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     n. 18 anno 2020

Lavorare perché l’uomo si autorealizzi. Un buon investimento anche per la società civile

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Rileggere i classici sui quali dovrebbe formarsi la cultura di people management di manager e HR è pratica sempre generativa. Qualche mese fa ho ripreso in mano Motivazione e personalità di Abraham Maslow, autore molto citato ma poco letto; una lettura che sarebbe molto fertile per il management, da preferire di gran lunga a tante altre. Per la ricerca nella quale ero impegnato, dovevo preparare un intervento sulla leadership e lo sviluppo integrale della persona, sono andato a rimeditare le pagine nelle quali lo psicologo statunitense spiega mirabilmente il bisogno di autorealizzazione.

La sua tesi, ancora poco interiorizzata da larga parte dei manager e HR intrappolati nelle logiche asfittiche del comportamentismo, è che il collaboratore permarrà in uno stato di malessere e scontentezza fino a quando "non sarà occupato a fare ciò che egli, individualmente, è adatto a fare". Quest'idea, presa poco sul serio, costituirebbe da sola un manifesto-guida per il lavoro di imprenditori, manager e professionisti che si occupano di gestione delle risorse umane nelle imprese e nelle altre organizzazioni. La volontà di mettere le persone in condizioni di esercitare questo loro bisogno-diritto di autorealizzazione dovrebbe trovare risposta, infatti, in pratiche manageriali che mettono al primo posto l'ascolto e la ricerca degli aggiustamenti organizzativi (work adjustment, job design ecc.) necessari perché le persone siano felici nel lavoro, potendo esprimere il meglio di sé. Si tratta di quel "ciò che uno può essere, deve esserlo", affermato dal fondatore della psicologia umanista, che suona come principio fondante dell'etica manageriale nel campo della gestione delle risorse umane. Ciascuna persona, in altre parole, dovrebbe essere aiutata "a diventare tutto ciò che si è capaci di diventare".
Sulla strada di questa ricerca dell'autorealizzazione di ciascuno, lungo la quale il lavoro viene liberato e reso immune dal salario, direbbe Marx, dovrebbero essere allocate le risorse necessarie a consentire alla persona di esprimere liberamente le proprie passioni e progettualità. La retorica della gestione dei talenti narrata da molte imprese, se riletta con queste lenti, acquisirebbe un diverso significato e produrrebbe valore di lungo periodo. Diventerebbe una filosofia di gestione delle persone fondata su questo principio: ogni persona è un talento per l'organizzazione, così l'impresa deve assicurarsi che tutti i collaboratori abbiano l'opportunità di sviluppare la conoscenza e le capacità di cui hanno bisogno per tirare fuori il meglio.
Rileggere queste pagine di Maslow oggi, in un tempo nel quale alcune multinazionali, un numero sempre maggiore di grandi e piccole imprese che si trasformano in società benefit e BCorp a diverse latitudini del Pianeta, hanno deciso che è giunta l'ora di cambiare verso all'economia, rinforza la speranza che possano aprirsi nuove vie e opportunità perché ciascuno si realizzi compiutamente nel senso proposto dal fondatore della psicologia umanista. Una lettura del genere, d'altro canto, è autorizzata dalla progressiva e maggiore responsabilizzazione che viene riconosciuta all'individuo nella costruzione, lungo la sua vita, del percorso di crescita, sviluppo e carriera. È una direzione che fornisce una cornice di senso a numerose esperienze e pratiche di gestione delle risorse umane. All'interno di questo schema di co-costruzione, può delinearsi lo scenario che lascia immaginare dunque spazi crescenti di autorealizzazione alla quale contribuisce oggi anche la tecnologia. L'esperienza drammatica dell'epidemia ne ha rappresentato l'occasione scatenante.
C'è però un'altra rilevante questione che va esaminata per comprendere il significato più autentico del bisogno-diritto di autorealizzazionee scoprirne le implicazioni. Sappiamo che ciascuno di noi ha una dotazione di talenti che va scoperta per essere messa a frutto, per valorizzare i doni che ha ricevuto. Approfondiamo ancora le pagine di Maslow, allora, e la sua idea di autorealizzazione. Come possiamo meglio descriverla in concreto? In altre parole, quando succede che l'uomo, gratificati i bisogni fondamentali di sicurezza, appartenenza, amore, rispetto ecc. vive questo stato? La risposta è che accade quando si trova nella situazione di "un uso e di un'utilizzazione piena dei propri talenti, delle proprie capacità e delle proprie potenzialità". Ne consegue un'implicazione assai importante per la nostra riflessione che è questa. Quando la persona raggiunge lo stato di autorealizzazione sviluppa qualcosa di speciale, un "sentimento comunitario" lo ha chiamato Alfred Adler, un altro eminente psicologo dei primi del Novecento del secolo scorso. Che cosa vuol dire? Secondo Maslow, le persone autorealizzate che sviluppano un sentimento comunitario "hanno verso gli esseri umani in generale un profondo senso di identificazione, di empatia e di affetto, nonostante i momenti occasionali di ira, di impazienza o di disgusto...". La conclusione a cui giunge è che "a causa di tale sentimento di comunione essi hanno un genuino desiderio di aiutare la specie umana".
A questo punto tiriamo le fila per immaginare quali benefici si possano trarre da questo stato anche riguardo alla qualità delle relazioni interpersonali, al livello di empatia che renderebbe disponibile (considerata da molti il fabbisogno emergente di quest'epoca), all'efficacia infine del nostro vivere civile e democratico.
C'è davvero tanto materiale in queste pagine per costruire un programma sostenibile di gestione delle risorse umane. Declinarlo è responsabilità del management se crede davvero che le imprese abbiano uno scopo sociale e non soltanto quello di accrescere gli utili degli azionisti. Del resto è questa la reale e innovativa dialettica che sta occupando il mondo degli affari. Le leadership HR non possono rimanerne fuori. Ne sono convinto.

Gabriele Gabrielli
Executive coach, consulente e formatore è Consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit e BCorp, insegna Organizzazione e gestione delle risorse umane all'Università LUISS Guido Carli. E' ideatore, co-fondatore e presidente della Fondazione Lavoroperlapersona
 

 

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