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     n. 16 anno 2009

Una stagione più “spettacolare” per la gestione dei conflitti sul lavoro

di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli

La vicenda della particolare forma di protesta con cui i lavoratori della Innse di Lambrate hanno lottato questa estate per non far chiudere i battenti dell'azienda lombarda, ha registrato molti commenti, ma soprattutto sembra aver dato il "la" a una nuova modalità di lotta. L'epilogo, come sappiamo, è stato positivo; l'impresa ha trovato un acquirente, il gruppo Camozzi, che sembra abbia un progetto industriale a servizio del quale far funzionare macchinari e occupare le maestranze. Le riflessioni proposte a margine della vicenda, oltre che molteplici, sono anche di natura diversa. Alcune hanno evocato, per esempio, il tema della "voglia di partecipazione" alla vita dell'azienda che si celerebbe dietro il gesto dei "gruisti" della Innse. Guglielmo Epifani l'ha definita "una bella pagina di lotta", lasciando quasi intendere che i lavoratori sono pronti a guardare le imprese con occhi diversi da quelli di maestranze in cerca soltanto dello scambio più remunerativo tra lavoro e retribuzione; la protesta di Lambrate, secondo questa lettura, nasconderebbe in realtà un potenziale significativo ed inespresso di "voglia di partecipazione" che sollecita politiche di maggior coinvolgimento. Chissà se è stata anche questa vicenda a suggerire al Ministro Tremonti il rilancio del tema della partecipazione agli utili dei lavoratori? Ma la maggior parte dei commenti ha evidenziato quello che di realmente nuovo c'è in questa forma inusuale di conflitto sindacale. Anche con una certa sorpresa, si è notato che questa forma di lotta -pur se con qualche rischio per la sicurezza dei lavoratori- non è stata affatto violenta, ha creato pochi danni e non ha messo a rischio macchinari. Inoltre, non ha provocato disagi a "terzi", cioè a tutti noi cittadini che, pur seguendo la vicenda con comprensione e sentimenti di solidarietà, non siamo sempre tolleranti e disponibili a subire in prima persona danni e disagi di "provenienza sindacale" come, per esempio, in caso di scioperi o di altre agitazioni nei servizi essenziali. Insomma, le trasformazioni culturali, economiche e sociali richiedono alle stesse forme di lotta sindacale un cambio di marcia per ricercare maggiore efficacia e produttività. E l'effetto imitativo di questa vicenda "efficace, anche perché veloce" c'è stato. Nello stesso periodo un gruppo di dipendenti della CIM di Roma, azienda che produce materiali edili, è salito su una torre per "dare voce e immagine" alla loro protesta, "messa in scena" per evitare che l'azienda fosse chiusa per motivi diversi che una crisi. Come dimenticare poi la "messa in scena" particolarmente suggestiva e "nazionale" dei vigilantes che sono saliti sul terzo anello del Colosseo a sostegno della loro trattativa sindacale? E potremmo continuare anche con vicende più recenti, sia nel nostro paese che all'estero. La modalità utilizzata in tutti questi casi si caratterizza per diverse novità; la più significativa, forse, sta proprio nell'oscuramento prodotto alla componente che ha contrassegnato le forme di lotta nell'epoca post-industriale, ossia la capacità di provocare danni a "soggetti terzi" del conflitto, quelli fuori, cioè, del perimetro segnato dalla relazione duale impresa-lavoratori; e, grazie a questa loro portata offensiva, idonee ad accrescere i livelli di attenzione pubblica (e di pressione sul datore di lavoro) sulla vicenda. I "gruisti" di Lambrate con la loro lotta hanno depotenziato proprio la "leva" su cui si basavano i "conflitti terziarizzati", sostituendo ad essi una nuova forma di protesta, ancora più efficace perché meno intrusiva, ma soprattutto perché usa la nuova leva di successo di quest'epoca, cioè la "spettacolarizzazione". Quelle che abbiamo menzionato, pur con indubbie differenze, sono tutte proteste infatti non invadenti e che non creano disagi a "terzi". Sono riuscite a riempire con le loro storie le prime pagine dei giornali e, con le loro inconsuete immagini, la televisione e i notiziari, ricorrendo al ‘linguaggio' adatto per ‘mettere in scena' tutte le vicende umane senza distinzioni di sorta, facendole diventare una "esperienza-prodotto". Si pensi a questo proposito, andando oltralpe, all'iniziativa degli operai della Chaffoteaux et Mary che, per richiamare l'attenzione sulla loro situazione aziendale e sui licenziamenti, hanno deciso di posare nudi e fare un calendario. Sono tutte vicende che concretizzano quel fenomeno di "vetrinizzazione sociale", come lo chiama Vanni Codeluppi, che sta caratterizzando la nostra vita e che mette in scena ogni cosa: anche le lacrime, la violenza fisica e quella "mediatica" sulle persone, la sofferenza e la morte. La domanda allora è: è stata inaugurata una nuova stagione più "spettacolare" nella gestione dei conflitti di lavoro? Di evidenze in questo senso ce ne sono molte e anche materiale sufficiente, forse, per studiarla più a fondo. Non rientrano in questo filone innovativo, però, le numerose altre vicende che "spettacolarizzano" forme di violenza inaccettabili, come quando si assediano dirigenti d'impresa, si dà fuoco agli uffici o, come è successo in Francia, si minaccia di inquinare fiumi.

 

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