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     n. 6 anno 2009

Facciamo a meno del management!
Sta montando una pericolosa e irresponsabile escalation contro i dirigenti

di Gabriele Gabrielli, Docente Università Luiss Guido Carli

Già a fine ottobre se ne potevano intravvedere tutti i segnali; alcuni più deboli, altri invece dai contorni già ben definiti. Alla giornata Outlook 2008, organizzata dalla Haygroup a Milano per discutere di politiche e trend retributivi, abbiamo argomentato come si stesse assistendo a una progressiva concentrazione di forze -anche e soprattutto emotive- per fare l'"ultimo assalto". Una sorta di discutibile "chiamata alle armi" per distruggere il nuovo "nemico comune" di turno che solleva gli animi dando sfogo a tutto il malessere accumulato. Dopo la fortunata inchiesta giornalistica che ha messo all'indice la "casta" dei politici ne sono seguite altre: sui giornalisti, sul sindacato, sui padroni e, da ultimo, sugli evasori. Altre ne seguiranno, siamo certi. Un successo editoriale e un business straordinario quello dei "libri denuncia" che trova forse le sue ragioni, come è stato scritto autorevolmente, nel sollievo che si prova quando si scopre - o qualcuno ci fa credere - che la colpa dei nostri problemi è sempre di qualcun altro. Ebbene, l'ultimo assalto è arrivato e si sta consumando: colpisce a piene mani il management. Questo assalto ha trovato la "giusta" sponda negli scandali finanziari, soprattutto d'oltreoceano, e nella insostenibilità di alcune politiche e trattamenti di ricompensa riconosciuti ai Top Executives e viene ora sferzato in grande stile e con tutte le forze colpendo a raffica e in ogni direzione. Quotidiani e settimanali sparano bordate all'impazzata e, come spesso accade, talvolta senza approfondire e discutere seriamente temi che, invece, per la loro complessità, meriterebbero davvero molta più attenzione e forse meno populismo. Anche perché è facile poi confondere tutto e fare di ogni erba un fascio. Sul tema della remunerazione e incentivazione la linea tracciata, quella cioè di una maggiore moderazione nel riconoscimento delle ricompense economiche e di un più spiccato ed esibibile senso di realtà, è giusta e va perseguita con decisione. Quello che ci pare davvero non opportuno, invece, è contribuire a montare -magari senza che ce se ne renda conto- un clima di guerra e guerriglia contro i "capi" e quanti hanno responsabilità di gestione nelle organizzazioni. Il feeling non è buono da tempo e le ragioni sono tante; anche le responsabilità sono molte, frammentate e diffuse. Ma l'assalto che viene mosso serve a ben poco e non aiuta a ricostruire fiducia e sostegno; né ad individuare, laddove ce ne siano, responsabilità personali che vanno certamente identificate e sanzionate. E' fuori dubbio che da questa crisi anche il management ha e avrà molto da imparare; così come sta già pagando e pagherà le sue colpe. L'obiettivo su cui lavorare dunque, aggregando e concentrando le energie, è quello di avviare un processo di "rigenerazione" complessiva di idee, di modelli di comportamento e leadership, di pratiche e di nuove "metriche" fondate sull'etica. Per far questo in modo serio, però, occorre unire più che separare; includere anziché escludere; guardare avanti più che girarsi indietro per smarcarsi. Non possiamo condividere allora, in questa prospettiva, l'appello di quanti (si veda il fondo di Piero Ostellino sul Corriere della Sera del 28 febbraio), per esempio, invitano gli imprenditori a cogliere l'opportunità di questa crisi per riprendere in mano le aziende e non lasciarle "in quelle di un management che ha la vista corta". Una sentenza, ci pare, pronunciata all'interno di un processo cha ha avuto una insufficiente istruttoria e un inadeguato dibattimento.
In altre parole, non crediamo si renda un buon servizio alla società per uscire da questa crisi che, ora è evidente a tutti, non è solo finanziaria ed economica ponendo all'indice tutto e tutti e ammucchiando ogni cosa per farne un unico falò. I falò, lo sappiamo bene, scaldano per un tempo limitato e lasciano poi sulle piazze solo cenere che alla prima folata di vento si disperde. La prudenza in queste fasi di profonda e traumatica trasformazione, oltre che essere per alcuni una grande "virtù", ci pare certamente anche una grande "competenza" che dovrebbero avere e praticare quanti hanno o condividono responsabilità di governo, di classe dirigente, di formazione delle opinioni e di educazione in generale. Stiamo prendendo consapevolezza di aver costruito o immaginato role model non proprio adeguati per far crescere la società in modo equilibrato e soprattutto a vantaggio di tutti. Questo processo di "presa di coscienza" è sano e ci porterà indubbiamente a rivedere e rimodellare molte cose. Ma questa difficile ricostruzione ha bisogno, come sempre, della partecipazione e del contributo di tutti e non può fondarsi sulla "demonizzazione", sulla "ghigliottina" o sulla "forca". Anche qui la "memoria" ci può essere di aiuto. Altrimenti si corre un grave e tragico pericolo, quello di vedere le piazze riempirsi di folle che portano manichini di manager che sono poi impiccati sulla pubblica piazza. Fantasie? No, è già successo. Andate a vedere le immagini pubblicate sul Corriere della Sera del 17 marzo e scattate davanti alla fabbrica della Continental a Clairoix in Francia dove protestavano gli operai. A chi sarà diretto il prossimo assalto?

 

 

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