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     n. 3 anno 2023

Straining e comportamento colposo del datore di lavoro: costrittività organizzativa (commento a cass. 33428/2022)

di Pasquale Dui

di Pasquale Dui

Costrittività organizzativa

Il riconoscimento della rilevanza nell’ambito dell’ambiente di lavoro di tecnopatie da costrittività organizzativa è rinvenibile nella circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003, intitolata "Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche", con individuazione delle malattie derivanti da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro e riconduzione nei meccanismi propri della malattia professionale non tabellata, e nel D.M. 27 aprile 2004, adottato dal Ministero del lavoro, con il quale sono state inserite tra le malattie di possibile origine lavorativa per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 139, anche (Lista II - gruppo 7) le "malattie psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro".

Tali atti, com'è noto, sono stati annullati dal Giudice amministrativo (vedi: Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 marzo 2009, n. 1576), ma, principalmente, facendo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1988, questa Corte ha manifestato la tendenza a considerare l'art. 2087 c.c. - in combinazione con gli artt. 32 e 41 Cost. - come uno strumento volto a tutelare la salute del lavoratore nell'ambiente di lavoro da tutti i possibili rischi, anche prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 28, comma 1, che contiene l'espressa consacrazione in via legislativa della ricomprensione nella tutela antinfortunistica dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato, nel più ampio e indistinto genus dei rischi di natura psico-sociale, definito secondo il richiamo all'Accordo Europeo dell'8 ottobre 2004, recepito in Italia dall'Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008.

Secondo gli orientamenti maturati nel suindicato percorso interpretativo la Suprema Corte (come risulta da Cass.  16580/2022 punto 4.1 della motivazione), è pervenuta alle seguenti conclusioni:

  • è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima (Cass. 12437/2018; Cass. 26684/2017, secondo cui “ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti la conflittualità delle relazioni personali all'interno dell'ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore”), e ciò a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime, il tutto secondo un assetto giuridico pianamente inquadrabile nell'ambito civilistico, ove si consideri che la determinazione intenzionale di un danno alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro o di chi per lui è ragione di violazione dell'art. 2087 c.c.
  • è configurabile lo straining quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 18164/2018, secondo cui “lo "straining" è una forma attenuata di "mobbing", cui difetta la continuità delle azioni vessatorie, sicché la prospettazione solo in appello di tale fenomeno, se nel ricorso di primo grado gli stessi fatti erano stati allegati e qualificati "mobbing", non integra la violazione dell'art. 112 c.p.c., costituendo entrambi comportamenti datoriali ostili, atti ad incidere sul diritto alla salute”) o esse siano limitate nel numero (Cass. 7844/2018), ma anche nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori (Cass. 3291/2016), anche qui, al di là delle denominazioni, lungo la falsariga della responsabilità dolosa o anche colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l'esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute ancora secondo il paradigma di cui all'art. 2087 c.c.

La ordinanza n. 33428/2022, 11 novembre 2022, della Corte di Cassazione in tema di costrittività organizzativa

Secondo Cass. 33428/2022, ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva, in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative stressogene (c.d. straining), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno.

Il lavoratore, informatore scientifico, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, due dei quali sono stati accolti.

La Corte d’Appello, a differenza del Tribunale, ha ricondotto all’area della percezione soggettiva la situazione lavorativa del ricorrente, venutasi a modificare da settembre 2012.

Nel procedere a tale sussunzione, non ha, tuttavia tenuto conto, della rilevanza del fattore organizzativo - e delle connesse possibili situazioni di costrittività organizzativa - all'interno del perimetro rappresentato dal complessivo dovere di tutela della salute, anche psichica, del lavoratore, ai sensi dell'obbligo datoriale di protezione di cui all'art. 2087 c.c., in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all'inquadramento di cui all'art. 2103 c.c.

Responsabilità datoriale da inadempimento

Peraltro, le nozioni di mobbing e straining hanno natura medico-legale e non rivestono autonoma rilevanza ai fini giuridici, e servono soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l'art. 2087 c.c., e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (Ex multis Cass. 3291/2016);

Quindi, è comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento - imputabile anche solo per colpa - che si ponga in nesso causale con un danno alla salute (ad es. applicazione di plurime sanzioni illegittime: Cass. 16256/2018; comportamenti che in concreto determinino svilimento professionale: Cass. 9901/2018), e ciò secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale (artt. 1218 e 1223 c.c.).

Specificamente in materia di straining, è stato precisato che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva, in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative stressogene (cd. straining), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno (Cass. n. 3291/2016; v. anche Cass.  18164/2018).

 

Prof. Avv. Pasquale Dui, DV-LEX  DUI VERCESI & PARTNERS STUDIO LEGALE

 

 

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