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     n. 1 anno 2013

Temporary management e disoccupazione manageriale

di Maurizio Quarta

di Maurizio Quarta

Le recenti e quasi continue operazioni di turnaround, ristrutturazioni e ridimensionamenti hanno immesso nel mercato del lavoro manageriale un gran numero di risorse di notevole seniority, non solo anagrafica, che difficilmente riesce e riuscirà a trovare una collocazione di tipo tradizionale. Non solo: le difficoltà sono uguali, se non addirittura maggiori, anche per quanto riguarda un inserimento di successo nei mercati della consulenza o in quello emergente del TM, in quanto, pur avendone le potenzialità, il manager può trovarsi a non offrire un "prodotto" che il mercato sia disposto ad acquistare.
Uno dei rischi è la cosiddetta "sindrome da secondo licenziamento", ovvero quel pesante senso di inutilità e frustrazione che colpisce il manager che non riesce a trovare sbocchi in attività nuove, e che perciò diviene dismesso, soprattutto emotivamente e psicologicamente, una seconda volta e questa volta dal sistema produttivo ed economico.

In realtà, il bacino potenziale di energie da preservare e rendere utile sarebbe ampio: basta applicare la cosiddetta "regola (inglese) del 50/50", secondo cui un manager di oltre 50 anni che guadagni più di 50.000 sterline annue è uno dei primi obiettivi di qualsiasi programma di riduzione costi, riorganizzazione o ristrutturazione. Considerando poi l'aumento della longevità intellettuale ed operativa dei manager (anche solo fino a 65 anni), ecco che sul mercato si riversa, e si riverserà in maniera crescente, una quantità significativa di conoscenza e di voglia di fare da incanalare correttamente e salvaguardare.
Anche i dati demografici sono preoccupanti: nei prossimi anni, infatti, la popolazione over 60 aumenterà di oltre 3,5 milioni di unità.
Oggi però un gran numero di manager arriva impreparato ad affrontare questa grande discontinuità personale: in troppi iniziano a muoversi solamente qualche mese prima di andare in pensione, o, peggio, qualche settimana prima di dover forzosamente lasciare l'azienda, con la profonda convinzione che il pedigree acquisito sia sufficiente per un loro immediato riutilizzo. Come diceva Paola Pesatori in una sua interessante testimonianza proprio in queste pagine: "Quando si perde il lavoro, in età e professionalità mature, difficilmente si ha un'idea precisa del mondo del lavoro che ci aspetta lì fuori".
Quanto detto porta a riflettere su un punto particolarmente delicato e sensibile a livello personale: essere stati "lasciati a casa" non è in sè un elemento indicativo del fatto di essere un cattivo manager, ed è capitato a molti di essere stati espulsi dal sistema produttivo per motivi totalmente slegati dalla qualità del proprio lavoro. E' il modo in cui viene vissuto e metabolizzato un fatto comunque traumatico che crea la differenza e le premesse per una rinascita professionale: quello che conta veramente è non sentirsi "licenziati dentro"!
Purtroppo molti manager in cerca di lavoro, al di là delle loro dichiarazioni di intenti, continuano ad avere in mente quasi solo il posto fisso, anche quando questo sarebbe oggettivamente e realisticamente una soluzione difficilmente praticabile, atteggiamento che li porta a disperdere energie e sforzi altrimenti indirizzabili verso altre ipotesi professionali. A torto o a ragione, sarebbe in molti casi necessario arrivare a quello che gli psicologi chiamano "elaborazione del lutto".
Da molti di questi manager, il TM viene letto quasi automaticamente come un modo per rientrare nel mercato del lavoro, sperando che un incarico si trasformi in un contratto a tempo indeterminato; molto frequente è la domanda: "quante probabilità ci sono che l'azienda mi trattenga al termine del progetto?".

Ai tanti manager che incontro, anche nell'ambito di percorsi di ridisegno del proprio percorso professionale (es. il Comincio da tre ... di Manageritalia), ricordo sempre che alla base di tutto ci sono delle imprese che "comprano" e che hanno specifiche necessità: è con queste che ci si deve confrontare.
Si pone quindi il problema di non disperdere risorse di qualità e di renderle appetibili per le imprese.
Ci sono sostanzialmente due modi di guardare al fenomeno e alla sua soluzione: uno mirato alla ricollocazione tout court del maggior numero possibile di manager, agendo su leve di natura economica e finanziaria (sgravi contributivi, finanziamento per interventi di temporary management e consulenza nelle PMI); un secondo improntato a concreto pragmatismo, secondo cui il driver principale è costituito dal mercato, sulle cui esigenze va costruito un conseguente programma di riconversione e di re-skilling.

Parlando di TM, è possibile riconoscere, nel grosso bacino costantemente alimentato da manager in fine carriera, manager in pensione, e manager di prossima espulsione dal sistema produttivo, tre categorie:

  • chi può intraprendere una nuova professione da subito senza grosse difficoltà di riposizionamento (pochi)
  • chi ha le potenzialità, ma necessita di un indirizzamento di base, di una preparazione preliminare e di un rafforzamento di determinate competenze (la popolazione più vasta)
  • chi non potrà mai farlo (pochi)

A livello di sistema economico un approccio pragmatico dovrebbe partire dalla considerazione di dare priorità a quelle risorse più facilmente ed immediatamente riconvertibili in funzione dei bisogni del mercato (la prima categoria).
E' però solo lavorando bene sulla seconda categoria che si può ottenere un impatto sociale più ampio ed efficace e sviluppare capitale sociale attraverso la costituzione e la riproduzione di relazioni sociali durevoli, costruire anche un modello di successo replicabile.

Perchè ciò avvenga è necessario operare per tempo sui manager "a rischio", per evitare che essi arrivino tardi e impreparati alla decisione di intraprendere una professione alternativa, con la conseguenza o di sprecare tempo ed energie per entrare in un mercato le cui barriere all'ingresso non saranno comunque in grado di superare, oppure di dover affrontare un lungo periodo di gestazione prima di riuscire ad essere operativi. Ciò va fatto a diversi livelli:

  • quello personale, in quanto il manager deve farsi parte attiva nel predisporre un sistema individuale di salvaguardia della propria rivendibilità personale
  • quello aziendale, in cui l'azienda, nell'ambito del più ampio tema della responsabilità etico-sociale, diventa parte attiva nella definizione di un piano di scivolamento soft verso la pensione o verso un'uscita anticipata
  • quello del sistema economico, che deve porre in essere una serie di meccanismi tali da rendere più facile la soluzione del problema ai due livelli precedenti.

Senza mai dimenticare che la finalità del TM è quella di fornire una soluzione umana ad un problema di business e non viceversa.

Maurizio Quarta

 

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