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     n. 11 anno 2010

Riformare il mercato del lavoro per non espellere il futuro dal nostro orizzonte

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

Le Considerazioni finali del Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi hanno riscosso il plauso da più parti. Quello che più ci ha colpito è stata l'analisi proposta con riguardo alla situazione nel mercato del lavoro dei più giovani. La tesi è che il peso maggiore della crisi si sta scaricando (e continuerà a farlo senza interventi) proprio su di loro. Lo sapevamo già, qualcuno potrebbe obiettare. Ma la chiarezza delle argomentazioni usate, insieme all'autorevolezza istituzionale e personale da cui provengono, fanno assumere un significato ancora più drammatico e urgente alla situazione. La crisi, in altre parole, ha fatto e continua fare molte vittime. Tra queste, però, le più numerose e "innocenti", potremmo dire, sono tra i giovani. Se non si agirà in fretta c'è il rischio che i legami che tengono unita la società, già messi a dura prova, si disgreghino in modo irreparabile, non potendo reggere l'urto di una così forte spaccatura al suo interno. La questione, dicevamo, è ampiamente nota, ma non parrebbe esserci una altrettanto profonda consapevolezza circa le sue potenzialità distruttive. La discussione intorno alle conseguenze e, soprattutto, ai rimedi per rimuoverla ha costituito recentemente anche motivo per segnare una spaccatura all'interno del Partito Democratico in occasione del'Assemblea Nazionale. Pare di capire che il contrasto emerso sui contenuti del documento sul lavoro approvato non sia sulla diagnosi (il mercato del lavoro e le sue regole così come sono non vanno proprio bene), quanto piuttosto sulla strategia (politiche, normative e strumenti) da adottare per tutelare i più giovani. Si tratta di temi che coinvolgono in profondità il futuro del nostro Paese; se non vi si metterà mano, non si consentirà ai giovani di avere un lavoro (perché l'economia non è incentivata a sufficienza a porre in essere contratti più stabili di quelli, comunque in calo, a termine o a progetto), di costruire progetti, di immaginare una vecchiaia sostenuta da prestazioni previdenziali adeguate che appaiono, con il passare del tempo, sempre più una chimera per le nuove generazioni. Non è questa la sede per discutere quale sia il modo più appropriato per qualificare questa situazione. Certo è che essa traccia una significativa e profonda spaccatura tra due blocchi: i giovani e gli anziani, i figli e i padri, gli sfortunati e i fortunati, i precari e i privilegiati. Ci pare poco proficuo ora discutere per comprendere se questa situazione sia una "apartheid", come l'ha descritta Pietro Ichino criticando la linea strategica del maggiore partito dell'opposizione, e se per superarla occorra uno Statuto dei lavori ovvero "un diritto unico del lavoro". E' del tutto evidente comunque che siamo in presenza di una sorta di "doppio standard" e che l'attuale situazione assomiglia sempre più a un "welfare dei capi-famiglia", usando l'espressione di Dario Di Vico [Corriere della Sera, 1 giugno]. E' lo stesso Mario Draghi poi a sottolineare come "da tempo vanno ampliandosi in Italia le differenze di condizione lavorativa tra le nuove generazioni e quelle che le hanno precedute a sfavore delle prime". Ci pare un dato più che sufficiente per rimboccarsi le maniche, tutti insieme, e scongiurare il pericolo che si consolidi la paura -evocata efficacemente da Massimo Gramellini [La Stampa, 29 maggio]- che il nostro mondo abbia "espulso dal suo orizzonte il domani". Non si possono tirare i remi in barca di fronte a questa emergenza che rischia di creare molta più instabilità di quanto possano farlo altre vicende che riempiono pagine e pagine di stampa. Non c'è dubbio che si tratti -lo scriviamo da tempo- di un tema prioritario per l'agenda istituzionale, politica ed economica. Ma la tattica (che nasconde un irriducibile egoismo) sembra ancora prevalere sulla saggezza e su una visione di lungo periodo. Anche i dati più recenti forniti dall'Istat sulla disoccupazione continuano a segnare la gravità della situazione. Ma non si ascoltano ancora le ragioni assordanti della necessità di riformare con urgenza il mercato del lavoro "con lo sguardo rivolto ai giovani e a chi ha meno diritti", come auspicato da Ferruccio De Bortoli [Corriere della Sera, 1 giugno]. E occorre fare in fretta, perché -avverte sempre il Governatore- "i giovani non possono da soli far fronte agli oneri crescenti di una popolazione che invecchia". E' forse questa la "manovra finanziaria" su cui occorrerebbe lavorare davvero e attorno alla quale chiedere sacrifici a chi sta meglio. Servirebbe a ridurre una distanza tra generazioni che rischia di diventare incolmabile e a ristabilire un clima più sereno e di fiducia. Anche l'economia se ne avvantaggerebbe. Ma soprattutto la nostra coscienza.

 

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