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     n. 5 anno 2011

Ammortizzatori sociali ed operazioni di restructuring e turnaround: punti critici alla luce della recente riforma fallimentare e della disciplina comunitaria

di Alessandro Corrado , Avvocato Corrado e Associati

Uno degli aspetti maggiormente critici nella gran parte delle operazioni di restructuring e turnaround è costituito dalla gestione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali.
L'obiettivo di conservare/creare valore può confliggere con quello della conservazione dei livelli occupazionali, soprattutto nel breve periodo, per varie ragioni, tra le quali, ad esempio, la necessità di migliorare nell'immediato gli indici economico-finanziari attraverso la compressione dei costi fissi e quella di ridimensionare la scala produttiva per diminuire il fabbisogno finanziario.
La flessibilità della forza lavoro è quindi spesso un elemento essenziale, ma essa incontra limiti di vario ordine e rilevanza, che possiamo sinteticamente suddividere in due macro aree. In primo luogo, infatti, limiti di carattere per così dire esogeno sono dovuti al fatto che l'ordinamento nazionale e quello comunitario danno rilievo peculiare alla salvaguardia degli interessi dei lavoratori dipendenti. Basti pensare alle direttive ed alla giurisprudenza comunitaria a tutela della continuità dei rapporti di lavoro e dei crediti retributivi nei trasferimenti di azienda, nonché alla legge 23 luglio 1991, n. 223 (che costituisce la prima disciplina organica in materia di licenziamenti collettivi). In secondo luogo, limiti di carattere endogeno sono legati al fatto che contemperare la tutela del valore per i soci con i livelli occupazionali risponde a precisi interessi dell'impresa, che può così conservare buone relazioni con l'articolato universo degli stakeholders (comunità, dipendenti, organizzazioni sindacali, media, ecc.), mantenere la reputazione di agente economico corretto e affidabile per le controparti può infatti costituire un elemento strategico per la riuscita dell'operazione di turnaround ed infine, salvaguardare il know how, ovvero quel patrimonio di conoscenze della forza lavoro che costituisce sempre più un asset strategico e che fa parte a tutti gli effetti dei c.d. intangibles values (insieme a brand, tecnologia, ecc.).
La tutela dei livelli occupazionali quindi non ha solo valenza sociale, ma può rispondere a un interesse concreto dell'impresa.
Per tutto quanto sopra esposto, strumenti essenziali per assicurare il buon esito di un'operazione di turnaround, soprattutto nei settori labour intensive, sono quelli che consentono da un lato di ridurre il personale attraverso procedure concordate (licenziamenti collettivi, esodi incentivati, mobilità), dall'altro di affrontare temporanei periodi di difficoltà (CIGS), consentendo inoltre all'impresa di disporre di un orizzonte temporale più ampio per trattare con i lavoratori/le OO.SS. nuove condizioni contrattuali.
Tali strumenti consentono dunque di trovare un punto di equilibrio tra i due interessi in gioco, quello della conservazione del valore e quello della tutela degli interessi dei lavoratori. La loro applicazione presenta tuttavia non pochi punti critici ed incertezze interpretative proprio con riferimento alle imprese in crisi interessate da processi di ristrutturazione, emerse recentemente nel caso della sentenza 11 giugno 2009, causa C-561/07. La Corte di Giustizia ha infatti condannato l'Italia giudicando non conforme alla direttiva n. 2001/23 sui trasferimenti d'azienda la norma che consentiva di derogare all'art. 2112 c.c. nei casi in cui la crisi aziendale (prevista espressamente dall'art. 47, comma 5, legge n. 428/90 quale presupposto per poter disapplicare le garanzie dettate dall'art. 2112 c.c.) sia sostanzialmente dichiarata con finalità di risanamento per il riequilibrio dello stato patrimoniale in vista della futura ripresa.
Secondo la Corte lussemburghese, infatti, la situazione di crisi potrebbe giustificare la disapplicazione della direttiva solo se presentasse un fine analogo a quello perseguito nell'ambito di una procedura di insolvenza e si trovasse sotto il controllo di un'autorità pubblica competente, come il curatore fallimentare.
Solo il tempo potrà dire se la correzione normativa operata dal legislatore italiano (sul punto, per sanare l'irregolarità, è infatti intervenuto il d.l. 25/09/2009, n. 135, convertito con legge n. 166/09) per recepire le indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia con la pronuncia del giugno 2009 vada nella direzione giusta.
In ogni caso, ulteriori profili di incertezza nella gestione di situazioni di crisi possono derivare dal fatto che un attore necessario in tutti i casi di applicazione degli ammortizzatori sociali è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (o i suoi uffici territoriali), autorità che agisce in questo caso in sede amministrativa, e che tuttavia anche in tali circostanze non può non risentire della sua natura "politica", con la conseguenza che il suo orientamento può essere soggetto ad esigenze congiunturali di natura economica (il che è certamente legittimo e giustificabile) e del ciclo politico (il che è altrettanto comprensibile, ma forse meno condivisibile).
Un esempio recente è quello della Nota emanata dalla Direzione Generale degli ammortizzatori sociali Divisione IV del 17 marzo 2009, n. 14/4314, avente ad oggetto l'applicazione della CIGS in casi di turnaround, la cui impostazione di fondo non appare del tutto convincente alla luce del dettato normativo: il Ministero del lavoro ha infatti risposto positivamente al quesito posto da una società in liquidazione che aveva chiesto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182 bis della legge fallimentare, sulla possibilità di veder riconosciuto, a favore dei propri dipendenti, il trattamento di integrazione salariale straordinario per la causale ex art. 3, legge n. 223/91. Partendo dal presupposto dell'applicabilità di tale norma al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni (previsto espressamente dall'art. 3 citato quale causa integrabile, unitamente alle altre procedura concorsuali di carattere liquidatorio - fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria - la cui attività produttiva sia cessata o non sia più proseguita dopo il manifestarsi dello stato di insolvenza) e del significativo rilievo assegnato dalla riformata legge fallimentare al concetto di crisi, il Ministero - sulla base di una ricostruzione che assimila concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti, giustificabile forse sotto il profilo strettamente concorsuale, ma molto meno sotto quello dell'applicabilità degli ammortizzatori sociali previsti dall'art. 3, legge 223/91 - ha affermato la possibilità di estendere il beneficio a tutti i casi in cui acquisti rilevanza la capacità di ristrutturazione dei debiti e la presenza di un piano articolato di risanamento, concludendo per l'attrazione della figura della ristrutturazione del debito nelle causali previste dall'art. 3, legge n. 223/91 ai fini dell'ammissione ai trattamenti di integrazione salariale straordinaria.
L'ardita operazione interpretativa del Ministero nel caso appena citato - che si colloca agli antipodi di quella elaborata dalla prassi, secondo cui l'applicazione dell'art. 3, legge 223/91 può essere estesa solo a procedure concorsuali che continuino l'attività in fase di liquidazione e quindi con prospettive ben diverse dal risanamento -, ha l'indubbio merito di concedere alle imprese (ed ai suoi lavoratori) uno strumento di sostegno indispensabile in un periodo in cui i segnali di ripresa appaiono ancora deboli.
Essa, tuttavia, rende evidenti i limiti dell'inerzia del legislatore in una materia delicata come quella degli ammortizzatori sociali, che non a caso attende di essere riformata da anni. Inoltre, e soprattutto, rischia di estendere a soggetti che fanno ricorso all'accordo di ristrutturazione dei debiti per risanarsi e tornare agguerrite nel mercato uno strumento - la CIGS c.d. "concorsuale" - per sua natura riservata ad imprese ormai decotte.
Saprà l'Italia darsi nuovo regole in materia prima di essere nuovamente sollecitata dall'Europa?

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