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     n. 14 anno 2021

Abbandonare i modelli di leadership per andare oltre?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Domande
Che ruolo deve avere l'impresa agli inizi di questo millennio che reclama a gran voce visione, scelte e comportamenti sostenibili? Quale leadership domandano una società e un'economia che si trasformano spinte da digitalizzazione, industria 4.0 e intelligenza artificiale? Come farsi paladini della realizzazione di un mondo più giusto e inclusivo che genera benessere diffuso a tutte le latitudini? Qual è la parte che spetta a ciascuno in un mondo dove «tutto è in relazione» e nel quale la felicità pubblica dipende dai comportamenti di tutti, nessuno escluso?
Sono domande che stanno interrogando con insistenza anche il business management, ossia la filosofia, i modelli e le pratiche con cui si gestiscono gli affari. Alcuni le considerano questioni passeggere, prodotte dalle emergenze di ogni tempo, destinate prima o poi a perdere di vigore.
Altri invece le considerano domande vitali che interpellano prepotentemente anche leader e manager delle imprese alle prese con la transizione ecologica e digitale. La qualità e direzione delle risposte che saranno capaci di esprimere segneranno il successo delle stesse nel lungo periodo, ponendole tra i soggetti economici che si preoccupano non tanto e non solo di aumentare i profitti, quanto piuttosto di creare valore condiviso e positivo impatto sociale.

Sopravvivere o prosperare per il bene di tutti? Due mentalità a confronto
Un rapporto di Deloitte ["The social enterprise in a world disrupted. Leading the shift from survive to thrive," 2021] traccia il passaggio dal "sopravvivere al prosperare". Cosa deve succedere? "In un mondo di perpetuo sconvolgimento, concentrarsi sulla sopravvivenza limita le proprie aspirazioni all'accettazione di ogni nuova realtà e al lavoro al suo interno per realizzare ciò che un'organizzazione ha sempre fatto". Questa mentalità suggerisce di avere pazienza perché prima o poi si tornerà al "business as usual". Tutte le crisi passano.
"La ricerca della prosperità, al contrario, orienta le organizzazioni ad accogliere ogni nuova realtà e ad usarla per re-immaginare norme e presupposti in modi che prima non erano possibili".

Le imprese che coltivano questa mentalità, dunque, vogliono costruire nuove realtà, si impegnano per trasformare il mondo, scelgono un posizionamento radicale. I leader e i manager che le guidano ristrutturano purpose e modelli di business, ridisegnano processi e lavoro. Guardando in faccia il futuro con fiducia, liberi dalla dittatura del presente.

A cosa servono i modelli di leadership?
Tra le domande che li interrogano c'è anche quella, assai fastidiosa, che chiede loro se i modelli di leadership, così come sviluppati nel corso degli ultimi quarant'anni, siano ancora strumenti efficaci per assecondare la straordinaria spinta di cambiamento che quest'epoca grida a gran voce. Può bastare per realizzare questa trasformazione un gruppo di leader selezionati in ragione di modelli comportamentali disegnati per accompagnare il loro successo personale e la crescita senza limiti delle performance economiche e finanziarie? Sta crescendo il numero di quanti pensano che non basti, che nell'epoca delle discontinuità tecnologiche occorrano anche discontinuità culturali e organizzative. Servono idee e strumenti che impegnino tutta l'impresa a creare un impatto positivo per la società e non soltanto risultati. C'è un pericolo infatti che bisogna evitare. Non si devono confondere i risultati con l'impatto, avverte Kenneth P. Pucker [Harvard Business Review Italia, giugno 2021] discutendo della diffusione dei rapporti di sostenibilità, perché le misure seppur necessarie non bastano e bisogna migliorarle e non confondere i piani, altrimenti è possibile trovarsi di fronte a una pletora crescente di amministratori delegati che "danno a credere che stiano facendo qualcosa di concreto quando in realtà non stanno facendo quasi niente...".


La pratica del Citizenship Model
WindTre, la società italiana di telecomunicazioni che vuole essere ‘Human Network Builder', di recente ha fatto una scelta importante su questa strada lasciandosi alle spalle il vecchio modello di leadership per sostituirlo con un nuovo «Citizenship Model» che interessa tutti i collaboratori. Perché un modello di cittadinanza al posto di un modello di leadership? Rossella Gangi, direttrice Risorse Umane dell'azienda, risponde così: "Il concetto di cittadinanza evoca e trasmette un senso molto più ampio di quello che siamo abituati ad attribuire al concetto di leadership. Va oltre, è inclusivo e capace di «tenere tutti dentro», perchè ispira i comportamenti di tutta la popolazione e non solo del suo management. Vogliamo dare il senso che abitiamo da cittadini la «comunità» in cui viviamo. Per questo è una «cittadinanza attiva» impegnata a creare con entusiasmo valore condiviso dentro e fuori l'impresa".
L'idea di questo modello - costruito con il contributo di tutte le persone dell'azienda ascoltate con il ricorso a molteplici strumenti - prende forma e si struttura su tre pilastri: PURPOSE e VALORI | COMPORTAMENTI | IMPATTO. Qui sta il passaggio fondamentale che colloca l'impresa tra quelle - riprendendo la chiave di lettura suggerita da Deloitte - che non vogliono sopravvivere ma prosperare. "Il grande cambiamento che l'azienda sta attraversando - continua Rossella Gangi - richiede a tutti più che in passato di avere consapevolezza dell'impatto del proprio lavoro sul benessere dei clienti, delle persone che vi collaborano, della società e dell'impresa stessa. Una trasformazione che il modello di cittadinanza invita a vivere da protagonisti. Per questo fa leva su senso di appartenenza, identificazione e partecipazione, richiamando la necessità di agire in maniera proattiva e responsabile tenendo sempre a mente gli interessi di tutti gli stakeholder coinvolti".

Il people management fattore chiave per prendersi cura dell'impresa e della comunità
Quest'epoca, con le sue "emergenze", ci abituerà a conoscere esperienze innovative anche nel campo del people management. Le leve di cui dispone infatti sono decisive per poter contare su imprese capaci di trasformare il mondo che viviamo. Per questo anche le pratiche di organizzazione e gestione delle risorse umane devono essere capaci di accendere i riflettori sull'impatto. Scegliere questa diversa attenzione significa mettersi in discussione perché spinge le persone a interrogarsi sempre sulle conseguenze e implicazioni delle proprie azioni collocandole in un orizzonte più vasto di quello riduttivo dei risultati.
Un approccio che elicita scelte radicali perché considera il miglioramento della società e dell'ambiente un aspetto non negoziabile dei modelli di business. Anche le performance economico-finanziarie ne beneficeranno, trainate da quella «presa in carico» degli inter-essi degli altri - nel senso più ampio del termine - che è la lezione più importante anche della pandemia.

Gabriele Gabrielli, Imprenditore, executive coach e consulente è Consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit e BCorp certificata. Ideatore, co-fondatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona, insegna Organizzazione e gestione delle risorse umane e People Management e Reward all'Università Luiss Guido Carli. Il suo ultimo libro è: Allenarsi per il futuro Sfide manageriali del XXI secolo, FrancoAngeli, 2021. 

 

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