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     n. 17 anno 2021

La negoziazione della retribuzione variabile del top manager: un momento di conoscenza e di valutazione dell'inclinazione al rischio

di Marco Sartori

di Marco Sartori

La carenza informativa al momento dell'assunzione.
I colloqui che caratterizzano la fase pre-assuntiva sono caratterizzati da profonda asimmetria informativa tra datore di lavoro e candidato top manager.
Da un lato, l'imprenditore confida di attivare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con una risorsa capace di soddisfare ben precise esigenze aziendali, con l'idoneità di adempiere le obbligazioni contrattuali in maniera diligente e fedele (secondo lo schema dell'art. 2104 e dell'art. 2105 cod. civ.).
In questa prospettiva, diligenza e fedeltà sono i parametri centrali per la valutazione del lavoratore per l'intera durata del rapporto di lavoro e, a contrario, la violazione di tali doveri può dare terreno per l'avvio di un procedimento disciplinare (potenzialmente idoneo ad interrompere la relazione in ipotesi di giusta causa ex art. 2119 cod. civ.).
Dall'altro lato, il prestatore di lavoro è animato da aspettative legate alla crescita professionale (laddove il potenziale posto di lavoro risponda ad un profilo in linea con il proprio track record) e, in parallelo, da corrispondenti ambizioni di tipo economico.
Interessi del datore di lavoro e del manager in fase pre-assuntiva "scontano", tuttavia, una reciproca carenza di informazioni, che il limitato numero di incontri non è in grado di colmare.
Sopperiscono a tale "vuoto" informativo uno strumento normativo (il patto di prova) ed uno strumento economico (la retribuzione variabile).
L'uno e l'altro strumento consentono, infatti, attraverso differenti meccanismi di funzionamento, una specifica tutela ai contrapposti interessi delle parti.

Il patto di prova (strumento normativo attributivo del diritto di ripensamento).
Il patto di prova è regolato dall'art. 2096 cod. civ.
Tramite tale clausola (opzionale) le parti del contratto di lavoro possono, infatti, attivare un "diritto di ripensamento" e, in questa direzione, interrompere con effetto immediato il rapporto di lavoro, laddove la controparte non risponda alle aspettative originarie.
L'esito dell'esercizio del recesso durante il periodo di prova (sia per il manager, sia per il datore di lavoro) ha effetti incisivi, poiché conferisce un "diritto di uscita" dal rapporto di lavoro "a costo zero" (in caso di recesso datoriale valido, il manager ha diritto unicamente al TFR ed alle altre competenze di fine rapporto, senza che trovino spazio le tutele in caso di licenziamento ingiustificato).
Considerata la dirompenza di tale effetto risolutivo, l'orientamento dominante della giurisprudenza si caratterizza per uno scrutinio rigoroso sui requisiti formali, imponendo una chiara rappresentazione scritta delle mansioni che il manager è chiamato a svolgere durante il periodo di prova.
Visto che - questa è lo snodo centrale del ragionamento - la funzione del patto di prova è volta a consentire un reciproco "test" sull'affidamento dell'una e dell'altra parte del rapporto di lavoro, è indispensabile che per ciascuna (datore di lavoro e lavoratore) sia ben chiaro sin dall'inizio della vigenza del vincolo contrattuale il perimetro entro cui effettuare la "prova".

Negoziazione del pacchetto retributivo variabile in fase preassuntiva: uno strumento per costruire la fiducia alla base del rapporto di lavoro.
Mentre il patto di prova lascia spazio al "pentimento" delle parti nella fase iniziale del rapporto di lavoro, gli strumenti economici qui analizzati si caratterizzano (all'opposto e con ruoli diversi) per l'azione di allineamento degli interessi (in caso di consolidamento del rapporto dopo il positivo esperimento del periodo di prova).
In questo senso, la negoziazione del pacchetto retributivo del manager che caratterizza la fase pre-assuntiva può rivelare molte informazioni in merito all'attitudine del candidato.
La contrapposizione nella trattativa volta alla determinazione della remunerazione (nella sua componente fissa e variabile) svela informazioni essenziali per la fiducia sulla quale si fonda il costituendo rapporto di lavoro: l'inclinazione del manager al rischio d'impresa.
In questa prospettiva, ove incrementi la quota del pacchetto complessivo della remunerazione allocato a titolo di retribuzione variabile, in senso correlativo il datore di lavoro potrà contare su un manager "interessato" (non solo al suo personale introito, ma anche) al buon andamento dell'impresa.

Piano di incentivazione per obiettivi ed allineamento degli interessi del top manager con l'impresa.
Un piano di incentivazione per obiettivi (cd. MBO) rappresenta un classico strumento contrattuale per favorire l'allineamento degli interessi delle parti del contratto di lavoro.
Generalmente, la struttura prevede la promessa di un gettito, che (i) nell'an, è agganciato alla maturazione di obiettivi di performance individuale e/o aziendale e (ii) nel quantum, è parametrato in misura percentuale alla retribuzione annua fissa lorda.
A tutela dell'impresa, non è infrequente che tali piani si accompagnino alla previsione per cui l'importo oggetto di erogazione deve ritenersi già inclusivo della relativa incidenza sugli istituti differiti della retribuzione, ivi incluso il trattamento di fine rapporto.
Pertanto, il perfezionamento di un piano di MBO - nel quale una quota di retribuzione fissa (per definizione, certa) viene "sacrificato" per dare spazio ad una quota di retribuzione variabile - appare indice di una spontanea inclinazione al rischio da parte del manager e, dunque, può ragionevolmente indurre il datore di lavoro ad una valutazione positiva della fiducia necessaria ad un diligente e fedele adempimento delle obbligazioni lavorative.

Piano di incentivazione variabile di lungo periodo e fidelizzazione del manager.
Differente, nella sua intrinseca struttura, dal piano di retribuzione per obiettivi, il piano di incentivazione di lungo periodo (cd. LTIP) si caratterizza per l'erogazione di una o più somme (ad esempio, scaglionate su cadenze annuali) predefinite e fisse nell'ammontare.
La funzione di tali piani è solo indirettamente volta all'allineamento degli interessi delle parti del contratto di lavoro.
Mentre la clausola di MBO "punta" ad una continuativa convergenza degli interessi del manager e degli interessi dell'impresa, con la clausola di LTIP l'obiettivo è (lievemente) diverso.
Quest'ultima, infatti, tramite la promessa di utilità economiche diluite nel tempo, realizza la funzione di fidelizzare il manager.
Con il piano di MBO, infatti, il manager è indotto ad orientare l'adempimento nell'ottica di raggiungere obiettivi individuali ed aziendali.
Tramite un piano LTIP, invece, il manager viene indotto a non dimettersi/non restare allettato da proposte della concorrenza, concentrandosi (piuttosto) sulla migliore permanenza presso l'impresa datrice di lavoro, attendendo il giorno della percezione della (delle) somma (somme) contemplate nel medesimo piano di retribuzione variabile.

 
avv. Marco Sartori, Partner Carnelutti Law Firm, Labour Department

 

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