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     n. 6 anno 2016

Gestire il lavoro altrui: tante ragioni per farlo con gratitudine

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Tirar fuori la voce

Vale la pena ribellarsi alla tentazione di mollare pensando che non possiamo far niente per migliorare i luoghi organizzativi in cui si lavora. Grosso modo, chiudevo così il contributo ospitato in questa rubrica a febbraio. Anticipavo, infatti, che ci sono numerose ragioni per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Motivazioni importanti e solide per chi ha la responsabilità del lavoro altrui.
Per quali ragioni, dunque, dovremmo resistere a questa tentazione? Per tirar fuori la voce, ammoniva il professor Keating ai suoi allievi ne L'attimo fuggente, bisogna combattere e più tardi si comincia a farlo "più grosso è il rischio di non trovarla affatto". Dove trovare però la forza per sostenere la motivazione del "farsi carico"? Questa può scolorirsi come un capo nella varichina, perdere la nitidezza dei contorni e la loro forza morale. Un po' come fa l'acqua quando bagna un foglio scritto con l'inchiostro. E' un processo lento ma inarrestabile se non si ferma lo stillicidio, se non s'inverte la marcia, se non torniamo a interrogarci sulle ragioni dell'impegno che fonda la responsabilità di ciascuno verso gli altri anche nel lavoro. Nel chiasso di quest'epoca possiamo perdere lucidità e, con essa, la consapevolezza che cede presto il passo alla sfiducia e al ripiegamento su se stessi.


Un laboratorio per i people manager

Fa bene allora riprendere la discussione intorno alle ragioni del nostro impegno per guidare gli altri, per farla diventare un laboratorio civile dove elaborare l'esperienza e ritrovare la spinta per scrivere, quotidianamente, il pezzo di storia che ci compete, quello del tessuto connettivo che ci sta intorno e che arricchisce di senso la vita. E' un laboratorio che riporta in superficie, liberandolo dal peso devastante della sola razionalità economica, il significato profondo della responsabilità che abbraccia quanti dirigono il lavoro altrui, per ricercarne insieme il senso più profondo e umano. Come? Con un esercizio alla portata di tutti e facile, che non ha bisogno di tecnologie particolari, senza "app" da scaricare né "login" da effettuare. E' un esercizio di lettura e di riflessione. La lettura di alcune motivazioni che dovrebbero sostenere l'accountability nel lavoro imprenditoriale, manageriale e professionale. E' una lettura generativa perché facilita la meditazione sul nostro impegno, aiutandoci a eliminare le tentazioni del disimpegno. La si può fare in solitudine, anche se diventa più efficace quando si trovano occasioni per condividere l'esercizio con altri. Uno strumento di consapevolezza per non sottrarci alla fatica della responsabilità, perché è bene che quanti sono punto di riferimento per autorità, carisma, competenze o altre circostanze, non si lascino andare. Perché tradire le aspettative di chi ci è prossimo?

Un esercizio di consapevolezza

Perché impegnarsi? Ecco dieci buone ragioni:
- perché "lavorare con e attraverso gli altri" è un privilegio che non tutti hanno, un dono ad alta fertilità
- per gratitudine verso chi mi fa crescere camminando insieme con me, non avendo avuto la possibilità di scegliermi
- per aiutare i miei collaboratori a dare un senso al loro lavoro, perchè ho sperimentato quanto sia dannoso per l'impresa avere persone che lavorano senza sapere ‘perche'
- per mettere in condizione quanti lavorano con me, quando ritornano a casa, di raccontare ai figli, senza vergogna o rimpianti, quello che fanno quando non stanno con loro
- per consentire a ciascuno di realizzare nel lavoro una parte dei loro progetti, aiutando chi non ne ha consapevolezza a scoprire vocazioni e talenti perché "ogni lavoratore è un creatore"
- per testimoniare ai più giovani la gioia che si prova quando si costruiscono progetti e si conseguono risultati insieme agli altri, incentivando comportamenti cooperativi e inclusivi
- per far sentire gli altri unici e il loro lavoro importante perché concorre "al progresso materiale o spirituale della società"
- perché sono consapevole dell'importanza che ha l'ambiente di lavoro come fonte di benessere per la persona e per le famiglie e che - per una parte - questo dipende da me
- per contribuire - prima come cittadino e poi come capo e leader - a rimuovere gli ostacoli che impediscono "il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori" all'organizzazione della società
- per riconoscere e promuovere "il diritto al lavoro" dei miei collaboratori e contribuire così a costruire "le condizioni che rendano effettivo questo diritto".
L'elenco, per alcuni, risulterà incompleto. Per altri invece eccessivo. Sarebbe interessante continuare l'esercizio attraverso un people management lab per aggiungere, togliere o integrare le ragioni del nostro impegno. Raccontando storie, perché no? Per continuare a ricercare le motivazioni del comportamento umano, anche del nostro, che è il cuore della vocazione professionale di chi dirige. Non appendiamola al chiodo. Non servirebbe a nessuno.


Riferimenti
Arendt H., Lavoro, opera, azione, Ombre Corte, Verona, 1987
Gabrielli G., Post-it per ripensare il lavoro, Franco Angeli, Milano, 2012
Kreitner R., Kinicky A., Comportamento organizzativo, Apogeo, Milano 2013
Ulrich D., Ulrich W., Il perché del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2012
Costituzione della Repubblica Italiana: Art. 3, si può leggere all'indirizzo http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf; Art. 4, si può leggere all'indirizzo http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf
"L'attimo fuggente" (1989), di Peter Weir. La sequenza ricordata nel testo può essere scaricata a questo indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=lyyVtohtgqE

Gabriele Gabrielli
Docente Università LUISS Guido Carli 
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (presidenza@lavoroperlapersona.it)
twitter@gabgab58
 

 

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