hronline
     n. 6 anno 2015

Ogni impresa ha la quantità e qualità di leadership che si merita

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

I leader chi sono in realtà? E che responsabilità hanno? Quando pensiamo alla leadership a quali dinamiche l'associamo? La cultura in cui siamo cresciuti ci propone un mondo spaccato in due: da una parte chi guida e dall'altra chi segue. Leader e follower. Quest'idea è così fortemente radicata in noi e nel mondo che abitiamo che gran parte della comunicazione pubblicitaria è costruita attorno ad essa. Anche le architetture e i meccanismi di funzionamento dei social media si basano su questa visione del mondo. Che è la vecchia idea, a pensarci bene, secondo cui una volta che sei "gettato" nel mondo o vinci o perdi. Non puoi farci niente. Viviamo una terra dove si lotta e dove si è costretti a correre più veloci del concorrente. Fintanto che scopri, gli studi di strategia e management lo dimostrano, che ci sarà sempre qualcuno che correrà più veloce di te. E' solo questione di tempo. Se la sceneggiatura è questa, sono in molti a pensarlo, allora non val la pena affaticarsi tanto, è più facile seguire qualcuno, il più veloce di quella stagione, di quell'epoca. Ma i follower poi sono tutti uguali? No, ci sono anche quelli più smart che riescono a intuire prima degli altri chi sarà il più veloce del nuovo turno e a scommetterci di conseguenza. Insomma sul carro di chi appare vincitore si può salire anche prima che il vincitore diventi ufficialmente tale. E' una visione che intristisce un po', a dir la verità, perché lascia intendere che si è sempre in attesa di qualcuno che ci prenda per mano e che avremmo una sorta di disposizione naturale a non valorizzare il nostro punto di vista. Questa visione però non è convincente nelle premesse. E' proprio vero che il mondo può essere così facilmente segmentabile in due blocchi? Dove inizia la leadership e quando finisce? E la followership? Che volto hanno e quali sono le loro maschere? Giancarlo Trentini, in un lavoro di quasi venti anni fa, scriveva che parlare di leadership è un po' come addentrarsi in un "labirinto di nodi di idee in cui è meglio non preoccuparsi di trovare il "centro", ma lasciarsi prendere dall'incantesimo delle verità plurali, con la libertà del sapere che ne deriva, rispetto al dominio di una qualche idea centrale". Questo labirinto diventa ancora più intricato se aggiungiamo la domanda che vuol comprendere anche dove inizino e dove finiscano la leadership, da un lato, e il management dall'altro. Il pensiero dominante, anche se con molte sfumature, ha accolto per lo più la distinzione proposta da Warren Bennis e Robert Townsend negli anni novanta dello scorso secolo secondo cui i leader sono le persone che fanno le "giuste cose", i manager le persone che fanno le "cose giuste". I primi si preoccupano di dare una visione e una direzione da seguire, i secondi pensano a realizzarla con efficienza gestendo le organizzazioni giorno dopo giorno. Insomma, secondo il pensiero maturato negli ultimi decenni, mentre al manager spetta "gestire le decisioni routinarie", quelle decisioni cioè che non sembrano poter incidere sull'assetto di fondo dell'azienda, al leader spetta al contrario "prendere decisioni critiche che definiscono, selezionano e guidano il futuro dell'organizzazione" Ma i confini dell'una e dell'altra sono così netti? Su quest'ultimo aspetto si sta facendo strada, per esempio, l'idea che sarà sempre meno necessario un management orientato esclusivamente ad allineare risorse e variabili organizzative ai piani dell'azienda, essendogli richiesto invece di "contaminare" il suo approccio con forti iniezioni di envisioning. Lo schema di gioco però rimane lo stesso: da una parte c'è chi guida e dall'altra chi segue. Non tutti però la pensano così. C'è chi ritiene, per esempio, che la leadership non si esaurisca all'interno di questa sorta di "quadro regolatorio", perché ciascuno di noi ha leadership, tutti possiamo essere leader in quello che facciamo. La "guida" insomma non sta solo in alto, perchè ogni persona può esercitare un ruolo d'influenza importante nel contesto, nelle relazioni e nei ruoli che ricopre. Bisogna però facilitare l'espressione di questa leadership diffusa e benefica, affinchè le persone siano messe in condizioni di esprimere la propria. Risulta evidente così l'importanza di poter disporre e alimentare ambienti sociali e di lavoro capaci di sprigionare energia, non solo obbedienza e esecuzione delle decisioni. Comando e controllo, da un lato, coinvolgimento e apprendimento continuo, dall'altro. Organizzazioni che fondano il proprio "ordine" solo sul comando e che non consentono di fare errori, di lasciar osare, probabilmente possono avere successo nel lungo periodo, perché scoraggiano e avviliscono le persone. L'energia in questi luoghi sarà destinata a esaurirsi, così come l'innovazione e la voglia di accettare sfide capaci di offrire sempre qualche cosa in più. Quando non aiutiamo le persone a diventare consapevoli del loro valore, perché non accordiamo loro fiducia, per esempio, imprigioniamo la leadership di ciascuno, un patrimonio inestimabile per l'impresa e per la società. Potremmo dire, a questo punto, che ogni paese, ogni ambiente, ogni impresa ha la quantità e qualità di leadership che si merita.

Gabriele Gabrielli, docente Università LUISS Guido Carli
twitter@gabgab58
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®