provvedimenti conseguenti.
Tale ultima considerazione, sebbene volutamente estremizzata, vale a raccogliere lo spunto del legislatore della riforma a prevenire i rischi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia contrattuale di lavoro che si intende avviare mediante la richiesta di certificazione del contratto alla Commissione competente.

Andrea Follin, Consulente del lavoro 

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®