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     n. 1 anno 2021

Obbligo di vaccinazione e licenziamento ? Non facciamoci prendere…dalla pandemia

di Luca Failla

di Luca Failla

Ed eccoci qui. 
Ce l’aspettavamo senza dubbio e ci siamo   cascati in pieno. Come al solito si direbbe.
Non si parla d’altro ormai da giorni. Pro e contro. Guelfi e ghibellini. Pro-vaccino e no vax che si confrontano aspramente non in campo aperto bensì, questa volta,  dentro le mura delle aziende (quelle non ancora dematerializzate del tutto).
È bastata una scintilla ed è scoppiato l’incendio (che non sarà facile adesso domare).
Vaccino si o no ? Licenziamo i dipendenti che non se lo vorranno fare ? (come se fosse   loro la colpa della pandemia e se passasse da li tutta la soluzione del problema). Ma cosa diranno i Giudici del lavoro ? E se poi li reintegrano ? Ma il sindacato cosa dice ? (nulla per ora, vista la delicatezza del tema, concentrato com’è ad occuparsi dei riders e del divieto di licenziamento da prorogare ancora a fine marzo). 
E  le aziende che obbligano o anche solo forniscono il vaccino ai  dipendenti (quando sarà davvero disponibile, non oggi) saranno responsabili se qualcosa non va per il verso giusto,  se poi  il dipendente avesse qualche “reazione” non prevista ? (qui la risposta è semplice, ovviamente si le aziende saranno responsabili e non dimentichiamo anche questo aspetto solitamente molto “sensibile” per gli amministratori delegati e gli shareholders).
Questo del vaccino è un tema delicato dove, lo dico subito e le   semplificazioni non aiutano. L’ho già sostenuto a caldo su Linkedin qualche giorno fa nel commentare l’intervista del  dott. Guariniello sulla stampa nazionale.
Sono in gioco diritti troppo importanti - principalmente la salute dei singoli ma anche quello degli altri tutelata dall’art 32 della Costituzione - per poter lanciare giudizi tranchant avendo la pretesa di dire l’ultima parola. 
Andiamoci piano e cerchiamo di mettere in chiaro i termini (giuridici, almeno quelli) della questione.

Partiamo dall’art. 2087 c.c.
Tutto parte da qui. 
Dalla norma (del codice civile del 1942…) che tutti conosciamo che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure di sicurezza “possibili” che “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integralità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”
Da questa norma “in bianco”   che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure di sicurezza “più avanzate” offerte dalla scienza e dalla tecnica, disponibili sul mercato, per poter tutelare al meglio i propri dipendenti non solo come singoli bensì anche nei rapporti fra di loro (se un dipendente cagiona un danno ad un collega in violazione delle misure di sicurezza l’azienda infatti risponde di tale danno).
Quello previsto dall’art. 2087 c.c. è  un obbligo in capo all’azienda che viene sanzionata qualora ometta di adottare misure di sicurezza di volta in volta applicabili “ al caso concreto” (che dipende ovviamente dal tipo di attività e/o lavorazione, dalle diverse condizioni di lavoro etc.) qualora da tale omissione possa poi derivare un danno (solitamente da infortunio sul lavoro o da malattia) al proprio dipendente. La giurisprudenza sul tema è sterminata.
È un obbligo in capo al datore di lavoro di fornire ai propri dipendenti tutte le misure di protezioni possibili e reperibili sul mercato.
L’art. 2087 c.c. non è una norma con un contenuto “specifico” (non dice espressamente alle aziende cosa debbono fare in concreto, quali misure adottare) bensì “aperto” che – secondo la sterminata giurisprudenza in argomento – impone al datore di lavoro di “adattare” i propri standard di sicurezza, migliorandoli continuamente in funzione delle scoperte e delle innovazioni della scienza e della tecnica disponibili sul mercato in tema di salute e sicurezza.
In capo al lavoratore vige invece l’obbligo di cooperare nell’attuazione delle misure di sicurezza fornite dal datore di lavoro(art. 20 TU d.lgs. 81/2008). 
Esempio classico: per proteggere il dipendente dai rischi connessi l’azienda è obbligata a fornirgli le scarpe antisdrucciolo, i guanti protettivi o il caschetto (i cd. DPI) e il lavoratore è obbligato ad indossarli, a pena di irrogazione di sanzioni disciplinari.
Altro esempio legato proprio al Covid 19 invece sono le misure adottate dai protocolli sicurezza di questi mesi e recepiti anche nei DPCM: quali l’obbligo di distanziamento, la misurazione della temperatura all’ingresso, l’obbligo di indossare mascherine,  guanti etc. che tutte le aziende hanno fornito (gratuitamente) ai dipendenti, prescrivendone obbligatoriamente l’adozione per poter continuare a svolgere attività lavorativa “in presenza”. Come è avvenuto.

Le posizioni pro vaccino obbligatorio 
E il vaccino allora ? Può anch’esso  essere considerato un DPI ?
Secondo taluni si tratterebbe di una misura di sicurezza “più avanzata”  a tutela della salute dei lavoratori oggi disponibile (prima non lo era) che le aziende sarebbero persino “obbligate” a fornire (ed imporre) ai propri dipendenti in applicazione dell’art. 2087 c.c. e che i lavoratori sarebbero “obbligati” a farsi somministrare (come le mascherine ed il distanziamento o le scarpe antinfortunistiche) a pena di licenziamento in caso di rifiuto.
Il dott. Guariniello – ex procuratore capo del Tribunale di Torino che tutti conosciamo per le  battaglie  a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – ha sostenuto in una recente intervista ripresa poi dalle maggiori testate nazionali, che  potrebbe essere imposta al dipendente la vaccinazione obbligatoria proprio nell’ambito del dovere di protezione (anche contro se stesso) previsto dall’art. 2087 c.c.  
I titoli dei giornali (ahimè) hanno frainteso il pensiero dell’illustre magistrato,  correndo subito alla conclusione (errata)  che il dipendente che si rifiutasse (ahi lui) andrebbe licenziato per giusta causa (come fosse l’untore dei Promessi Sposi).
Le cose però (e meno male) non stanno proprio cosi.
Anche perché a leggerla bene – come ho già sostenuto a caldo su Linkedin -  l’intervista di Guariniello dice altro.
Il suo ragionamento – che si può condividere o meno – è un po’ più sofisticato e meno tagliato con l’accetta (come è giusto che sia visto il tema).
In sintesi Guariniello sostiene che le aziende potrebbero somministrare  il vaccino ai dipendenti ex art. 2087 c.c.  e che in caso di rifiuto, il dipendente dissenziente dovrebbe essere inizialmente adibito a mansioni differenti (ad es. smart working) con un minore grado di rischio di contagio per sé e per  i colleghi  (per i soggetti terzi  è un altro discorso come dirò fra un attimo) e solo in caso di impossibilità di adibizione a mansioni diverse (per assenza di mansioni disponibili ovvero per impossibilità di svolgere attività a distanza” in modalità smart) il dipendente potrebbe essere sospeso temporaneamente dalla prestazione (e dalla retribuzione diciamo noi) financo ad arrivare ad un licenziamento se tale situazione perdurasse indefinitamente (non per giusta causa bensì per impossibilità sopravvenuta della prestazione usando categorie che conosciamo).
A dire sempre di Guariniello addirittura la norma precettiva (richiesta dall’art. 32 Costituzione per imporre trattamenti sanitari obbligatori al cittadino-dipendente) esisterebbe già e sarebbe l’art. 279 del  T.U. 81/2008 secondo secondo cui il datore di lavoro, su parere conforme del medico competente, deve fornire ai lavoratori che non vi fossero immuni, il vaccino contro l’agente biologico presente nelle lavorazioni a cui sono addetti.(1) 

In realtà la norma mi pare parli d’altro, e cioè dell’obbligo in capo alle aziende di proteggere i dipendenti da quegli agenti patologici particolari presenti nelle lavorazioni a cui gli stessi sono addetti (ad esempio un’allergia ad un particolare alimento) e ciò al fine di tutelarli.  Ed in ogni caso quella  norma non autorizza il licenziamento in tronco bensì semmai l’allontanamento del lavoratore e l’assegnazione ad altre mansioni quindi mi pare andando proprio in direzione opposta al licenziamento.
E’ poi intervenuto anche Pietro Ichino – che personalmente stimo per le tante battaglie per la modernizzazione del diritto del lavoro  - ma che l’intervista riportata  (questo è il problema delle interviste che semplificano troppo il pensiero degli intervistati) mi pare sintetizzare troppo i  tanti e delicati elementi in gioco. 
Mi spiego meglio. 
Dire che l’art. 2087 c.c. impone l’adozione di standard di sicurezza sempre più avanzati a tutela della salute dei lavoratori è certamente corretto.
Fa parte della cd. sicurezza “dinamica” (o massima sicurezza tecnologicamente possibile che le aziende sono tenute ad adottare) a tutela delle condizioni psicofisiche dei propri dipendenti. 
È corretto che le aziende possano “offrire” gratuitamente ai propri dipendenti un vaccino se questo effettivamente aumenta la tutela da Covid 19.
Una cosa è offrire altra cosa è imporre obbligatoriamente, a pena di allontanamento dal lavoro e licenziamento.
Perché qui (piaccia o meno) entra in gioco l’art. 32 della Costituzione che fà la differenza fra le scarpe antisdrucciolo e il vaccino.

La riserva di legge fissata dall’art. 32 Costituzione.
L’art. 32 della Costituzione secondo cui “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
E non c’è dubbio che il vaccino “obbligatorio” lo sarebbe.
Ma una legge (che lo impone espressamente come previsto dall’art. 32 Cost.) ancora non c’è non potendo essere considerata la norma in bianco dell’art. 2087 c.c. (e tanto meno l’art. 279 del TU come sostiene forzatamente a mio avviso Guariniello) dovendo esistere una norma ad hoc (determinato trattamento sanitario vuole  l’art. 32 Cost.) su questo  tema specifico  (né mi pare che questo governo per bocca del suo Premier abbia intenzione di promulgarla,  da un lato per possibili problemi di costituzionalità della norma ma soprattutto, dall’altro, per non sollevare immediate reazioni politiche dell’anima grillina no vax già emerso dai commenti di qualche ministro e dalla ironia dal fondatore del movimento Beppe Grillo).
Quindi in assenza di una legge ad hoc (che al momento non esiste nemmeno per imporre il vaccino obbligatorio ai cittadini) le aziende a mio avviso non potrebbero obbligare nessun cittadino-dipendente a vaccinarsi (in forza di un contratto di lavoro privato) neanche se avessero scorte di vaccini disponibili pronte all’uso (e medici competenti disposti a prescriverle ed a somministrarle sotto la propria personale responsabilità).
Forse un discorso particolare potrebbe essere fatto per talune aziende di settori sensibili (ad esempio ospedali e Rsa) a tutela dei terzi (ma non dei dipendenti) ma non dimentichiamo che tutt’oggi nemmeno al personale ospedaliero viene imposta   obbligatoriamente la somministrazione dei vaccini per poter espletare servizio presso gli ospedali peraltro a contatto con soggetti deboli (i pazienti).

E allora  che fare ?
Si è detto, tuttavia, che le aziende potrebbero non obbligare bensì offrire tale nuovo DPI al dipendente e valutare semmai le conseguenze del rifiuto di vaccinazione sul piano del rapporto di lavoro (come avverrà sicuramente per talune compagnie aeree: se non sei vaccinato con me non viaggi. Tema delicato che potrebbe creare effetti indesiderati a favore di competitors meno rigidi..Vola pure con me se hai la mascherina è sufficiente. Vedremo come andrà).
Ma in una tale ipotesi, tale strumento (il vaccino) considerato come un DPI  potrebbe essere in teoria imposto rectius “offerto”ai  dipendenti (e valutandone giuridicamente il rifiuto sul piano del contratto) a mio avviso solo qualora gli standard di sicurezza sino ad oggi praticati nelle aziende (mascherina, guanti, distanziamento etc.) si dimostrassero chiaramente inadeguati e/o insufficienti a garantire la sicurezza del dipendente medesimo in primis e dei suoi colleghi poi.
Dire – in altri termini - che con il vaccino in teoria sarebbe meglio e più sicuro (per il dipendente ed i suoi colleghi, per i terzi invece è un altro discorso) non mi pare sufficiente per l’abbandono del sistema di protezione messo in campo dalle aziende sino ad oggi e l’imposizione/offerta  obbligatoria  del vaccino (una cosa è un modello avanzato di caschetto protettivo altra cosa è il vaccino visto che in gioco c’è il diritto alla salute protetta da riserva di legge).
Ma poi è davvero così ? Le aziende si trovano  davvero oggi nella  situazione di non poter  garantire la sicurezza dei lavoratori se non con la somministrazione del vaccino ? Siamo davvero nella situazione in cui il rischio di contagio “sul luogo di lavoro” non sarebbe arginabile altrimenti ? 
Mi pare difficile da sostenere,  come è dimostrato dalle migliaia di aziende che hanno ripreso l’attività dopo il lockdown di marzo (in assenza di vaccino) ma con la scrupolosa adozione delle misure indicate nei protocolli  sindacali richiamati dai vari DPCM che si sono succeduti nel tempo.
Il sistema ha funzionato e dovrebbe continuare a funzionare (visto anche l’alto numero numero di dipendenti ancora in lavoro smart  nel 2021) pure senza vaccino obbligatorio come dimostrato,  mi pare, dal basso numero dei contagi nelle aziende in generale (i contagi più alti non si sono verificati infatti sul luogo di lavoro).
Per ragionare diversamente, e cioè per poter considerare “obbligatoria” la somministrazione dei vaccini ai dipendenti in una particolare azienda (in assenza di una legge ad hoc) si dovrebbe riuscire a dimostrare che:
a) l’adozione delle misure sino ad oggi prescritte (mascherine, distanziamento, guanti, sanificazione etc.) sono insufficienti a prevenire il contagio in quella particolare azienda (dimostrato dall’alto numero dei casi conclamati in quella azienda);
b) che non sia possibile lo svolgimento di lavoro a distanza (in modalità smart) per quel dipendente; e da ultimo che 
c)  solo il vaccino (dando per scontato che azzeri scientificamente il rischio contagio per sé e per gli altri colleghi) potrebbe efficacemente garantire la salute degli altri dipendenti sul luogo di lavoro.
Da qui l’allontanamento di quel particolare dipendente dall’attività in presenza a contatto  con i propri colleghi decisi a vaccinarsi per proteggersi (e/o che abbiano manifestato il timore di lavorare a contatto con quel particolare dipendente non vaccinato).
Non mi pare facile. 
E per esperienza personale di questi mesi debbo dire di non aver   trovato una sola azienda  in queste condizioni (per fortuna).  


E se  il vaccino fosse necessario per proteggere non i dipendenti bensì  soggetti terzi ? 
Discorso a parte potrebbe porsi per talune categorie di personale (ospedaliero e di RSA anche se taluni come Guariniello hanno parlato anche di personale docente nelle scuole dove però ad essere infettati per mano degli alunni sono  solitamente i docenti e non il contrario) ove per la particolare tutela dei soggetti deboli a loro affidati (i malati in un caso e gli alunni nell’altro) potrebbe essere adottato l’obbligo di vaccinazione a tutela non dei dipendenti bensì dei terzi.  
C’è chi argomenta che il vaccino andrebbe imposto quanto meno al personale ospedaliero e  delle RSA considerata non tanto la protezione della salute dei dipendenti (che si suppone che il personale ospedaliero sia nella miglior condizione per valutare la tutela della propria salute rispetto ai dipendenti/cittadini normali) bensì per quella dei fruitori del servizio (malati e/o degenti, soggetti deboli) con patologie gravi a rischio morte in caso di contagio da Covid come dimostrato ahimè da tanti casi di cronaca ancora sotto indagine della Magistratura.
È la discussione che attualmente pare coinvolgere il Governo circa il vaccino obbligatorio per il personale pubblico ospedaliero (segno che un obbligo in tal senso ad oggi non esiste nemmeno per tali fasce di personale).
Ma qui non rileva in alcun modo  l’art. 2087 c.c. e la tutela dei dipendenti  bensì la tutela dei soggetti terzi il che è tutto un altro discorso (dove comunque vale sempre la riserva di legge dell’art. 32 Costituzione e quindi ci vorrebbe una legge ad hoc per introdurre il vaccino per medici ed insegnanti).
L’art. 2087 c.c. infatti non può essere utilizzato per tutelare i terzi (i clienti potenziali a contatto con i dipendenti dell’azienda, i malati affidati alle cure ed al contatto dei  medici negli ospedali o gli alunni nelle scuole). 
Non è quella infatti la sua funzione. 
Quella norma  è posta a tutela dei dipendenti  uti singuli e  nei rapporti con gli altri colleghi (ad esempio è chiaro che un’azienda che ammettesse al lavoro un proprio dipendente “positivo” al Covid che lo trasmettesse ai suoi colleghi certamente risponderebbe di eventuali danni per violazione dell’art.  art. 2087 c.c.). 
Se lo stesso dipendente contagiasse invece un cliente (ad es. avendo funzioni di contatto con il pubblico come in allo sportello di una banca o in un supermercato o in un ospedale o una Rsa) l’azienda ne risponderebbe ex art. 2049 c.c. (non ex art. 2087 c.c.) norma che fonda una sorta di responsabilità oggettiva verso terzi quale conseguenza dell’attività di impresa.
In questo caso l’azienda potrebbe imporre il vaccino obbligatorio al proprio dipendente per evitare che cagioni un danno al cliente ? (ad es. un malato in una Rsa).
Anche qui propendo per una risposta negativa per gli argomenti sopra esposti sempre alla luce della riserva di legge imposta dall’art. 32 Cost. che mi pare al momento insormontabile.
Per concludere diversamente (in assenza di una legge ad hoc)  si dovrebbe dimostrare che:
 a. i sistemi di protezione sino ad oggi utilizzati in quella struttura sono inefficienti (come dimostrato dai casi di infezione da covid e/o decessi  presso i degenti della struttura ospedaliera) e che quindi 
b. solo il vaccino può preservare i pazienti da un rischio di contagio effettivo a pena di allontanamento dei degenti o  chiusura della struttura (che forse in un caso simile dovrebbe avvenire).  
Anche qui tuttavia quell’ospedale che si trovasse in quella situazione (avendo tuttavia rispettato tutte le misure di sicurezza oggi prescritte) non potrebbe a mio avviso  “licenziare” il dipendente dissenziente ma solamente spostarlo a mansioni non di contatto con i pazienti e, solo in caso di impossibilità, sospenderlo dal servizio e dalla retribuzione.
Non dimentichiamo infine che tutt’oggi nemmeno al personale ospedaliero viene richiesta obbligatoriamente la somministrazione dei vaccini per poter espletare servizio.
Nemmeno il vaccino annuale antiinfluenzale (può sembrare strano ma è così). 
E mi pare difficile che nel  quadro come sopra delineato le aziende in assenza di una legge ad hoc possano (ammesso che lo vogliano) introdurre unilateralmente  un  vaccino obbligatorio (anche se ritenuto per il bene dei propri dipendenti), prendendosi il rischio delle eventuali conseguenze. 


E la responsabilità delle aziende per le conseguenze del vaccino imposto?  Non dimentichiamo  questo aspetto importante nel dibattito.
Abbastanza trascurato nella discussione in questi giorni settimane è poi anche il tema della responsabilità delle aziende che vogliano imporre il vaccino ai propri dipendenti. 
Il tema non è per nulla trascurabile invece. Tutt’altro, e solitamente di grande interesse per il Ceo e gli azionisti ma non solo.
È ovvio che l’azienda risponderebbe di ogni conseguenza derivante al dipendente (ed ai suoi familiari)  in conseguenza del vaccino somministrato   (reazioni al momento non ancora conosciute del tutto) anche qualora tale “trattamento” possa essere accettato liberamente dal dipendente consenziente. A meno di fargli firmare  disclaimer “a prova di bomba” cosi da escludere ogni possibile responsabilità futura (e qui c’è lavoro per gli avvocati).
Ma che dire di quei dipendenti “dissenzienti” che accettassero il trattamento solo perché imposto dalla azienda a pena di licenziamento o di sospensione della retribuzione? 
E’ chiaro che in tal caso quella azienda risponderebbe integralmente per ogni conseguenza dannosa (reazioni allergiche, impreviste, effetti collaterali etc.) che dovessero derivarne in futuro (ad oggi non tutti noti mi pare).
Vale la pena di rischiare ? 
Per chi optasse per questa soluzione suggerisco di procedere solo se adeguatamente assicurati (sempre che si trovi una assicurazione che voglia garantire in questa situazione magmatica il rischio assicurato). Difficile secondo me oggi.
Tale procedura dovrebbe comunque richiedere il parere positivo se non la prescrizione del medico competente e dei rappresentante RLS (ex art. 279 T.U. 81/2008 richiamato da Guariniello)   il che mi pare assai difficile nella attuale situazione (chi vorrà accollarsi tutte queste responsabilità ?).

In conclusione.
Il tema è certamente delicato e non si presta a risposte secche, quanto piuttosto ad un’approfondita ed equilibrata disamina di tutti gli elementi in gioco. 
Qui è in gioco certamente il diritto alla salute dei singoli dipendenti a sentirsi tutelati da  vaccini nuovissimi su cui le condizioni fisiche di ciascuno o  le riserve, anche ingiustificate, dei singoli possono avere un qualche peso (non stiamo parlando dell’antitetanica) ed in cui un obbligo generale a vaccinarsi imposto dallo Stato non esiste ancora. Non dimentichiamolo.
L’art. 32 Cost. è lì per tutelare anche quel dipendente (cittadino) che abbia dei dubbi.
Ma è anche in gioco la responsabilità delle aziende che dovessero prescrivere il vaccino ai propri dipendenti. Di ciò le aziende debbono essere ben consapevoli.
Le aziende che lo vorranno certamente potranno metterlo a disposizione (gratuita) dei propri dipendenti con il parere favorevole del medico competente, assumendosi tuttavia tutti i rischi che dalla somministrazione possano derivare sulla salute dei propri dipendenti.   
E per quelli che si rifiutassero? credo che in assenza di una legge  richiesta dall’art. 32 Cost. vige ancora la liberta di scelta del singolo.
Ovviamente   poi  l’azienda (valutato attentamente il caso concreto ed il rischio contagio) potrebbe   spostare il dipendente dissenziente a mansioni ritenute meno a “rischio” per i colleghi   (ad es. smart working  come è stato sino ad oggi e come sarà anche in futuro) ma ciò solo se fosse giustificato – come ho spiegato sopra – dalle concrete condizioni di rischio (alto) presenti in quella particolare azienda non ovviabili altrimenti con le misure di sicurezza sino ad oggi attuate.
Qualora invece la somministrazione del vaccino fosse ritenuta davvero l’unica misura rimediale al rischio di  diffusione del contagio a danno dei colleghi, su indicazione  del medico competente (chiamato ad  assumersi una precisa responsabilità)   l’azienda potrà porre in sospensione temporanea  dal lavoro (e dalla retribuzione) il  dipendente dissenziente  e ciò sino al superamento della situazione di rischio contagio in cui si trova (ovviamente con rischio sicuro di contenzioso immediato avanti al Giudice del lavoro, che nessuno è disposto a perdere il salario per timore di contagiare i colleghi).
Ma certo non a licenziare quel dipendente.
Insomma, non corriamo troppo in fretta alle conclusioni ma soprattutto non facciamoci prendere…dalla pandemia.
Per licenziare c’è tempo, anche perché ad oggi ancora non si può, come sappiamo bene.  
Quanto meno sino a marzo. E poi forse chissà.
 
avv. Luca Failla
Partner - Head of Employment and benefits Deloitte Legal Italy
 
 
I  Art. 279 Sorveglianza sanitaria
1. Qualora l'esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41.

2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:

a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
b) l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'articolo 42.

3. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l'esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.




 

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