n. 21 anno 2023
Pubbliche Amministrazioni: dall’amministrare al sostenere
di Alfonso Orfanelli e Fabrizio Giorgilli
Con il PNRR è ritornato il tema di una ulteriore riforma delle Pubbliche Amministrazioni.
La storia italiana delle analisi e delle attenzioni verso tali realtà organizzative continua però ad essere caratterizzata da due “pratiche” principali.
In primo luogo, lo svilupparsi, negli ultimi decenni, di una necessaria e positiva evoluzione culturale che ha visto l’affacciarsi all’osservazione anche di discipline diverse da quelle giuridiche, spesso facilitate da nuove similitudini tra lavoro pubblico e la famiglia più ampia del “lavoro sociale” (v. Riva F., Bene comune e lavoro sociale, Edizioni Lavoro, 2012).
In secondo luogo, però, si è osservata l’incapacità di fatto dell’insieme delle stesse discipline di rendersi disponibili ad analisi comuni, rinunciando a rigidità epistemologiche e dogmi interpretativi.
Salvo alcune eccezioni, i giuristi, primi proprietari di tale analisi, hanno mantenuto negli anni le loro lenti specialistiche. Le scienze sociali, di contro, non sono riuscite a guardare le organizzazioni pubbliche valorizzando pienamente il ruolo e le logiche delle culture giuridiche, perdendo così l’occasione di alimentarle con le più ricche sensibilità psicosociali. Le psicologie dinamiche e dei comportamenti, in particolare, sembrano ancora oggi persino disinteressate dai setting del lavoro pubblico. Della filosofia pratica (v. Cosentino A., Filosofia come pratica sociale, Apogeo, 2008), invece, si può osservare la costante attenzione alle ispirazioni valoriali che sono alle spalle dei ruoli organizzativi pubblici, anche se ciò sembra non sia stato ancora sufficiente a realizzare una concreta apertura interdisciplinare.
Dunque, non solo la transdisciplinarietà (costruzione di nuovi paradigmi operativi nell’incontro tra diverse discipline) ma la stessa necessaria interdisciplinarietà (dialogo tra discipline diverse con ricerca di punti di contatto), appaiono ancora lontane dal permettere la definizione di paradigmi ed approcci utili e praticabili.
Un confronto non rassicurante
Si è sviluppato così un percorso (a partire dai primi anni ’90 del secolo scorso) di pubblicazioni e convegnistica ispirato ad un confronto cortese, ma superficiale e precostituito. Un confronto cioè basato su di un patto di conoscenza ingenua e di interdisciplinarietà inconsistente, con una disponibilità ad un influenzamento reciproco solo se “confermativo” (ascolto selettivo). Questa costruzione, sommativa e scolastica, si è manifestata in precisi contributi.
Il primo, come si diceva per titolo storico, è quello di una parte degli studiosi di diritto amministrativo. In questo caso, essenziale è sempre stata la loro riflessione sul piano delle logiche connesse alle architetture istituzionali (equilibrio dei poteri, competenze, sistema democratico, frontiere del diritto amministrativo nella globalizzazione, ecc.). Parimenti determinante, ma con segno negativo, si è palesata la mancanza di consapevolezza circa le dinamiche organizzative e, conseguentemente, gli approcci alla loro lettura. Tutto amplificato, sotto quest’ultimo aspetto negativo, dalla necessità di offrire facili modelli alla politica, modelli per questa ragione inevitabilmente rigidi, decontestualizzati (socialmente ed antropologicamente), guidati da dogmi di razionalità assoluta od ingegneristica e generalmente portatori di pre-giudizi elitari negativi nonché antistatalisti.
Il secondo, per attrazione tra simili, è il percorso di una parte della cultura aziendalista e di economisti d’impresa. Quella pronta a soddisfare il bisogno di riduzionismo semplificatorio di cui sopra, con formule magiche (e, come sempre, anche in “forma” matematica) efficientiste, ispirate ad equazioni costi-benefici (in particolare con il contributo delle discipline economiche), costruite per espellere ogni complessità, ogni sensibilità qualitativa e di valore del sistema dei servizi pubblici. Una colonizzazione distruttiva e socialmente pericolosa, anche in termini di antropologie sociali e culture del bene comune. Un trapianto immaginato come completamente sostitutivo.
L’incontro tra questi due percorsi ha prodotto danni osservabili ancora oggi e principalmente messi a sintesi con il totem ben confezionato del New Public Management, capace di affermare l’equivalenza dogmatica tra modelli privati e modelli pubblici di organizzazione, chiaramente sotto la guida dei primi e generalmente legittimata dalla “de-emphasis on public–private divide” (de-enfatizzazione del divario tra forme private e pubbliche di azione).
I bias cognitivi dei riformatori e le macerie
Naturale conseguenza sono stati altri bias cognitivi più ricorrenti e socialmente dannosi, all’origine degli approcci “riformatori”.
- Assunzione, a corrente alternata, del taylorismo (modello esercito-fabbrica) come principio organizzatore ispirato alla capacità risolutoria del principio acritico del comando gerarchico su base di razionalità assoluta (mitologia della scientificità organizzativa).
- Enfatizzazione, conseguente, del mito della standardizzazione dei comportamenti operativi, con fede nella “metrica” della valutazione, nella superiorità dei “tecnici” e nel talentismo individualistico.
- Rilettura, coerente con le assunzioni precedenti, dell’idea di qualità del servizio, assumendo il concetto privato assolutizzato di “cliente”.
- Considerazione superficiale, negativa e preconcetta della figura del dipendente pubblico e dei suoi “rapporti” con la politica, in particolare nel momento di accesso all’impiego.
Così, per chi lavora nelle Pubbliche Amministrazioni sono rimaste solo le macerie prodotte da questa alleanza epistemologica di parte dell’intellettualità giuridico-economico-aziendalista.
I paradigmi necessari
In generale, allora, bisogna rivendicare una “specificità pubblica” rispetto ai modelli organizzativi privati, ispirati essenzialmente alla massimizzazione dell’utilità/profitto. Potremo dire che la sola razionalità tecnica ed economica non richiede obbligatoriamente la scelta di valori sociali, mentre assolutizza ed isola i principi di funzionalità e consequenzialità.
C’è bisogno quindi, con urgenza, di proporre un passo diverso, che provi a far uscire il lavoro pubblico dal dileggiamento, dal disprezzo sociale ispiratore, palese o meno, dei diversi tentativi di riforma.
Sono necessari precisi passaggi concettuali.
- Recuperare un approccio endogeno alla riforma delle Pubbliche Amministrazioni. Non va compiuto il tradimento della Costituzione, dove sono infatti rintracciabili tutti i riferimenti utili al cambiamento organizzativo nelle organizzazioni pubbliche, sia dal punto di vista dei comportamenti che da quello dell’efficienza ed efficacia di sistema.
- Essere convinti che nessun cambiamento è possibile senza utilizzare una logica di sistema ed un approccio di contesto. In tal senso, le Pubbliche Amministrazioni devono cambiare ma coerentemente con un contesto economico ed imprenditoriale che recuperi i valori che la Costituzione dedica loro. Non una Funzione Pubblica per ogni tipo di PIL, ma per uno sviluppo del bene comune e dei beni pubblici al servizio della ricchezza sociale.
- Affrontare, conseguentemente, la dimensione dei comportamenti da nuovi punti di osservazione e nuovi approcci. Si tratta, infatti, di dare rilievo: alle qualità motivazionali non in sé ma in quanto connesse a quelle etico-vocazionali. Bisogna riprendere il cammino dai comportamenti profondi: la leadership esemplare; l’ambiente gruppale come luogo cooperativo e palestra della relazione etica. Comportamenti però da ricostruire attraverso una coraggiosa e profonda riscrittura dell’idea del potere (il dark side organizzativo), così come ci ammoniva l’inascoltato Norberto Bobbio e sapendo che tale concezione è quella che in modo peculiare in campo pubblico condiziona realmente le possibilità di cambiamento coerente con il dettame della Carta Costituzionale. Si deve fare una scelta convinta, consapevole (e non solo limitarsi a citare genericamente questi aspetti come estetica del buon discorso manageriale). Andrebbe quindi definitivamente chiusa la fase dello scimmiottamento di vecchi dogmi privatistici basati, in ordine di apparizione storica, sull’individualismo (vs. individualità), sul carrierismo (ricerca del potere).
Il filosofo Moore osservava già nel 2003 come fosse necessario incoraggiare la formazione di un management nel settore pubblico insieme “più efficace, più responsabile, più sensibile e più democratico” (v. Moore M. H., La creazione di valore pubblico, Guerini, 2003). Sappiamo di essere di fronte ad una “pratica” con propri valori interni (ad esempio la giustizia) cui è associato il dovere di perseguire l’interesse pubblico e delle virtù (ad esempio: la benevolenza, il coraggio, la razionalità, l’equità di giudizio, la prudenza)” (Sacconi L., Etica della pubblica amministrazione (a cura di), Guerini, 1998).
Serve allora un appello ad altre culture e sensibilità (fortunatamente ancora presenti negli ambiti del diritto amministrativo e costituzionale; come in quello organizzativo), che sono su questa frequenza e che non hanno compiuto l’errore epistemologico di considerare il lavoro pubblico assimilabile di fatto a quello privato. Un appello che ridia senso alla domanda: cosa si deve aspettare una società democratica, i suoi cittadini, le sue imprese, dal comportamento dei suoi funzionari pubblici, in termini di valori socialmente accettati, in quanto finalizzati al consolidamento della coesione sociale nelle società pluraliste avanzate?
Non serve un mero “amministrare” (Cassese S., Amministrare la Nazione, Mondadori, 2023) ma un “sostenere”, dove l’idea di Nazione possa essere declinata in modo più etico, peculiare (per la funzione pubblica) e concreto, attraverso quella psicosociale di “Comunità competente”, con tutte le sue plurali antropologie implicate.
Alfonso Orfanelli - Past President Gruppo AIDP Abruzzo e Molise HR Director Digital Transformation Denso Manufacturing Italia SpA
Fabrizio Giorgilli - Dirigente S della Pubblica Amministrazione, docente a contratto in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università del Molise, Referente AIDPpa Gruppo Abruzzo e Molise