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     n. 9 anno 2015

Big Data e PMI: incontro possibile?

di Barbara Vecchi

Il temporary manager è spesso utilizzato dalle PMI come portatore di nuove competenze, specificamente legate alla funzione gestita in azienda. In un'ottica più ampia, però, il temporary manager può (e deve?) apportare anche nuovi approcci e nuove visioni circa il modo di fare business dell'azienda imprenditoriale: un ottimo e quanto mai attuale esempio in tal senso è la sensibilizzazione della PMI sui vantaggi competitivi derivanti dall'analisi dei big data.

Big data, big data, big data. Questo termine è ormai entrato da qualche tempo nel nostro lessico quotidiano, dalle tv ai giornali, anche se spesso è usato con un'accezione confusa e fuorviante che non permette di comprenderne appieno il potenziale, innanzitutto per le imprese.

C'è, infatti, un grosso fraintendimento legato alla parola big data che sta limitando il vantaggio competitivo delle PMI italiane nei confronti delle omologhe straniere. Il problema nasce dal fatto che ci limita alla prima parte dell'espressione, "Big", associandola solamente alla quantità di dati da elaborare, agli enormi flussi di informazione, e, quindi, alle grosse imprese. Purtroppo questa erronea convinzione spinge le PMI e chi le dirige a giustificare il mancato ricorso al nuovo strumento tecnologico molto potente, con cui è inevitabile confrontarsi.

La definizione di "big data", invece, comprende le famose 3 "V": Volume, Velocità e Varietà. Non solo grandi numeri, quindi, ma anche varietà delle informazioni (Internet, social media, email, sito, blog, etc.) e velocità di elaborazione. La somma di queste tre componenti permette di generare la quarta "V", la più importante, il Valore. Un corretto uso dei big data permette, infatti, di creare valore per l'azienda.

La capacità di immagazzinare, conservare e analizzare i flussi di dati, integrando e rendendo omogenee informazioni destrutturate e strutturate, permette di generare un importante vantaggio competitivo. Questa è una delle frontiere dell'innovazione a cui le PMI devono necessariamente guardare. L'informazione è al centro di ogni decisione di business e l'analisi dei big data è ormai diventata lo strumento essenziale per apprendere indicazioni finalizzate ad acquisire nuovi clienti, a gestire in maniera più efficiente quelli già acquisiti e a delineare, consapevolmente, nuove strategie di business.
Grazie all'analisi dei big data si possono anche ottenere analisi predittive, molto utili per affrontare, preparati, le future sfide aziendali. Esistono, infatti, delle piattaforme, ad alta velocità, che riescono a simulare situazioni e contesti molto complessi partendo da masse di dati "incoerenti" e modelli pre-programmati. In parole povere, si può riprodurre virtualmente uno scenario reale, come una nuova campagna promozionale, il lancio di nuovi prodotti, l'ingresso in nuovi mercati, con un margine d'errore che varia sulla base delle capacità del data scientist di programmare la piattaforma con i dati e variabili.

Da questo punto di vista in Italia siamo indietro rispetto all'Europa e non esiste ancora la figura specifica del data scientist interno alle aziende. Questa nuova identità professionale necessita, infatti, di conoscenze e competenze molto complesse, che spaziano dalla tecnologia alla statistica e strategie di business. E formare i propri dipendenti richiede ancora costi molto elevati. Proprio per questo stanno nascendo numerose società che sono in grado affiancare il management ad un costo abbordabile anche per le piccole aziende.

Come rivela l'aumento di competitors in tutti i settori, l'introduzione di queste avanzate tecniche di analisi permettedi ridurre il divario che le piccole imprese hanno nei confronti delle grandi (investimenti in ricerca e sviluppo, scelte strategiche, etc.), a prezzi sostenibili. Incoraggiante, in tal senso, un report internazionale realizzato recentemente da Teradata, dal quale emerge una crescente fiducia nei Big Data e nuovi investimenti per organizzare e gestire al meglio queste informazioni creando ricavi e valore nelle PMI.

Tutte le aziende all'avanguardia ormai confidano sull'analisi dati per prendere decisioni, migliori, in ogni settore, dallo sviluppo del prodotto, alla pubblicità e ai processi di assunzione. I big data, e i processi decisionali che ne conseguono guidati dall'analisi degli stessi - Data Driven Management - permettono, infatti, di ottimizzare ogni azione nella vita dell'azienda, rendere più efficaci gli investimenti, conoscere bene i propri clienti e acquisirne di nuovi, essere fortemente competitivi, e vincenti,anche in mercati internazionali con grandi imprese concorrenti.

Il ricorso ai dati per guidare il proprio processo decisionale, e l'inerente cambio culturale che ne consegue, non è assolutamente scontato: in Italia, chi ha il "coraggio" di interrogare i dati prima di agire sta compiendo un'azione dirompente. Dal punto di vista manageriale, prendere decisioni sulla base di dati è un'arma in più. Eppure spesso è difficile far capire agli imprenditori che abbracciare una cultura basata sull'analisi dei dati sarebbe importante perché in ogni azienda ci sono numerosi dirigenti ancora molto scettici, a fronte di pochi più aperti a questa transizione. Per "convertire" coloro che non si fidano delle potenzialità dell'analisi strutturata di dati, bisogna innanzitutto capire le motivazioni psicologiche della loro resistenza. Solo allora potremo convincerli ad abbracciare il cambiamento e i benefici che ne derivano.

Già in "2012 feature on big data", Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson descrivevano le opportunità derivanti dai big data, segnalando che le principali aziende del loro settore che se ne servono adeguatamente sono, in media, il 5%più produttive e il 6% più redditizie rispetto ai loro concorrenti, anche dopo aver considerato diversi fattori confondenti. Questo perché, dice McAfee, "Dati e algoritmi hanno la tendenza a superare e migliorare le performance derivanti intuizione umana in un'ampia varietà di circostanze".

I dati sono essenziali, mail miglioramento delle prestazioni e il vantaggio competitivo derivano da analisi di modelli che consentono ai manager di prevedere e ottimizzare i risultati. L'approccio più efficace perla costruzione di un modello inizia,di solito, non con i dati, ma con identificazione di un'opportunità di business e la determinazione di come il modello possa migliorare le prestazioni.

Un altro equivoco deriva dalla percezione che la raccolta e analisi di "big data" generi dei costi insostenibili per una piccola impresa. Oggi esistono servizi in cloud che permettono di sperimentare come il data driven management - la gestione dell'impresa fondata sull'analisi dei dati - si possa applicare a tutte le aziende, grandi e piccole: anche le PMI possono trarre beneficio dall'enorme quantità di dati reperibili, per riorganizzare e migliorare il loro business e restare al passo con la tecnologia, incrementando fatturato e numero di clienti.

Per far diventare l'analisi parte della routine quotidiana di un'impresa, i manager devono imparare a vederla come un aspetto centrale per risolvere i problemi e individuare nuove opportunità.

Il primo, ma non per questo semplice, passo da compiere è quindi culturale: solo una corretta conoscenza dei mezzi e delle potenzialità legate all'analisi dei big data, senza pregiudizi, permetterà alle PMI di competere sul mercato, ormai globale, sfruttando l'innovazione tecnologica a proprio vantaggio.

Barbara Vecchi
Fondatrice e Amministratore Delegato di Hopenly

 

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