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     n. 12 anno 2008

Consiglieri indipendenti: nuovi professionisti?

di Maurizio Quarta

Le carenze di corporate governance alla base di alcuni recenti grandi crack hanno reso oggi familiare questo termine vecchio di quattro secoli; tanto familiare che già si paventa il rischio che diventi una delle tante mode manageriali cui adeguarsi perchè tutti lo fanno e perchè fa bello farlo.
Così non è stato negli USA, dove il Sarbanes-Oxley Act, emanato pochi mesi dopo il caso Enron, ha senza dubbio indotto consigli di amministrazione e manager ad essere molto più diligenti nel preparare un'informazione finanziaria dettagliata ed accurata, e ha aumentato nei consiglieri la consapevolezza della loro responsabilità nei confronti degli azionisti (specie se diffusi).
Prevale però la sensazione che il potenziale della riforma sia stato realizzato solo in parte. Almeno tre grandi istanze sono tuttora sollevate da investitori e consiglieri:
- separazione dei ruoli tra Presidente e Amministratore Delegato (Chairman e CEO)
- maggiore indipendenza e responsabilizzazione dei consiglieri
- riallineamento e ridimensionamento della struttura dei compensi degli amministratori in favore della creazione di valore di lungo periodo.

Al di là della specificità del singolo punto, il denominatore comune sembra essere la riduzione del grande potere accumulatosi nelle mani di alcuni CEO, attraverso un maggiore controllo sulla gestione da parte di professionisti altamente qualificati.

Anche in Italia, un elemento di controllo e di bilanciamento di un eccesso di poteri viene indicato nel consigliere non esecutivo, e in particolare in quello indipendente, su cui molto si discute in termini di forma e di sostanza, a partire dalla funzione generica ad essi attribuita dal Codice di Autodisciplina (essere elemento significativo nell'assunzione delle decisioni consiliari, attraverso l'apporto di specifiche competenze e contribuendo all'assunzione di decisioni conformi all'interesse sociale).

Il punto non è tanto la coerenze formale dei consiglieri indipendenti con i principi statuiti, quanto evitare che l'indipendenza, se non ben controllata e monitorata, diventi concetto vago ed evocativo come la "diligenza del buon padre di famiglia" del nostro Codice Civile.

Nella realtà il consigliere indipendente, o pseudo tale, è prassi molto diffusa, per molti motivi, sia perchè ottimi manager in fine carriera si propongono quali consiglieri indipendenti, spesso attratti dal mix buoni compensi/bassi sforzi e bassa responsabilità che gli incarichi paiono loro offrire, sia perchè molte aziende hanno il bisogno di abbellire il consiglio con nomi di noti professionisti e accademici.

Il risultato è che oggi ci sono in giro veri e propri professionisti che cumulano anche decine di incarichi.

D'altra parte, molti consiglieri ritengono di essere fortemente dipendenti dal management anche solo per la definizione degli ordini del giorno dei consigli, di sapere molto poco di quello che avviene in realtà in azienda, e di ricevere un'informazione che ne condiziona pesantemente l'indipendenza (come ricevere pochi giorni prima di un CdA un rapporto di molte pagine, per quanto chiaro e dettagliato).

La sostanza tocca quindi almeno due questioni di fondo: il livello di professionalità dei manager e i meccanismi operativi attraverso cui un consiglio agisce.

E' forse il momento di passare "dal mestiere alla professione", ovvero di istituzionalizzare questa nuova professionalità, da una parte educando il mercato al corretto utilizzo di nuovi strumenti per la gestione, dall'altra sistematizzando e qualificando l'offerta arricchendola di nuove competenze e modi di operare (l'esempio di Nedcommunity).

D'altra parte, c'è chi paventa il rischio che sia la stessa professionalizzazione a portare al proliferare degli incarichi. Tutto ciò a dimostrazione di due cose:
- quanto sia necessario approfondire ancora le sfumature della questione (velocemente come negli USA)
- come sia necessario trovare delle regole che evitino eccessi e comportamenti devianti; aumentare responsabilità e compensi, introdurre meccanismi di valutazione della performance dei consigli, limitare esplicitamente il numero di cariche cumulabili come in USA, sono tutti fattori che possono avere un effetto calmieratore sul cumulo degli incarichi.

Non va da ultimo trascurato un punto che negli USA è oggetto di attenta riflessione: la tendenza a introdurre regole sempre più vincolanti e stringenti sui consiglieri potrebbe realisticamente ridurre il numero di persone di alto livello realmente interessate a questa attività, con il risultato che solamente le aziende che avranno messo in moto un serio e concreto meccanismo di revisione dei processi di governo saranno considerate appealing dai migliori consiglieri. Le altre potrebbero essere forzate a ricorrere a personaggi di minor calibro i quali, in assenza di determinate caratteristiche personali e professionali che consentano di fornire valore attraverso la loro indipendenza, potrebbero alla lunga innescare un circolo vizioso di declino delle capacità di gestione di queste aziende.

 

 

 

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