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     n. 3 anno 2014

Il ruolo del management esterno nella crescita delle imprese familiari

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

Che le imprese familiari italiane abbiano bisogno di competenze manageriali e che il ruolo del management esterno finisca spesso per essere "neutralizzato" sono concetti generalmente condivisi: rileggere l'impresa familiare alla luce dei sottosistemi del modello di Ernesto Poza può aiutare ad evitare che ciò accada ...

La recente (passata?) crisi e il faticoso tentativo di rilancio dell'economia hanno riportato sotto la luce dei riflettori alcune zone oscure delle nostre imprese familiari, e di quelle più piccole in particolare: limitata capacità gestionale e visione strategica, scarsa competitività media, scarsa flessibilità.
Come ribadito più volte da Vincenzo Boccia, Presidente Piccola Industria Confindustria, il motto non è più "piccolo è bello", bensì "forte è bello": per poterlo però tradurre in pratica è necessario colmare l'attuale gap di competenze che caratterizza le aziende familiari, attraverso l'iniezione di nuova managerialità capace facilitare e accelerare i processi di cambiamento per introdurre stabilmente in azienda nuove capacità.

Un interessante modello interpretativo, molto apprezzato per la sua linearità e concretezza, è quello di Ernesto Poza, tra i più noti consulenti in materia di gestione e sviluppo delle aziende familiari. termine con il quale si vogliono indicare imprese controllate da una famiglia, due o più membri della quale lavorano nell'impresa o comunque esercitano un'influenza significativa sul business.

Lo schema di riferimento di Poza è centrato sui tre sottosistemi che convivono nell'impresa familiare: Famiglia, Proprietà e Management e che all'atto pratico sono l'oggetto e il soggetto di tre processi di successione separati e distinti. Senza entrare nel merito tecnico delle diverse ipotesi successorie, Poza parte da una importante premessa di carattere generale: l'obiettivo, come molti pensano, non è un gioco a somma zero, dove chi vince lo fa a spese dell'altro, specie "se la torta non cresce e le persone devono litigare per avere una fetta più grande".

E' interessante notare come il rapporto tra i tre sottosistemi debba anch'esso evolvere con il passaggio da una generazione alla successiva. Se infatti nell'era che possiamo definire del fondatore, o della generazione immediatamente successiva, è del tutto normale e per taluni versi accettabile l'esistenza di una certa confusione, commistione e sovrapposizione di ruoli, vista la forte accentuazione sulla sopravvivenza dell'azienda durante la fase di crescita accelerata, le ere successive non possono permettersi lo stesso livello di entropia organizzativa. E' quindi necessario che i tre sottosistemi inizino a distinguersi uno dall'altro, in modo da divenire a regime quasi del tutto indipendenti seppur fortemente correlati. Quanto più i tre processi successori saranno supportati da competenze esterne di valore, apportate ad esempio da consiglieri indipendenti piuttosto che da management esterno, tanto più alta sarà la probabilità di realizzare una transizione di successo.

Un altro punto interessante e anche particolarmente accattivante per la simbologia usata, riguarda quelli che Poza chiama gli stili di uscita del CEO nell'ambito di un processo di successione: si passa dallo stile del Monarca (il Re Assoluto) che non molla finchè non viene forzato a farlo, al Generale che molla con riluttanza, ma trama per il suo rientro, all'Ambasciatore, per finire con il Governatore che guida per un periodo limitato e garantisce che il suo successore sia adeguatamente pronto.

Tra le best practice che garantiscono la continuità dell'azienda familiare, Poza sottolinea la rilevanza dell'apporto di management esterno, specie se l'azienda è in fase di crescita: per utilizzare una sua immagine, "un Chessna lo puoi pilotare da solo, ma se passi al Boeing hai bisogno di un equipaggio!"

Tale ruolo è secondo lui fondamentale in quanto, e come minimo, migliora gli standard di riferimento interni dell'azienda, finendo per "alzare di fatto l'asticella" con cui i membri della famiglia dovranno confrontarsi. In altre parole, un chiaro segnale che quel tipo di persone con quel livello di competenze è ciò di cui l'azienda ha bisogno per crescere e svilupparsi., tenendo ben presente che la successione non è un evento, ma un processo che può (deve?) articolarsi su un arco temporale sufficientemente lungo.

Inserire management esterno non è però per nulla facile e scontato; secondo Poza ci sono alcune semplici regole perché questo possa avvenire con successo:

  • La famiglia deve saper riconoscere il bisogno e il valore portato dal manager
  • Le competenze tradizionali (gestione del business, gestione delle persone) devono essere completate dalla capacità di gestire le relazioni con e dentro la famiglia (che non significa per nulla acquiescenza o passività).

Apporto di management esterno è spesso sinonimo di temporary management (di seguito TM), visto come portatore di una specifica competenza, funzionale e non, e di una più generale competenza di governante.

Ovviamente, perchè un intervento di TM abbia successo è necessario disporre di una struttura anche minimamente complessa su cui operare, il che ci porta a considerare, oltre naturalmente alle aziende familiari medio-grandi, anche aziende piccole e medie, industriali e di servizi, con fatturati a partire dai 6-7 milioni e un numero ragionevole di dipendenti.

Almeno a livello di obiettivi di un intervento, queste aziende sembrano sposare perfettamente i principi e le prescrizioni di Poza: per loro, infatti, il TM è lo strumento ideale per portare in casa competenze di alto livello, non altrimenti disponibili, a costi accessibili, con il risultato di accrescere le capacità delle persone già operanti in azienda, che alla fine di un intervento saranno in grado di fare le stesse cose meglio di prima oppure di nuove.

Il TM è dunque un ragionevole punto di equilibrio tra bisogno di managerialità e vincoli economici e culturali, in quanto

  • opera con manager senior, spesso "sovradimensionati" rispetto all' incarico
  • opera su tempi brevi, con una presa di contatto immediata con il problema
  • è una soluzione a costi certi, comunque variabili e in buona parte legati ai risultati e senza alcuna complicazione ed onere legato al termine dell' incarico.

Il TM potrebbe consentire di rispondere efficacemente ad alcune domande chiave, che Poza inquadra nel concetto di challenge (sfida): come motivare manager di alto livello consci che comunque le posizioni top saranno appannaggio di membri della famiglia magari meno bravi di loro; come trattenerli nel medio e lungo termine; come motivarli senza coinvolgerli nella guida dell'azienda; e infine come guadagnare il loro commitment dovendo di fatto agire come se l'azienda fosse loro, ma senza alcuna partecipazione societaria?

Quali sono le condizioni necessarie perché un intervento manageriale, sia esso di TM o meno, abbia successo?
Certamente la compatibilità e la capacità di interagire con la cultura familiare, necessaria per evitare che il manager diventi un corpo estraneo volutamente isolato ed ignorato dai membri della famiglia.
Quanto è necessario il consenso di tutti i soci operativi? Dal mio punto di vista, e in base all'esperienza pregressa, pensare di avviare un progetto in una situazione in cui anche uno soli dei soci operativi in azienda sia contrario è decisamente rischioso per il successo dell'operazione. Per altri, un ingresso "graduale" del manager e un continuo processo di discussione e riflessione interna dovrebbe alla lunga consentire di superare l'impasse. Con l'eccezione però del caso di soci molto ostinati, che per un motivo o per l'altro non si lascerebbero comunque mai convincere.
Deleghe e poteri: pensare di inserire un manager senior per gestire e risolvere problematiche di gestione senza però fornirlo delle adeguate deleghe operative significa dotarsi di un'arma spuntata e inefficace, e alla lunga demotivata.
Alla fine non bisogna dimenticare i comportamenti: sta all'imprenditore non delegittimare il manager con atteggiamenti e comportamenti, anche apparentemente non rilevanti e non ridurre il manager ad un semplice gestore di fatti familiari e personali.
E lavorare bene sulle imprese familiari, specie nelle fasi di successione, significa garantire occupazione: secondo stime europee, a fronte della creazione media di due posti di lavoro in una start up, ben cinque sono quelli (medi) preservati da una successione di successo

 

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