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     n. 16 anno 2020

Freedoom management. Organizzazioni centrate sulla libertà dell'individuo

di Luca Solari

Dall'ordine alla spontaneità 

1. L'evoluzione delle organizzazioni

Le organizzazioni sono uno squisito prodotto dell'intelligenza umana, capaci di imprese un tempo persino difficili da immaginare: è grazie a loro che siamo arrivati dove siamo oggi. Gli esseri umani sono nel bene e nel male la forza dominante del cambiamento sul pianeta Terra, grazie alla loro capacità di organizzarsi, nonostante le contraddizioni e i possibili effetti pericolosi che ne derivano.
La Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è il progetto congiunto delle agenzie spaziali di Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Giappone, Canada e di molti altri Paesi per esplorare la vita al di fuori del nostro pianeta, creando una delle più complesse e ambiziose organizzazioni mai esistite. Nel campo della ricerca, il CERN, l'Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, mette insieme gli sforzi di 21 Paesi per sviluppare la nostra comprensione degli elementi fondamentali che costituiscono la realtà. Queste organizzazioni rappresentano un modello esemplare, perché nessun Paese ha il controllo primario del programma, ma tutti i ricercatori lavorano come se fossero all'interno di una comunità e gli Stati membri sono rappresentati in un consiglio che opera per mezzo di un consenso informato con l'aiuto di comitati di esperti indipendenti. E lo spazio è ora aperto all'iniziativa e alle organizzazioni private: Space X è infatti una società privata che opera nel settore dei missili e dei trasporti spaziali per conto dell'ISS e allo stesso tempo cerca di rendere il viaggio spaziale una possibilità reale per ciascuno di noi.
La radice di questi incredibili successi è la capacità emersa in un qualche momento della nostra evoluzione di progettare soluzioni per raggiungere l'impossibile. La biologia dell'evoluzione e le scienze sociali si sono a lungo interrogate sul mistero della cooperazione, che rappresenta nel contempo la chiave di volta del nostro successo (e di quello degli animali sociali), ma anche uno dei temi più difficili da comprendere in chiave di competizione evolutiva. Infatti, come individui il nostro concorrente più forte è chi occupa la nostra stessa nicchia (ovvero l'insieme delle risorse che ci servono per vivere e riprodurci): il nostro simile. Sebbene esista una varietà di strategie per evitare una sanguinosa guerra fratricida dentro le specie (ad esempio con la definizione dei confini dei territori, tipica dei predatori), la cooperazione tra tutte è quella inizialmente più rischiosa perché richiede di affidarsi e fidarsi degli altri. Per questa ragione, per me la teoria moderna dell'organizzazione (ovvero della cooperazione) non nasce con Taylor, che si occupa di uomini-macchina e della loro produttività, ma con Chester Barnard (1938). Non a caso nel suo bellissimo libro (ancora molto attuale per chi svolga un ruolo manageriale) Barnard equipara le organizzazioni allo strumento più avanzato per migliorare la cooperazione oltre il limite delle istituzioni sociali del suo tempo. Personalmente, sono sempre stato affascinato dalla brillante descrizione delle organizzazioni come il gradino più avanzato raggiunto sinora dall'evoluzione del genere umano. Concorde con Barnard, considero le organizzazioni come risultati straordinari ottenuti dall'essere umano, la più grande innovazione di sempre e la più potente tecnologia (sociale) che abbiamo mai creato.
Dopo quasi trent'anni di lavoro su, con e per le organizzazioni, questo volume è dedicato a loro, come omaggio alla loro presenza e importanza. Ho pensato in queste prime pagine che fosse utile per chi mi sta leggendo esplicitare meglio che cosa penso di loro, anche se svilupperò un'analisi molto critica relativa al fatto che sono rimaste più o meno le stesse per troppi anni e oggi mostrano i segni di questa incapacità di evolvere radicalmente. Spero di avervi trasmesso l'ammirazione con cui le ho viste funzionare nella nostra vita di ogni giorno, con gli occhi dello scienziato prima ancora che del consulente o del docente. Dobbiamo ringraziarle per il modo in cui ci hanno consentito di progredire per essere ciò che siamo oggi. Certo, non dobbiamo poi dimenticare i molti esempi di come la loro magia si possa trasformare in un incubo violento, come è accaduto e accade ancora in tutte quelle realtà del mondo dove si sopprime la libertà degli esseri umani. Su quest'ultimo aspetto tornerò nel libro perché non si tratta solo dell'uso che ne facciamo, ma dei principi su cui le abbiamo basate, che sfuggono facilmente al controllo dei progettisti.
Purtroppo, non appena cominciamo a progettare e realizzare le organizzazioni, creiamo anche le condizioni per perdere il controllo sulle stesse, lasciando che si sviluppino come strumenti in mano a pochi, o - forse peggio - che si autocontrollino attraverso procedure proprie. In un certo senso, quando ci organizziamo, corriamo il rischio di perdere il potere dell'azione e dell'iniziativa individuale, che diventano soggette alle regole, alle procedure e agli obiettivi dell'organizzazione. Mentre rivedo la traduzione di questo libro abbiamo un esempio lampante di quanto sostengo.
Il mondo e l'Italia affrontano un'emergenza sanitaria globale derivante dal Covid-19, un virus molto pericoloso. Uno dei passaggi che più mi ha colpito è la ragione per cui in un ospedale di provincia a Codogno a fine febbraio è stato identificato il cosiddetto "paziente 1". La ricostruzione si concentra sulla decisione di un'anestesista di fare il tampone ad un paziente nonostante il protocollo non lo prevedesse, anzi per certi aspetti con un'assunzione di responsabilità individuale molto coraggiosa.
Leggiamo con attenzione questo estratto dall'intervista pubblicata da La Repubblica il 6 marzo 2020: "Ho dovuto chiedere l'autorizzazione all'azienda sanitaria. I protocolli italiani non lo giustificavano. Mi è stato detto che se lo ritenevo necessario e me ne assumevo la responsabilità, potevo farlo".
Un aspetto di cui non siamo pienamente consapevoli è che nel terzo millennio abbiamo esperienza di un mondo nel quale tendiamo a fidarci più o meno ciecamente delle norme che vengono dalle strutture organizzate della nostra società. In un certo senso il funzionamento regolare della società è percepito come il ciclo del pianeta attorno al sole: un fatto necessario e come tale invisibile agli occhi, proprio come l'essenziale di Saint-Exupéry. L'ironia è che anche chi si pone contro la società delle organizzazioni non ne è mai fuori, anzi sviluppa a volte organizzazioni ancora più efficaci nel controllare le persone: non a caso parliamo di organizzazioni mafiose.
Lo aveva preconizzato anche Max Weber quando disse che avremmo perso la conoscenza di come funzionava la società, parlando di tecnologia, ma con un'argomentazione che si estende alla tecnologia sociale. Viviamo immersi nelle organizzazioni, ma le sperimentiamo come fatti normali che ci aspettiamo nella realtà e che, se non accadono, ci creano reazioni emotive profonde come rabbia o paura. Cosa succede quando aspettiamo un autobus che non sembra mai arrivare? Cosa accadrebbe se dovessimo svegliarci un giorno e scoprire che non passa nessuna metropolitana anche se non è stato proclamato alcuno sciopero?


1.1. Dobbiamo rispondere a tre domande fondamentali

Mi sono occupato di organizzazioni per quasi trent'anni e questo libro è un modo per affrontare un'inquietudine che mi ha accompagnato e che prende la forma di tre domande.

1. Come possiamo usare questi meravigliosi strumenti di cooperazione e nel contempo promuovere il valore della libertà individuale?
2. Come possiamo raccogliere i frutti di queste forme elaborate di collaborazione senza trasformarle in istituzioni che esercitano forti vincoli sui nostri desideri e sulle nostre ambizioni?
3. Come possiamo realmente mettere le organizzazioni al servizio delle persone e non il contrario?

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1.2. Verso una rivoluzione copernicana

Più approfondivo i miei studi, più si faceva strada in me un rovesciamento di prospettiva, una vera rivoluzione copernicana. Per molto tempo avevo considerato il problema del cambiamento collegato alla rigidità delle persone e delle loro aggregazioni culturali. Di fatto questa è la visione largamente presente in chi si occupa di fare ricerca o consulenza sul cambiamento organizzativo. L'approccio classico è dire che l'azione di progettazione organizzativa o di cambiamento non basta perché le persone devono seguire e adattarsi. Mettendo assieme le mie due esperienze di ricerca, invece, si faceva strada una visione opposta. Il problema del cambiamento nelle organizzazioni ha radici nel conflitto fra un piano intenzionale da parte degli attori umani e l'intreccio di resistenza che è presente in qualsiasi organizzazione a causa della struttura dei ruoli e della rete di relazioni fra i suoi membri. Non sono le persone in sé che resistono, ma l'insieme degli intrecci relativi ai loro ruoli, ai processi e alle modalità operative di funzionamento dell'organizzazione formale. Per quanto radicali, infatti, le azioni di riprogettazione organizzativa lasciano sempre parti formali ereditate dal passato e sono queste ultime a rappresentare strutturalmente la condizione di freno del cambiamento, non la volontà o la tanto vituperata resistenza delle persone.
Se avete resistito nella lettura fin qui, vi consiglierei di ritornare indietro di un paragrafo e rileggere quello che ho appena scritto per due ragioni. La prima è perché è diventato il mio modo di aiutare le organizzazioni a cambiare e funziona. La seconda è perché è un'affermazione del tutto contraria a quello che trovate in quasi tutti i testi sul cambiamento e che viene proposto dalla consulenza. Io stesso, rileggendolo, un po' sono colpito dalle implicazioni pratiche radicali che può avere.
A causa di questa svolta, ho capito che dovevo studiare come concepire le organizzazioni come mezzi che permettono alla libertà di emergere e di realizzarsi. Ho anche compreso che dovevo immaginarle come potenti sistemi progettati per limitare quella libertà non per errore ma per vera e propria natura originaria, una tara lasciata dal management scientifico di inizio novecento. Non potevo accettare l'idea che non ci fosse alternativa e che fosse impossibile progettare un modello differente di organizzazione.
Le teorie evoluzioniste mi hanno condotto all'idea che, nonostante tutti gli sforzi per impedirlo, il cambiamento è in marcia. Sono una persona che crede fermamente nel cambiamento, un cambiamento che avviene costantemente e che di continuo mette alla prova i nostri limiti. Nonostante il fatto che percepiamo molte delle nostre organizzazioni come realtà stabili, esse crescono con le trasformazioni che hanno origine dall'incomprimibile desiderio degli esseri umani di sperimentare in modi diversi nell'arco della loro vita. Il fatto che il cambiamento avvenga nonostante tutti i limiti imposti dalle organizzazioni testimonia l'importanza dell'azione individuale e umana. Mentre è ragionevole ritenere e quindi accettare che alcuni cambiamenti siano conseguenza di fattori esterni, penso che l'essenza del cambiamento sia originata dall'azione di individui o di gruppi. È solo attraverso scelte individuali che si succedono, ma che sono tra loro connesse, che il cambiamento ha luogo; a volte ha breve durata ed è senza un reale impatto sul funzionamento dell'organizzazione nel suo complesso, ma altre volte si propaga, diventa virale e porta a una trasformazione.


1.3. L'organizzazione come barriera

Il cambiamento è continuo nella nostra vita, ma le organizzazioni tendono ad essere stabili, forniscono alcune ancore importanti. Le organizzazioni sono progettate per porre barriere e limiti ai nostri sforzi di sperimentazione, per salvaguardare la loro affidabilità. Dato che le nostre azioni possono avere importanti conseguenze, le organizzazioni sono elaborate in modo da rendere comprensibile chi ha fatto che cosa, in modo che ci sia qualcuno che possa essere considerato responsabile dell'impatto di quell'azione. Inoltre, molti procedimenti sono ripetuti nel tempo e le organizzazioni sono concepite in modo da assicurare responsabilità e affidabilità, ovvero la capacità di riprodurre esattamente la stessa serie di azioni, quando richiesto. L'affidabilità è particolarmente importante nella manifattura, quando l'organizzazione deve riprodurre lo stesso prodotto esattamente com'era stato ideato. In un certo senso, le organizzazioni esistono per rendere difficile il cambiamento, come conseguenza di un modello dove la riproduzione è il fattore competitivo chiave. Nel fare questo, tuttavia, esse limitano l'innovazione e il cambiamento, promuovendo l'inerzia.
Nonostante la difficoltà, gli individui continuano a effettuare cambiamenti e cercano di sfuggire all'impatto di normalizzazione e di standardizzazione dei processi e delle procedure organizzative. In momenti particolari, tuttavia, alcuni di questi cambiamenti possono essere considerati necessari dall'organizzazione, che concede di implementarli o almeno di testarli; oppure alcuni di questi possono essere così potenti da emergere, nonostante i limiti imposti; altri ancora, potenzialmente utili, scompaiono senza lasciare traccia.
In base alla mia esperienza con le organizzazioni e le persone, ritengo che l'agire sia radicato nella nostra esistenza e che sia quello che ci definisce come specie. Può essere impedito solo mettendo dei limiti a quello che possiamo o non possiamo sperimentare. Abbiamo ideato organizzazioni in grado di raggiungere obiettivi ambiziosi, ma vi sono tempi in cui queste imprese collettive esercitano una potente influenza sul nostro desiderio di fare le cose in maniera diversa. Quando questo succede, ci troviamo in lotta fra la nostra natura e la necessità di adeguarci al sistema organizzativo. La lotta è costante e va da una battaglia all'altra. Alla fine, qualcuno rinuncia: non è che non vuole cambiare, piuttosto accetta l'idea che non si può fare all'interno dell'organizzazione in cui lavora e cerca altrove la soddisfazione di questo suo bisogno fondamentale di cambiamento. Vi è chi persevera o addirittura è in grado di guidare la spinta all'innovazione all'interno dell'organizzazione stessa. L'interazione fra il desiderio umano di cambiamento e la resistenza da parte delle organizzazioni è così complessa che credo sempre di più che non vi sia un'unica strada verso il futuro, che non esista alcun progetto nascosto per noi e che nessuno sia in grado di prevedere con precisione che cosa accadrà.
Solo la sperimentazione e l'azione consapevole ci possono portare su percorsi casuali grazie ai quali possiamo veramente trovare le rotte efficaci per l'azione futura. Questo significa che per quanto riguarda il disegno del nostro futuro io adotto un approccio strettamente evoluzionista, per cui dobbiamo favorire il maggior numero possibile di alternative, testarle, imparare dai risultati e poi proseguire avendo ben presenti le ipotesi del passato che hanno funzionato, per verificare se possono essere ancora valide nel presente. Il problema è che tutti questi processi avvengono in un contesto definito da organizzazioni che sono state scientemente progettate per limitare il processo evolutivo che ho descritto. Di conseguenza, noi viviamo meno cambiamenti e meno sperimentazioni di quanto potremmo; soprattutto, sacrifichiamo tanto talento umano e tante innovazioni sull'altare dell'affidabilità e della responsabilità.
In conclusione, nel dibattito su struttura (cioè sistemi sociali e istituzioni) verso agenzia, io sto dalla parte della seconda e sostengo che ogni struttura dovrebbe essere considerata come una condizione di equilibrio parziale che cerca di rendersi più forte, ma che dobbiamo tenere sotto controllo attraverso la costante generazione di cambiamenti. Non so se stiamo realmente entrando in quello che i video online più popolari definiscono un mondo esponenziale (anzi ho molti dubbi), tuttavia mi rendo conto che il numero e la scala dei problemi da affrontare ci costringono a rimodellare completamente il modo con cui organizziamo l'azione collettiva, come dimostra l'esempio dell'anestesista di Codogno che ho citato.


2. I presupposti teorici

Mentre lo scopo di questo libro è di descrivere un cambiamento paradigmatico nella ideazione delle organizzazioni, le sue radici vanno ricercate in una visione della realtà che è utile rendere esplicita.
La ragione per cui gli attuali modi di organizzare sono inadeguati è perché essi nascono all'interno di una struttura della realtà che favorisce l'istituzionalizzazione delle pratiche al suo interno perché risponde ad un'esigenza dell'umanità volta ad incrementare il controllo sulla società. L'epoca del dominio delle organizzazioni di stampo taylorista nella quale ci troviamo ha prodotto risultati importanti. Il più evidente è il concetto stesso di Stato nazionale. Il concetto di "nazione" a dispetto di quel che immaginiamo è relativamente recente nella storia dell'umanità. Vi sono differenze tra gli storici sulla sua data di nascita, ma la maggior parte è d'accordo nel collocarla nel diciassettesimo secolo. Il concetto di nazione fu reso più forte dalla creazione di istituzioni che dovevano realizzarlo nella pratica (organizzazioni, leggi, procedure ecc.). Le nazioni non sarebbero nate senza la creazione di istituzioni che avevano lo scopo di rafforzare il nuovo ordine e limitare la libertà degli individui in relazione a quello che potevano o non potevano fare, data la loro appartenenza a una specifica nazione. Tuttavia, questo percorso è stato molto contrastato perché richiedeva l'emergere di apparati complessi e tra loro interdipendenti. Fu solo la svolta del taylorismo a consentire su larga scala lo sviluppo di un sistema in grado di dare solidità al concetto di nazione grazie al prototipo di organizzazione strutturata che ancora oggi utilizziamo. Le due guerre mondiali successive non hanno fatto altro che rafforzare l'idea che sapersi organizzare in modo strutturato e con elevato controllo sociale potesse essere lo strumento principe per vincere.
Le organizzazioni tendono a esercitare la loro influenza sui comportamenti individuali, rendendoli prevedibili e più standardizzati. Il bisogno di aumentare la prevedibilità nei rapporti sociali è stato un fattore chiave nello sviluppo delle moderne società e ha richiesto uno sforzo massiccio per imporre il potere delle istituzioni sugli individui. Su questo punto ha scritto pagine bellissime Foucault. Pensiamo ai vantaggi di creare sistemi di istruzione pubblica per standardizzare il grado di conoscenza che ciascun cittadino dovrebbe possedere, ma non dimentichiamo la conseguenza di una implicita riduzione nella capacità di concepire l'assorbimento della conoscenza come un processo guidato e gestito a livello individuale. Il prezzo pagato è stato la riduzione della eterogeneità e dell'individualità nelle moderne società industriali. Gli individui sono scomparsi, sostituiti dalla loro classificazione in gruppi rilevanti per la società nel suo complesso.
Le organizzazioni rispecchiano lo stesso processo. Mentre alla fine del diciannovesimo secolo Panhard & Levassor, il più grande produttore di automobili in Francia, assomigliava più a un insieme di officine artigianali che a una fabbrica, l'avvento della grande fabbrica integrata di Ford cambiava per sempre la nostra idea di organizzazione. Mentre in Panhard & Levassor la competenza individuale era un fattore chiave di successo, alla Ford veniva dato valore al sistema organizzativo che permetteva di produrre in maniera costante il modello T, un'auto di grande successo. Quindi i lavoratori scomparvero come individui per diventare parte di un processo, e una categoria, connessa alla fase del processo in cui sarebbero stati impiegati.
La figura 1.1 fornisce una descrizione di questo approccio alle organizzazioni. Tutto inizia dal disegno formale di come dovrebbe comportarsi il sistema. L'ideatore definisce un ordine che mira a coordinare l'azione collettiva. Questo ordine predefinito poggia sulla standardizzazione di tutti gli elementi (ruoli, azioni, procedure, parti componenti ecc.) e sul comportamento conforme a questo di tutti gli attori coinvolti nell'organizzazione. La realtà dell'organizzazione fornisce la base per un costante processo di retroazione intesa a identificare differenze tra l'ordine predefinito e quello che è avvenuto in realtà. Queste differenze sono la base per una nuova progettazione in un ciclo infinito che ha per scopo il controllo totale di ciò che avviene.



Fig. 1.1 - La visione tradizionale delle organizzazioni


La descrizione di questo modello rappresenta una chiara dominanza della progettazione sulla libertà, dell'organizzazione sull'individuo. Che cosa accadrebbe se volessimo rovesciare l'ipotesi e mettere proprio l'azione umana all'origine di qualsiasi cambiamento nelle organizzazioni? In questo caso, l'ordine sarebbe la conseguenza non di un atto di progettazione, ma della comparsa di un ordine spontaneo fra i partecipanti di un'organizzazione (o di un sistema sociale). La libertà individuale interagirebbe con questo ordine, arricchendolo grazie all'iniziativa umana e alla sua varietà. L'interazione fra differenti attori plasmerebbe la realtà creando nuove e diverse forme di ordine spontaneo, che spingerebbero il ciclo a ripartire all'infinito.
Tuttavia, per permettere che questo avvenga, gli attori umani devono essere liberi di esprimersi e di liberarsi dalle costrizioni che sono loro imposte in quanto vivono in una società strutturata e operano in un'organizzazione formalizzata. È per questa ragione che la libertà è la pietra miliare del mio modello.
La possibilità di agire senza vincoli promuove l'iniziativa degli attori, che è un'azione diretta verso la realtà; nello stesso tempo, la libertà di esprimersi incoraggia la varietà, che significa eterogeneità nelle idee, nelle intenzioni, nelle convinzioni, negli obiettivi, ecc. L'interazione fra iniziativa e varietà fa i conti con la realtà e attraverso cicli di azioni e di scambi produce un ordine spontaneo. Sebbene rappresentato in forma lineare, è chiaramente un ininterrotto ciclo evolutivo guidato dal comune motore evoluzionistico consistente in variazione-selezione-riproduzione.
Questo è il quadro che utilizzo per la costituzione delle organizzazioni (Figura 1.2). Evito deliberatamente di usare il termine "disegno" perché non stiamo parlando di questo, mi verrebbe piuttosto da utilizzare il termine "disegno" grazie al quale riduciamo deliberatamente le aree organizzate che abbiamo appunto disegnato.



Fig. 1.2 - Il mio quadro

Sulla base di questo, il libro descrive come il disegno e il management dell'organizzazione vadano ripensati per incentivare libertà, iniziativa e varietà. Ciò richiede di controllare i processi attraverso i quali l'ordine (nel duplice aspetto di controllo e di struttura) inibisce il cambiamento e allo stesso tempo di favorire l'iniziativa da parte degli individui e la varietà nella composizione e nella tipologia delle relazioni fra individui nell'ambito dell'organizzazione stessa.
Nelle due sezioni che seguono di questo primo capitolo, esamino le basi teoriche del mio approccio. Sebbene esse rappresentino una parte essenziale del mio lavoro, i lettori che non sono a proprio agio con gli approcci teorici possono senza problemi saltare al capitolo successivo, per tornarvi forse dopo e avere così un quadro più esauriente di quanto ho trattato nel libro, ovvero di come gestire le organizzazioni in maniera differente e nello stesso tempo di come pensarle in modo diverso.

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5. Note conclusive

Gli elementi di ispirazione che ho tratto dalla fenomenologia e dal liberalismo classico costituiscono la cornice che racchiude la mia interpretazione del management e soprattutto della ricerca su management e organizzazione. Come qualsiasi scienza sociale, il management beneficerebbe grandemente di una maggiore chiarezza su quale logica e quale metodo epistemologico adottano i ricercatori. Purtroppo l'attenzione verso questo cardine fondamentale della ricerca è diminuita, in parallelo con una diffusione senza precedenti della letteratura sul management che sembra implicitamente spostarsi verso un approccio descrittivo, positivistico e normativo, delle organizzazioni.
Il ricorso alla fenomenologia e al liberalismo classico apre una finestra di opportunità che ritengo catturi meglio ciò che organizzazioni e lavoratori stanno attualmente sperimentando, particolarmente laddove condizioni socio-economiche e politiche esterne permettono loro di esprimere pienamente le loro finalità.
Si è fornita in precedenza una descrizione generale di questi approcci alle scienze sociali, ma penso sia utile riassumere i principi base del mio orientamento.
In primo luogo, in questo libro affermo che quando si tratta di affrontare e risolvere problemi collettivi di carattere complesso un ordine di origine spontanea è superiore a qualsiasi altra forma di controllo gerarchico e centralizzato, dentro le organizzazioni e non solo nei sistemi economici. Anche se la gerarchia ha contribuito grandemente all'avanzamento delle società umane, l'evoluzione dei mercati e l'emergere della società delle reti o network society (Castells, 1996) l'hanno spinta sino ai suoi limiti. La resilienza di questa forma di tecnologia sociale, tuttavia, è strettamente legata al fatto che ha modellato la nostra società e soprattutto i rapporti di potere all'interno di essa. Nonostante questi limiti, le organizzazioni innovative traggono ora vantaggio dal fatto che stanno emergendo nuove tecnologie sociali, come conseguenza della elevata riduzione della distanza percepita sia nel tempo che nello spazio, resa possibile ormai dall'estesissimo uso di tecnologie basate su Internet. Invece di valutare il trade-off fra lavoro e tempo libero, come è d'uso considerare nei testi di economia quando trattano l'offerta di lavoro, io sostengo che le persone si stanno ormai muovendo verso un nuovo tradeoff, quello tra libertà e vincoli; in effetti, lavoro e tempo libero non saranno molto diversi una volta che alle persone sarà concesso di agire liberamente in ciascuno dei due ambiti.
In secondo luogo, sottoscrivo l'idea che l'innovazione nell'organizzazione e nel management è il risultato di motivazioni soggettive che sono i progetti, le idee, gli sforzi e i desideri di attori individuali. La rapidità con cui emergeranno nuove organizzazioni è direttamente connessa all'incremento della libertà di azione di cui godono esattamente gli stessi attori nella società intesa in senso più ampio, ma anche all'interno dei limiti posti dalle organizzazioni esistenti. Il fatto che motivazioni soggettive siano raramente riconosciute nella ricerca corrente dipende dai limiti di una epistemologia positivistica, così concentrata sulle relazioni causa-effetto da sottostimare completamente l'importanza di azioni (apparentemente) inimmaginabili e (probabilmente) imprevedibili. In quanto fenomenologo, mentre riconosco che è difficile predire se e quando qualcosa accadrà, difendo l'idea che un ricercatore possa aiutare a immaginare futuri possibili sulla base dell'analisi di intenzionalità. La metodologia che applico è coerente con la prasseologia, per cui traggo conseguenze per le organizzazioni dall'idea che gli attori seguiranno percorsi di azione verso determinati scopi, scegliendo mezzi e tecnologie.
In terzo luogo, riconosco che i cambiamenti di cui sopra incontreranno molta resistenza perché, come è avvenuto con l'emergere del management scientifico, essi richiederanno un forte mutamento, una rivoluzione mentale, che altererà i rapporti di potere e, dal profondo, la struttura della società. Da una tale prospettiva, nella preparazione di questo libro ho trovato utile rivedere criticamente il dibattito sul futuro della società, pieno di spunti per manager attenti (si veda per esempio Beck, 1992; Castells, 1996; Bauman, 2000; Sennett, 2000).
È interessante notare che gli esempi di innovazione nel management che vengono ripetuti dai media e nei convegni hanno origine in luoghi inaspettati e a lungo marginali per il grande business tradizionale: le università (per esempio, Stanford nella Silicon Valley), i movimenti sociali (per esempio l'Open Source con Linux) o i gruppi di interesse (l'Agile Software Movement). È solo alla periferia delle grandi, ben consolidate, tradizionali gerarchie che vi sono sufficienti opportunità per il cambiamento e abbastanza senso di ribellione per promuovere la discontinuità. Così come in molti altri ambiti della società, è ai margini che si attua il cambiamento, pensiamo ad esempio alla musica rap.
Un altro elemento per me particolarmente curioso è che a differenza del recente passato molti degli esempi di trasformazione non affondano le loro radici in visioni collettiviste della realtà, organizzate per promuovere la lotta di classe o di potere, ma in nuove forme di libertarismo e di anarchia, che hanno caratterizzato profondamente per esempio la Silicon Valley e più in generale gli imprenditori dell'era delle start-up.
Il mio libro fornisce una base per la ridefinizione di come le organizzazioni dovrebbero essere disegnate lungo le linee della natura evolutiva della tecnologia sociale disponibile, a sua volta spinta dal continuo processo di liberazione dell'individuo, che trova le sue radici nell'umanesimo del Rinascimento (Simmel, 1972), e dal potente processo di innovazione delle tecnologie sociali e collaborative che possiamo utilizzare nella nostra vita di ogni giorno.
Le considerazioni che sviluppo si differenziano da molta letteratura ma-nageriale perché hanno radici scientifiche molto specifiche e perché vogliono fornire un quadro sistematico di interpretazione, non un modello specifico da "collocare" sul mercato, come ad esempio per l'holacracy di Robertson (2015) o l'organizzazione teal di Laloux (2014).
Quando ho iniziato questo libro nell'estate del 2015 si trattava di un tema marginale e poco trattato, ma negli ultimi tre anni abbiamo assistito ad un cambio di mentalità importante che ha portato a riscoprire il libro del 2009 di Carney e Getz dal titolo Freedom, Inc., un libro che per ironia della sorte allora non veniva nemmeno tracciato dai motori di ricerca.
Anche la ricerca scientifica se ne sta accorgendo, finalmente, tanto che un recente paper di Colle e colleghi (2017) ha fatto il punto sul concetto di Freedom-form ed è stato per questo integrato in questa edizione.

 

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