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     n. 13 anno 2011

Un temporary manager per le piccole e medie imprese?

di Andrea Martone, Docente di organizzazione aziendale presso Università Cattaneo di Castellanza, Direttore del Master "Human Capital Management" presso la SUPSI- University of Applied Science di Lugano

La parola temporary manager (TM) si associa solitamente al concetto di grande impresa (magari multinazionale), che ha familiarità con modelli organizzativi avanzati e sistemi operativi sofisticati. Questo articolo, invece, vuole indagare le opportunità di utilizzo del temporary management nelle imprese familiari di minore dimensione.
Attenzione perché le due condizioni non sono scindibili in questa analisi.
Numerose ricerche (in particolare ci riferiamo agli studi di Steinmetz) hanno dimostrato che il passaggio dalla minore alla maggiore dimensione nelle imprese familiari è collegato ad una evoluzione dei modelli di gestione che porta gradualmente a superare la logica familistica, per entrare in una dimensione manageriale (senza per questo escludere che la famiglia imprenditoriale continui a gestire l'impresa, purché lo faccio con strumenti di gestione sofisticati). Se ciò non avviene l'impresa è destinata a rimanere piccola (senza per questo dare alcun giudizio di valore rispetto a questa ipotesi), tuttavia se vuole diventare grande deve affrontare alcuni passaggi importanti che Steinmetz denomina "stadi", ciascuno caratterizzato da uno specifico paradigma imprenditoriale: nella prima fase il successo è garantito dall'imprenditore-fondatore, che controlla personalmente tutto, sia che si tratti di problematiche commerciali, che finanziarie o organizzative (supervisione diretta).
Se la "supervisione diretta" ha successo, la dimensione aziendale cresce oltre la capacità individuale di controllo del fondatore, e rende obsoleto questo paradigma. L'imprenditore che comprende questo passaggio solitamente trasferisce prudentemente alcune funzioni a persone di sua fiducia, spesso familiari o amici stretti che tuttavia continuano a prendere le indicazioni operative dal fondatore (supervisione controllata). Non si può parlare propriamente di delega, in quanto i manager in questo caso agiscono entro confini molto stretti e senza una reale autonomia: il loro compito è quello di garantire all'imprenditore che le cose siano fatte "come se ci fosse lui". Se questo nuovo paradigma si rivela di successo, l'impresa continua a svilupparsi e anche questa forma di controllo diventa inadatta al nuovo contesto e quindi si deve procedere verso un nuovo paradigma, caratterizzato da un'ampia delega al management, in cui l'imprenditore definisce alcuni obiettivi e i correlati indicatori standard di risultato, limitandosi a controllare l'andamento degli indicatori stessi per intervenire solo in caso di necessità (controllo indiretto).
Quando, infine, l'azienda assume dimensioni tali da non essere più una PMI (piccole e media impresa), ma si accinge a diventare una grande impresa, allora occorre una delega molto più ampia. Il management, in questo caso, definisce autonomamente le politiche di interi settori del business, garantendo alla proprietà determinati risultati economici, competitivi etc. Si realizza allora una delega sulla gestione strategica che viene affidata a manager capaci che vengono controllati solo sul risultato finale (Organizzazione per Business Units).

Ciascun passaggio è normalmente caratterizzato da una o più crisi imprenditoriali (fasi critiche), che si possono manifestare con conflitti interni, difficoltà strategica ed organizzativa, ma che nei casi più complessi possono assumere i contorni di una vera e propria crisi economica con riduzione dei fatturati e dei margini e ristrutturazioni più o meno "sanguinose".
Cosa causa queste crisi ricorrenti?
L'inesperienza della famiglia imprenditoriale, che deve adottare un nuovo paradigma manageriale e, invece, continua a praticare le vecchie routines di gestione che avevano garantito il successo fino a quel momento. D'altro canto, la delega non rientra nel DNA dei piccoli imprenditori italiani, specie se si tratta di affidare la propria azienda ad un manager professionista che non appartiene alla ristretta cerchia familiare. Ecco allora emergere una possibile soluzione che coniuga la necessità di professionalità ed esperienza con la necessità di non stravolgere i meccanismi di governance della PMI: il temporary management, a patto che questo non si configuri solo come un intervento tecnico (un'immissione di professionalità per superare le fasi di crisi). Al contrario punti a qualificarsi come coaching alla famiglia imprenditoriale (magari rivolto specificamente alle nuove generazioni) per favorire l'adozione di nuovi paradigmi gestionali in maniera indolore.
La temporaneità del manager ben si collega alla temporaneità delle fasi di crisi, che caratterizzano il modello di crescita delle PMI, inoltre può garantire l'imprenditore che diffida di manager esterni per gestire la sua impresa.

 

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