hronline
     n. 14 anno 2008

Aziende cinesi in cerca di management occidentale

di Maurizio Quarta

Negli ultimi anni si è prestata molta, se non eccessiva, attenzione ai flussi di investimenti diretti dall'Occidente verso la Cina, mentre molto poco ci si è soffermati sui flussi in direzione contraria. Siamo andati a vedere cosa sta cambiando nelle strategie di investimento cinese all'estero per capirne le implicazioni in termini di management e l'emergere di nuovi bisogni.

Fino ad oggi l'espansione internazionale delle aziende cinesi è sicuramente stata inferiore alle aspettative e ai timori dell'Occidente: tra il 1995 e il 2007 solo 17 delle prime 100 aziende cinesi hanno chiuso operazioni di investimento all'estero (solo 6 ne hanno fatte più di tre), numeri decisamente inferiori a quanto realizzato dalle aziende indiane. Ad oggi, la Cina è in forte ritardo sulla citata India, ma anche su Corea del Sud e Taiwan in termini di revenue generate all'estero, di asset controllati all'estero e di numero di addetti all'estero.
Fino ad oggi il focus degli investimenti esteri è stato sulle materie prime, specie nei mercati emergenti,principalmente attraverso grandi operazioni.

Diversi sono gli indicatori che fanno pensare ad un cambiamento di tendenza epocale:

  • aumenta sensibilmente il volume di operazioni all'estero, che denota, nel primo quarto del 2008, un valore doppio rispetto allo stesso periodo del 2007 
  • cambia la tipologia di operazioni di investimento, sempre più orientata verso target più piccoli e più focalizzati
  • cambia il target geografico, dall'Asia in un'ottica più globale, con l'Europa che dovrebbe arrivare a pesare per almeno il 30% dei volumi
  • sta cambiando la tipologia di investitori, sia per l'aumento di società quotate e private che investiranno direttamente all'estero, sia per la progressiva riduzione della quota statale nelle aziende pubbliche che tenderanno sempre più ad operare come vere e proprie multinazionali
  • muterà il ruolo del CIC -China Investment Corporation (fondo sovrano) sempre più investitore di minoranza più che azionista attivo.

Diversi sono i fattori che stanno spingendo verso questo nuovo scenario:

  • il progressivo rilascio dei vincoli di natura valutaria e la conseguente maggior facilità nel processo di approvazione di investimenti all'estero
  • la grande disponibilità di cassa generata dai profitti accumulati negli anni scorsi
  • l'esistenza di un elevato livello di liquidità sul mercato interno, grazie anche alla pressione sulle banche da parte delle autorità alle banche per fornire capitali
  • il forte supporto politico alll'espansione internazionale
  • la necessità di accedere a nuovi mercati, a fronte della diminuzione dei tassi di crescita della domanda interna.


Come diretta conseguenza un numero significativo di aziende cinesi (secondo alcune stime addirittura tre su cinque) include l'espansione all'estero tra i propri obiettivi di lungo termine, con un ventaglio composito di obiettivi oltre alle "tradizionali" fonti di materie prime: accesso a nuove tecnologie e nuove competenze, accessi a nuovi mercati e a nuove fasce di clientela, marchi.
In questo nuovo quadro, in cui aumenta drasticamente la complessità, gli elementi di vantaggio competitivo generalmente riconosciuti alle aziende cinesi (es. bassi costi di produzione, forte supporto governativo, "disinvoltura" nella gestione di brevetti e copyright) non sono sufficienti a garantire il successo e a superare quelli che le stesse aziende cinesi riconoscono essere i più forti ostacoli alla loro espansione:

  • la carenza di talenti manageriali
  • una insufficiente comprensione di meccanismi legali e operativi decisamente più articolati e complessi
  • la rilevanza della barriera culturale.

In tutte le fasi del processo di internazionalizzazione è e sarà sempre più necessario introdurre nuova cultura, nuovi metodi e nuovi approcci, date le difficoltà presenti in tutta la filiera di attività di espansione all'estero: dalla valutazione del rischio politico, ambientale e legato alle normative, soprattutto di natura giuslavoristica, alla fase di identificazione di possibili aziende target, allo sviluppo di un management globale, al ridisegno delle strutture organizzative e dei processi.
Non solo: serve anche la capacità di "mediare" culturalmente tra visioni spesso contrapposte, come ad esempio:

  • la maggiore centralizzazione del processo decisionale in Cina 
  • il bilanciamento tra vita lavorativa e vita private, che vede tendenzialmente contrapposti una forte commistione (in Cina) ad una più marcata divisione (in Occidente) 
  • la maggiore enfasi che in Cina si attribuisce alla seniority rispetto ai principi di responsabilità e merito
  • la spesso forte discrepanza nelle aziende cinesi tra struttura reale e struttura organizzativa formale.

Un buon indicatore di quanto ciò sia rilevante è il crescente ricorso a esperti occidentali (avvocati, consulenti, studi di PR) con l'obiettivo di far crescere risorse interne capaci di "capire" la controparte occidentale, attraverso specifici programmi di formazione che coinvolgono anche figure di livello medio-alto, come testimoniato da Margaret Neale, esperta di negoziazione, in un'intervista al recente World Negotiation Forum di Milano.

La rapidità con cui la strategia di espansione internazionale andrà realizzandosi richiede dei fattori di accelerazione del processo; in questo senso, le aziende cinesi stanno progressivamente apprezzando l'utilizzo di temporary manager occidentali, da impegnare su due filoni di attività principali:

  • all'estero, per accelerare e facilitare il processo di acquisizione
  • in Cina per attività di coaching.sul management locale.

Nel primo caso,si guarda con interesse allo strumento per ridurre rischi e costi di tutte le situazioni tipiche di una crescita all'estero:

  • per lo start up di una newco, dove lavorare a risorse variabile/flessibili garantisce la possibilità di valutare con relativa tranquillità la sostenibilità del business nel medio-lungo termine
  • per l'identificazione di PMI quali possibili target per un'acquisizione (totale o parziale), in mercati particolarmente affollati e geograficamente frammentati. Il temporary manager può gestire i contatti preliminari (anche blind), operare come advisor per costruire il deal e operare come interfaccia qualificata fino alla conclusione dello stesso, creando un'interfaccia positiva tra dipendenti locali e nuova proprietà, garantendo un adattamento soft a leggi e consuetudini di business locali, e (se così pianificato) preparare la successione verso un manager espresso dalla nuova proprietà

Nel secondo caso, il temporary manager verrà impegnato in progetti mirati a far crescere il livello di competenze manageriali esistenti in modo che l'azienda sia in grado o di gestire la stessa attività in maniera più efficace ed efficiente, o di gestire attività del tutto nuove. Il manager assumerà tendenzialmente una specifica responsabilità di natura funzionale con l'obiettivo di razionalizzare gli strumenti di gestione esistenti, introdurne di nuovi e trasferirli progressivamente al management locale e gestire infine il passaggio del testimone ad un manager locale per la gestione della quotidianità nel lungo termine.

Due spunti di riflessione, parafrasando due leit motiv del convegno ISTUD "Fare affari in Cina":

  • se è vero che per conoscere la Cina ci vorrebbero cento vite, come disse Confucio, è altrettanto vero che per conoscere un Occidente più variegato e composito ne servirebbero almeno altrettante.
  • la regola d'oro l'education prima del business vale senza alcuna eccezione anche per le aziende cinesi; se vogliono fare affari in Occidente/Europa, è necessario che anch'esse sviluppino una comprensione sempre crescente della realtà e della cultura occidentale.

(dalla relazione al convegno ISTUD "Fare affari in Cina" - Milano, luglio 2008)

 

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®