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     n. 6 anno 2009

Dal Web 2.0 al Brand 2.0: come farne un processo aziendale di successo

di Maurizio Quarta

I temi legati al Web 2.0, con ciò intendendo l'insieme di tutti i media (blog, information tagging, social network, twitter, wikis, podcast,etc.) che consentono il contatto diretto e in tempo reale tra individui che si trovano in luoghi tra loro distanti, stanno diventando oggetto di specifica attenzione da parte di molte aziende, che, tra le altre, valutano l'opzione di estrapolarlo come progetto a sè stante da affidare, perlomeno nelle fasi di start up e di consolidamento, ad un termporary manager.
Affidare il progetto ad un manager di elevata seniority può certamente essere un fattore di successo, ma d per sè non basta a garantire il risultato di un'operazione che, a dispetto delle apparenze, è alquanto complessa: In un recente ed interessante convegno organizzato da Monna Lisa sono emerse interessanti considerazioni per tutte le aziende che vogliano gestire in chiave strategica la leva del Web 2.0,.
Al di là degli approfondimenti "tecnici" e dei numerosi casi di successo presentati, grande enfasi è stata data alle modalità con cui le aziende devono metabolizzare il nuovo approccio e renderlo parte integrante dei loro processi per ottenere il massimo ritorno dalla Customer Energy, l'energia dei clienti che vogliono essere parte attiva della catena del valore nel concetto coniato da A.T.Kearney.
Non è più possibile ignorare il fenomeno: sia perchè, a fronte di un effetto sulle organizzazioni molto forte e invasivo, il Web 2.0 è tecnologicamente semplice da realizzare, senza grosse problematiche di system integration, sia perchè alcuni studi prevedono un tasso di crescita annuo superiore al 15% per i prossimi cinque anni, nonostante l'attuale crisi.

Un primo importante elemento di attenzione è la padronanza dei processi, ovvero la presa in mano da parte delle aziende del loro controllo/monitoraggio e la loro guida strategica. Premesso che il Web 2.0 ha un approccio bottom-up, questo approccio deve essere in qualche modo fatto proprio dalle organizzazioni, attraverso la leadership, la sponsorizzazione e un utilizzo attivo da parte di alcuni manager chiave per evidenziarne, sia internamente che esternamente, la rilevanza per l'azienda: è il caso dei sempre più frequenti blog di presidenti e amministratori delegati, aperti anche ad un pubblico esterno (es. quello del CEO di GM).

Lasciare spazio ad un indiscriminato spontaneismo può trasformarsi in un pericoloso boomerang, punto su cui c'è il rischio di una contrapposizione ideologica, soprattutto con chi legge il termine controllo nell'ottica orwelliana del Grande Fratello: posto che il controllo (il cosa dire, il come dirlo, il punto di arrivo di un dato processo) resta di fatto in mano agli utenti, le aziende devono essere capaci di osservare, suggerire, contribuire affinchè i risultati del processo siano un input fruibile per altri processi aziendali (es. il caso, che ha fatto storia, della Fiat 500).
Entrare nel Web 2.0 con la presunzione di orientare dall'inizio una data iniziativa può essere un grosso erore, in quanto sono gli utenti stessi a plasmarla in corso d'opera: sta all'azienda essere sufficientemente agile e flessibile da capire la direzione del processo e da aiutarlo e sostenerlo nella sua crescita.

La guida strategica è condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente per il successo: è infatti fondamentale che il Web 2.0 diventi uno strumento quotidiano di lavoro, parte quindi del normale flusso di attività, e non un qualcosa di collaterale cui dedicare extra-tempo e extra-attenzione quando disponibili.

Anche il sistema premiante deve in qualche modo adattarsi ai paradigmi di un ambiente in cui la molla che spinge alla partecipazione ha a che fare con bisogni di ordine superiore (riconoscimento, stima di sè, percezione della propria utilità per una data causa) più che con motivazioni pratiche e di natura economica.

Non meno importanti sono alcune considerazioni relative all'efficacia nell'attivare un processo Web 2.0:

  • bisogna sempre guardare al giusto trade off tra desiderio delle persone di contribuire e reale valore "aziendale" del loro contributo, onde evitare, come già successo in diversi casi, di aver a che fare con grandi masse di comunicazioni, cui va comunque data risposta, e con nessun risultato dal punto di vista pratico
  • nel momento in cui il numero di utenti inizia a crescere ci sono aspetti legati alla riservatezza (es. diffusione di notizie aziendali riservate) e alle modalità stesse della comunicazione (es. necessità di regole e codici di comunicazione e comportamento) che non vanno per nulla sottovalutati.

Quali suggerimenti?
Primo: osservare e valutare con attenzione come e quanto l'azienda compare nei cosiddetti UGC (User Generated Contents), ben sapendo che nel mondo della blogosfera questi ultimi nascono, crescono e muoiono indipendentemente dalla volontà dell'azienda.
Secondo: definire quale ruolo si vuole avere nel processo con il relativo livello di controllo strategico e iniziare con un approccio per passi successivi.
Terzo: essere consci che è impossibile arrestare il progresso e che, i blog saranno domani quello che la posta elettronica era ieri ed è diventata oggi.

 

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