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     n. 1 anno 2022

Reintegra del dipendente no vax perchè in aziende medio grandi la sospensione è extrema ratio

di Marcello Floris

di Marcello Floris

E’ stata reintegrata una dipendente no vax, collaboratrice professionale sanitaria in una ASL, sospesa dal lavoro e dalla retribuzione. Nel proprio decreto del 22 novembre 2021 il Giudice del Lavoro di Velletri scrive che “in un’azienda medio grande la sospensione dal lavoro (e dallo stipendio n.d.e.) può costituire solo l’extrema ratio”.

E’ questa la statuizione contenuta in un decreto inaudita altera parte emesso in accoglimento di un ricorso per un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

La sinteticissima motivazione è basata – oltre che sulla statuizione già riportata – anche sulla rilevanza costituzionale dei diritti compromessi (dignità personale, dignità professionale, ruolo alimentare dello stipendio).

La vicenda

La ricorrente è dipendente di una ASL con qualifica di infermiera a tempo pieno ed indeterminato; aveva dichiarato nell’aprile 2021 la sua volontà di non vaccinarsi e chiedeva pertanto di essere assegnata a mansioni diverse, tali da non costituire pericolo per la diffusione del contagio e ciò in conformità del comma 8 dell’art. 4 del D.L. 1 aprile 2021 n.44.

In un primo momento, sempre nell’aprile 2021, l’ASL collocava la dipendente in ferie per alcuni giorni, quindi accoglieva la domanda e la collocava a decorrere dal 30 aprile 2021 presso un reparto chiamato Centrale Operativa, in cui il pubblico non ha accesso ed in cui si svolge un’attività esclusivamente amministrativa. L’accesso al reparto è protetto e vi prestano servizio solo il guardiano dell’ingresso e due operatori.

Dopo un periodo di formazione durato fino al 15 luglio 2021, l’ASL in data 9 agosto 2021, sulla base dell’art. 44 del D.L. 1 aprile 2021, invitava la ricorrente a sottoporsi a vaccinazione, fissando come data il 29 agosto 2021, senza peraltro tener conto che in tal giorno la ricorrente era in ferie e senza considerare che non avendo più la ricorrente contatto con il pubblico, la vaccinazione non sarebbe stata condizione per la prosecuzione dell’attività lavorativa. L’azienda peraltro era a conoscenza fin dal mese di aprile del rifiuto della dipendente di sottoporsi a vaccino.

Infine, in data 8 ottobre 2021 l’ASL sospendeva la lavoratrice dal servizio senza retribuzione.

Da qui il ricorso in via d’urgenza che ha originato il provvedimento in commento.

Le argomentazioni 

Il decreto legge 1 aprile 2021 n.44sarebbe stato utilizzato in maniera errata ed illegittima dall’ASL per giustificare il provvedimento di sospensione.

In effetti l’art. 4 del decreto 44 dice: “ricevuta la comunicazione di cui al comma 6 il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6 con trattamento corrispondente, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato”.

Sembra quindi chiaro che la sospensione può operare solo ove non sia possibile l’assegnazione a mansioni diverse che non implichino rischi di diffusione del contagio.

Essendo stata la ricorrente posta a lavorare fin dal 30 aprile 2021 presso la Centrale Operativa, senza contatto con il pubblico, sarebbe in pratica venuta meno l’applicabilità dell’ipotesi relativa alla sospensione, a seguito appunto dell’assegnazione  a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, che non comportavano il pericolo di contagio. 

Inoltre il provvedimento risulterebbe tardivo perché l’ASL sapeva già dal mese di aprile del diniego a vaccinarsi e aveva conseguentemente cambiato le mansioni della ricorrente.

Nell’art. 4 è indicato chiaramente un obbligo del datore di verificare l’esistenza di posizioni lavorative alternative assegnabili al lavoratore ed atte a preservare la condizione lavorativa e retributiva e compatibili con la tutela della salute del lavoratore e di coloro che con lui o lei vengono a contatto.

L’onere probatorio grava sul datore di lavoro ed è analogo a quello previsto per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in ordine all’obbligo di repechage.

Viceversa, nel caso in esame, l’assegnazione a mansioni differenti non implicanti il rischio di diffusione del contagio si è verificata, e conseguentemente è venuta meno la possibilità di sospendere dal lavoro e dalla retribuzione la lavoratrice

Conclusioni

La vicenda ha avuto notevole eco anche sulla stampa non specializzata, è comparso infatti anche un articolo sul Corriere della Sera in data 24 novembre 2021. Tuttavia la decisione deriva dalla lineare applicazione dell’articolo 4 da cui si deduce che la sospensione dal lavoro e dallo stipendio è possibile solo se l’assegnazione a mansioni diverseche non comportano rischi di diffusione del contagio non è fattibile.

Senza arrivare a dire che la sospensione è solo l’extrema ratio – ciò che pare una definizione eccessiva –  resta pur sempre il fatto che tale misura può essere adottata solo a fronte di condizioni (impossibilità di assegnare mansioni diverse) che nel caso di specie si sono invece verificate.

In tal modo l’ASL ha in pratica ingiustificatamente sanzionato la lavoratrice. Il Giudice ha emesso il decreto in assenza di contraddittorio con l’ASL (inaudita altera parte, appunto) sussistendo anche requisiti d’urgenza derivanti dalla sospensione dello stipendio. Il 7 dicembre 2021 è fissata udienza per la comparizione delle parti. Sembra pertanto consigliabile alle parti datoriali ponderare adeguatamente simili iniziative, dopo aver soppesato adeguatamente i rischi e le implicazioni che ne potrebbero derivare.

 

avv. Marcello Floris
Partner, Co - Head Employment and Pensions (Italy), Eversheds Sutherland

 

 

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