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     n. 15 anno 2022

Purpose e leadership ibrida

autori, Paolo Iacci e Luca Solari
recensione a cura di Andrea Martone

Franco Angeli editore, Milano 2022

Purpose e leadership ibrida, l’ultimo prodotto dell’ingegno di Paolo Iacci e Luca Solari, si presenta nella insolita forma di uno scambio epistolare tra gli autori e testimonia un carteggio intercorso tra i due dal 2019 al 2022.

Scrivere delle lettere è stato per lungo tempo il principale veicolo di confronto delle idee (anche nel recente passato). Oggi appare superato dai tanti mezzi di comunicazione più moderni che la tecnologia ci mette a disposizione, ma rimane insuperato come strumento di riflessione. Non è un caso che gli autori di questo originale prodotto letterario cominciano la loro narrazione con l'elogio dei tempi lunghi della comunicazione epistolare, che sebbene appaiano desueti, aiutano il pensiero profondo. 

In effetti Purpose e leadership ibrida è un libro “importante”: il suo peso specifico va ben oltre la dimensione fisica (invero molto ridotta). Le parole sono pensate e, per essere comprese pienamente, richiedono una riflessione, lenta e meditata. Questo libro è una cesura forte con tutto quel filone di libri “usa e getta”, che hanno sempre più successo nella letteratura manageriale dei giorni nostri.

Nello scambio appassionato di missive tra i due autori, il concetto di leadership si dilata e si assolutizza: l’azienda, ma potremmo dire la società nel suo insieme, ha visto crollare molte delle sue certezze e i suoi punti di riferimenti si sono fatti labili. Le persone chiedono ai leader di dare un senso (purpose) allo stare in azienda, intesa come luogo di lavoro, ma anche di scambio sociale. 

L’insofferenza delle nuove generazioni verso il lavoro tradizionale, la great resignation e i nuovi modelli di vita e di consumo sono tutti sintomi di un malessere diffuso nei confronti delle organizzazioni tradizionali, a cui solo un nuovo concetto di leadership può dare risposta. Oggi mancano "purpose alti": le religioni, le ideologie e le Patrie sono tutti concetti miseramente in crisi ed ecco allora proliferare tanti autori che propugnano piccole soluzioni ai mali quotidiani (soprattutto delle imprese e dei manager), che nascono da esperienze parziali, fatti contingenti e ragionamenti spiccioli di mero “buon senso”. Ma il bisogno reale delle persone è quello di una visione più ampia, che può solo derivare da “leader più alti”, che sappiano andare oltre la quotidianità e vedere mete di alto profilo. Ecco allora che la leadership diventa un peso insopportabile per persone che non hanno grandi valori: le aspettative nei confronti dei leader, le qualità morali che sono loro richieste e le capacità personali che devono sviluppare fanno tremare i polsi.

Il richiamo costante dei due autori alla società, ne fa più un libro politico (in senso nobile - la precisazione è necessaria), che manageriale (ma questo è voluto). In tempi come i nostri, in cui la politica italiana (ma mi sembra che il mondo non sia poi tanto migliore) sta mostrando tutta la sua pochezza, il libro pone riflessioni di grande stimolo e al tempo stesso rende ancora più miserevole il quadro che ci circonda.

La prima parte di Purpose e leadership ibrida è piena di pathos e solitudine; con tanta critica, senza risposte e, in fondo, con una sorta di rassegnazione di fronte ad un mondo miserevole. Nella parte finale anche Iacci e Solari non sfuggono alla trappola della "soluzione chiavi in mano": libertà, inclusione e sostenibilità sembrano essere i pilastri di una nuova concezione del management. Sono la base di un modello di gestione democratica delle organizzazioni, al cui interno la leadership non può che diventare plurale (nel senso che non v’è più un uomo solo al comando, ma molte persone che collaborano alla guida delle organizzazioni).

Le ultime due lettere degli autori sono dedicate proprio alla descrizione di questo modello di leadership alternativo, che non poteva mancare, per sfuggire alla critica di essere nichilisti: è un po’ l’happy end della cinematografia hollywoodiana, ma è giusto che sia così. 

Ricorda il film Blade Runner: cupo, violento e disperato, che termina con un’ultima scena piena di luce e di speranza in cui i due protagonisti fuggono verso un mondo migliore. L'ultima scena non c'entra niente con il film, ma siamo tutti felici che ci sia.

 

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