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     n. 8 anno 2016

Allineare o Responsabilizzare? Alignment or Empowerment ?

di Doriano Marangon

Qualche giorno fa ho ricevuto la visita di un tecnico per riparare la linea ADSL. Mentre lo osservavo il tecnico ha cominciato a dire al collega con cui era in contatto telefonico: "il modem si sta allineando... adesso, ... ecco ... ora è allineato." Osservando lo scambio tra i due tecnici ho avuto quel che si dice un'illuminazione!
Quella parola, allineare, che mi è sempre stata ostica, tanto da farne materia dei miei corsi, è usata molto spesso nelle organizzazioni; n inglese fa aligning people with strategy, o detto in modo più semplice dai manager italiani con i quali mi trovo a lavorare, bisogna che le persone siano allineate. Ecco che questa locuzione che troviamo in inglese o in italiano nei siti di moltissime società, spesso nell'area People o HR, per illustrare il modo in cui le persone vengono gestite, ritrova il suo vero senso: allineare è un vocabolo che esprime uniformità, conformismo, disciplina, una minore possibilità di intervento. Parole che mi fanno tornare a contesti dimenticati, ma in cui la libertà d'azione è estremamente limitata: la scuola materna o elementare (da cui si usciva allineati per ordine di altezza) e il servizio militare (stare allineati e coperti). Due mondi caratterizzati dall'avere comportamenti che devono essere standardizzati nell'abbigliamento, indossando le divise, e nell'obbedienza agli ordini, che offrono solo la costrizione ad agire in modo predeterminato. Soggiacenti a un'autorità che si applica mediante il comando e il controllo. In sintesi, organizzazioni gerarchiche.

Torniamo alla mia storia; il tecnico dopo qualche altro controllo alla fine mi disse: "il modem adesso è allineato ... ma la linea adsl non funziona!".
Nelle imprese spesso avviene lo stesso: le persone vengono allineate alla strategia, con norme, regole e obiettivi ma i risultati non arrivano.
Forse piuttosto che allineare le persone, dovremmo dire loro in modo chiaro e ripetuto, dove l'organizzazione vuole andare (la cara vecchia visione) e soprattutto il perché (l'attenzione al senso e al significato dei comportamenti lavorativi e dei contributi richiesti), che sono le cose di cui ci si dimentica più facilmente quando si è presi dalle frenetiche attività quotidiane.

Credo che il problema sia dovuto al fatto che l'allineamento prevede un ordine, un comando, una struttura gerarchica e che le persone agiscano per dovere, ma il dovere è alimentato da un'autorità. Ora l'autorità è stata eliminata dalla nostra società ormai qualche decennio fa. I giovani che entrano nelle aziende, quando ci riescono, non sanno cosa sia un ordine, né un comando, né un dovere.
In un mondo e in una società sempre più individualizzata, come ci ricorda Ulrich Beck, sarebbe utile passare dal dovere alla responsabilità, due parole che non sono sinonimi. La responsabilità richiede forti motivazioni interne e diversamente dal dovere non può essere originato ad un comando o da un consenso ricercato. È tutta a carico dell'individuo.
A questo proposito, è utile cogliere come i capi e i manager reagiscano nelle aule e nei workshop quando dico loro che gli individui oggi ricercano responsabilità e autonomia. Convinti dalla loro esperienza che al contrario i giovani millenari, e non solo, cerchino di sfuggire le responsabilità. L'idea di fondo che emerge da queste opinioni è che i collaboratori sono concepiti come dei dipendenti, o nella versione più gerarchica dei sottoposti e in quella più simpatica come i miei ragazzi. Persone inferiori, che non sono allo stesso livello e non hanno le stesse possibilità d'intervento. Una considerazione evidentemente antiquata e fuori dalla realtà odierna. Essere responsabili è una faccenda da persone adulte, da persone indipendenti e per persone che sanno assumersi la responsabilità nei confronti degli altri.

Responsabilizzazione è un termine poco elegante e non esplicito in italiano, che è usato in genere come traduzione del termine americano empowerment (dare potere). Responsabilizzare quindi consiste nell'attribuire potere alle persone che lavorano con noi, il potere di fare, di agire e soprattutto di decidere. È solo in questo modo che i nostri collaboratori, impiegati, quadri, operai e, sì a volte anche dirigenti, saranno capaci di portare a casa i risultati agognati.
Smettiamola di allinearli come delle spie accese su un modem. Facciamo del vero empowerment organizzativo in cui comunichiamo la visione del futuro, permettendo loro così di prendere le decisioni, e lasciamo che siano loro a trovare le strategie e il modo migliore per raggiungere i risultati con la loro intelligenza, le loro competenze e capacità, i loro talenti, la loro passione.

 

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