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     n. 20 anno 2009

Il ruolo del Consiglio di Amministrazione nelle imprese familiari

di Cristina Bettinelli, Università degli Studi di Bergamo

Premessa di Maurizio Quarta

Intervistato a margine dell'interessante incontro organizzato da HSM sul Family Business, John Davis ha concordato sulla rilevanza del temporary management quale strumento di crescita per le PMI, sia come portatore di una specifica competenza funzionale, sia come portatore di una più generale competenza di governance, ponendo comunque l'accento, in entrambi i casi, sulla particolare capacità di entrare in sintonia con la cultura imprenditoriale, e con i suoi limiti, senza la quale qualsiasi intervento è destinato ad un precoce fallimento. L'articolo di Cristina Bettinelli, che del lavoro di Davis ha una profonda conoscenza operativa, ben evidenzia il valore di un consiglio di amministrazione ad elevato contenuto manageriale.

L'obiettivo di questo contributo è quello di prendere in considerazione il ruolo del consiglio di amministrazione nelle imprese familiari per cercare di capire come i membri dello stesso possano contribuire ad incrementarne l'efficacia.

Parlando di impresa familiare si fa riferimento alla definizione proposta dai professori dell'università di Harvard Renato Tagiuri e John Davis. Si definisce tale l'impresa con proprietà controllate da una famiglia dove due o più membri della stessa famiglia lavorano nell'impresa o comunque esercitano un'influenza significativa sul business.

L'urgenza di implementare un adeguata azione di governo dell'impresa viene con vigore ripresa dalla professoressa Giovanna Dossena che in merito sottolinea la necessità di favorire la chiarezza della condotta di chi agisce in relazione alle strategie, alle tattiche e alle finalità perseguite. L'autrice rileva inoltre che "occorre valutare attentamente il fatto ce l'impresa stessa è persona (giuridica) che opera e interagisce con il mondo esterno, che dà e chiede tutela."

Il riferimento specifico che in questa sede si fa alle imprese familiari deriva dalla constatazione che esse costituiscono una parte determinante del tessuto capitalistico ormai in tutto il mondo. La dimostrazione empirica di ciò è stata prodotta prendendo in considerazione la compagine societaria di un vasto numero di aziende provenienti da diverse zone geografiche. Un primo studio è stato portato a termine presso l'università di Harvard da La Porta, Lopez-de-Silanes e Shleifer nel 1998, con un'analisi sugli assetti proprietari di 691 società quotate provenienti da 27 nazioni collocate in diverse aree geografiche a livello mondiale. Dai dati emerse che le imprese analizzate erano tipicamente controllate da gruppi familiari (o, in alcuni casi, dallo Stato). Successivamente una mirabile mappatura della situazione dell'Europa occidentale è stata fornita da Faccio e Lang nel 2002. Gli autori, ponendo l'attenzione sugli assetti proprietari (e tenendo debito conto dell'esistenza di catene di controllo e strutture piramidali) studiarono 5,232 società in 13 paesi Europei. I risultati dimostrarono che le imprese con proprietà dispersa tra piccoli azionisti erano il 36.93% del totale mentre le imprese controllate da un gruppo familiare erano il 44.29%. Di recente i dati di Faccio e Lang sono stati integrati da Holderness con dati raccolti da altri autori e relativi agli assetti proprietari di società provenienti da nove nazioni asiatiche. Holderness nel 2009 ha costruito - per un confronto - un ulteriore campione di 375 società quotate negli Stati Uniti. Il risultato di tale aggregazione consiste in un database di 8.217 società americane, europee ed asiatiche. Dalle analisi fatte è emerso che le imprese americane non si discostano di molto dalle imprese europee ed asiatiche per quanto concerne l'identità degli azionisti di controllo. Infatti ben il 53% delle società americane è controllato da un gruppo familiare, così come il 59% delle società in Europa ed Asia.

Questi dati sfatano il "mito della proprietà diffusa" negli Stati Uniti e sottolineano la rilevanza che le imprese a controllo familiare hanno in tutto il tessuto economico mondiale. Tale rilevanza è ancor maggiore qualora si ampliasse l'analisi tenendo conto anche delle società non quotate.

Il consiglio di amministrazione è l'organo che da un lato può avere un ruolo decisivo nel delineare il buon governo di un'impresa, dall'altro può risultare particolarmente problematico viste le condizioni della proprietà e della gestione di un'impresa familiare.

I cosidetti "board of directors" sono il centro di molti sforzi per il miglioramento delle pratiche di governo dell'impresa. Si pensi alle prescrizioni contenute nei codici di autodisciplina in varie nazioni e anche alle disposizioni legislative in materia (ad esempio, per gli Stati Uniti la Sarbanes-Oxley Act 2002; per l'Europa il Piano di Azione emanato dalla Commissione Europea in materia di diritto societario il 21 maggio del 2003). La centralità del consiglio di amministrazione emerge anche dalle raccomandazioni emanate nel passato da organizzazioni quali la Business Roundtable, la National Association of Corporate Directors NACD e l'Institutional Shareholder Services, Inc. Facendo riferimento ai consigli di amministrazione nelle imprese familiari, revisioni delle letteratura svolte di recente hanno indicato che, nonostante molto sia stato chiarito da autorevoli autori in passato, i tempi sono maturi per ampliare gli orizzonti della conoscenza in materia.

La convergenza in capo a pochissime persone dei ruoli chiave che si rileva nelle imprese familiari induce a pensare che il consiglio sia uno strumento poco utile se non addirittura nocivo.

Nel tentativo di spiegare le fonti del possibile conflitto all'interno dell'impresa familiare, Renato Tagiuri e John Davis hanno proposto un modello che identifica il "sistema impresa familiare" come il risultato di tre sub-sistemi indipendenti ma sovrapposti: l'impresa, la proprietà e la famiglia. Secondo i succitati autori, l'impresa, la famiglia e la proprietà perseguono, tradizionalmente, obiettivi, bisogni e pratiche diversi e vanno governati con criteri diversi. Nonostante ciò, si verifica che ciascuno di questi sub-sistemi si sovrapponga con l'altro. Ecco ad esempio che una persona arriva ad essere contemporaneamente proprietaria, dipendente e membro della stessa impresa familiare. Il sovrapporsi dei suddetti ruoli va gestito con razionalità: l'impresa non può essere gestita come la famiglia e viceversa. Inoltre, dato che i bisogni e gli obiettivi dei tre sub-sistemi sono indipendenti, vanno governati in modo coordinato. Dalla sovrapposizione di questi tre sub-sistemi (nella figura 1: i tre cerchi) emergono sette diversi settori. Ogni individuo che appartiene al sistema impresa familiare ricade in uno di essi. Per esempio si potrà avere il caso in cui un soggetto è dipendente dell'impresa e membro della famiglia, oppure il caso in cui un soggetto è proprietario e membro della famiglia ma non lavora in azienda o ancora il caso in cui un soggetto contemporaneamente sia parte della famiglia, del gruppo proprietario e lavoratore nell'impresa (in tal caso si collocherà al centro della figura).

Proprio per questi motivi i consigli di amministrazione nelle imprese familiari finiscono con l'essere coinvolti in aree che sono al di fuori delle loro classiche competenze di supervisione strategica e di controllo. Infatti una delle più incisive caratteristiche dei consigli nelle imprese familiari è che gli amministratori non rappresentano una massa di azionisti "anonimi", bensì un gruppo di azionisti che appartenenti alla stessa famiglia e che, in quanto tali manifestano esigenze e problematiche diverse.



Figura 1:Il sistema Impresa Familiare; Tagiuri e Davis, 1982

In conclusione si intende sottolineare che il consiglio di amministrazione può divenire un utile strumento di governo del sistema impresa familiare a condizione che si strutturi in modo appropriato. Un buon consiglio dovrebbe infatti essere composto in larga parte da amministratori esterni. Tali persone, grazie alle loro competenze, dovrebbero farsi portatori di un reale supporto al CEO (Presidente e/o Amministratore Delegato). Ciò può avvenire tuttavia a condizione che gli amministratori esterni siano mossi da un reale interesse per l'impresa che servono. Inoltre non va dimenticato che la condicio sine qua non è che a capo del consiglio vi sia un CEO sia realmente intenzionato a confrontarsi con i suoi consiglieri e capace di ascoltare.

 

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