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     n. 20 anno 2013

Il ritorno dell’equità

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

C’è una parola molto usata in quest’epoca incerta, frammentata e opaca: equità.  Se ne parla in politica e nel linguaggio del governo di istituzioni e territori; con essa si evoca l’equità previdenziale e quella tra generazioni, l’equità del fisco e più in generale quella sociale. In verità l’equità, come principio e aspirazione, abbraccia tutti i campi del vivere civile: vorremo essere trattati equamente a scuola, giudicati secondo giustizia e con equità da un magistrato, vorremmo che i genitori ci trattassero equamente e potremmo continuare. L’equità diventa così criterio ispiratore dell’azione e limite di ogni autorità. Anche nei luoghi di lavoro vorremmo che ci fosse. Tra le aspettative dei collaboratori di un’impresa, infatti, c’è quella di essere trattati con equità da imprenditori, manager e supervisori. Le percezioni di equità, anzi, sono una delle variabili che influenzano in maniera significativa l’impegno, la motivazione, la soddisfazione sul lavoro e sono decisive per la performance, anche se possono essere moderate da numerose variabili. Le persone quanto pensano di essere trattate giustamente dall’organizzazione? I numerosi studi sulla giustizia organizzativa hanno prodotto esiti non sempre univoci. E’ certo però che più gli individui sperimentano di essere trattati con equità,  conservando la percezione che vi è giustizia in ogni fase dei processi di funzionamento e gestione dell’impresa, maggiore risulta essere la fiducia nell’organizzazione e la soddisfazione sul lavoro. Ricerche empiriche dimostrano che percezioni positive di giustizia, quindi, sono in grado di influenzare sia variabili individuali, sia variabili organizzative. Un campo di particolare interesse per la teoria e la pratica, come noto, è quello che si concentra sulle decisioni di tipo allocativo degli incentivi economici (giustizia distributiva) e sulle procedure che conducono a tale decisione, valutando per esempio la trasparenza del processo di definizione e gestione della politica retributiva e le sue caratteristiche (giustizia procedurale).

Un principio fondamentale della giustizia distributiva è quello per cui un individuo è soddisfatto quando valuta il rapporto (ratio) tra risultati ottenuti (output) equo rispetto al contributo fornito (input), considerato anche riguardo al gruppo che sceglie come riferimento. Quando questo rapporto è percepito non equo ci può essere una ingiustizia positiva o negativa. Sarà negativa quando il rapporto input/output è ritenuto più basso rispetto a quello del referente; sarà un’ingiustizia positiva se il rapporto sarà percepito come superiore. In pratica, ciascuno di noi compie due valutazioni: dapprima, compariamo quante risorse abbiamo impiegato per ottenere le ricompense che ci sono state riconosciute (per esempio, un premio economico), successivamente compariamo tale rapporto con la situazione dei colleghi. Ma compariamo tale rapporto anche con la situazione dei nostri capi e con quella dei top manager dell’azienda. Queste valutazioni naturalmente dipenderanno dalle norme di equità che ciascuno di noi utilizza, come per esempio l’uguaglianza, il merito o altro. Quello che sappiamo, però, è che quando percepiamo un’ingiustizia reagiamo in qualche modo. Possiamo farlo assumendo comportamenti differenti e su più piani: individuale, di gruppo, di categoria. Quando le percezioni di equità negativa sono diffuse possono anche sfociare in progetti politici. E’ successo in Svizzera qualche settimana fa, i cittadini sono stati chiamati a votare un referendum che proponeva di limitare la distanza retributiva possibile tra i trattamenti riconosciuti al vertice di un’impresa e quelli riconosciuti all’ultimo impiegato. La percezione diffusa è che le pratiche attuali, con i forti divari di remunerazione che presentano, siano considerate non eque. L’hanno chiamato progetto 1:12, riferendosi al differenziale retributivo massimo prevedibile. La proposta è stata respinta, ma questo è un altro tema. Merita attenzione però che un certo disagio in termini di percezione di equità retributiva è arrivato anche nelle tranquille e silenziose valli svizzere. E’ un segnale non di poco conto. La società nel suo complesso e le imprese dovrebbero allora porre una più forte attenzione alle percezioni di equità e alle teorie della giustizia organizzativa. Produrrebbe molti benefici.   

Gabriele Gabrielli, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

 

 

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