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     n. 3 anno 2020

Riders: per la Cassazione valgono le tutele dei lavoratori subordinati

di Antonino La Lumia

di Antonino La Lumia

Arriva finalmente la Cassazione, con la recentissima sentenza n. 1663 del 24 gennaio 2020, a fare chiarezza - almeno così dovrebbe essere - circa le tutele da riconoscere ai riders,fattorini "digitali" attivi nel settore del food delivery.

Non è un mistero, infatti, che l'incessante innovazione tecnologica della nostra società abbia favorito (e, per certi versi, imposto) una altrettanto rapida e irreversibile evoluzione dei rapporti di lavoro, che porta con sé una serie di criticità dal punto di vista non soltanto dogmatico, ma soprattutto giurisprudenziale (prima) e normativo (poi): ciò determina un'incertezza sui tratti generali di queste figure di lavoratori, che siamo ormai abituati a vedere operare nelle nostre città, ma che faticano - non solo fisicamente - a trovare una compiuta e stabile tutela, con intuibili pregiudizi tanto per loro, quanto per le imprese, perlopiù multinazionali, che si servono delle relative prestazioni.

Ed effettivamente la crescente diffusione del fenomeno della gig economy (si parla, ormai, di milioni di persone, che lavorano, a livello mondiale, mediante piattaforme digitali) ha imposto, nel nostro ordinamento, una successione di interventi giurisprudenziali e normativi, che - partiti con l'intento di mettere ordine - hanno invece creato un reticolato di interpretazioni e regole, dal quale non è semplice districarsi.

Il tema centrale riguarda la dicotomia tra lavoratori autonomi e subordinati: una scelta, in un senso o nell'altro, comporta infatti conseguenze in diritto (in particolare, per il regime delle tutele) radicalmente differenti.

La questione, come spesso avviene quando il legislatore non riesce a stare al passo con le fulminee dinamiche del lavoro, è stata affrontata inizialmente dalla giurisprudenza: il Tribunale di Torino era stato adito da alcuni giovani, i quali chiedevano il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, in ragione delle modalità di svolgimento dell'attività, che espletavano in favore della datrice di lavoro (la piattaforma Foodora).

In estrema sintesi, queste erano le caratteristiche del rapporto: i riders compilavano un formulario fornito dall'azienda, che li convocava a piccoli gruppi, chiarendo che il singolo operatore dovesse possedere una bicicletta e uno smartphone: dopodiché veniva proposto un contratto di "collaborazione coordinata continuativa", con la possibilità per il lavoratore di accettare o meno una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità.

In primo grado, il Giudice aveva rigettato tutte le domande, ritenendo insussistente la subordinazione, proprio alla luce dei caratteri distintivi dell'attività.

Invece, la Corte d'Appello, con sentenza n. 26 del 4 febbraio 2019, ha parzialmente modificato il precedente percorso argomentativo: dopo aver escluso la subordinazione, in quanto i riders erano liberi di accettare o declinare i turni offerti dall'azienda, senza dover giustificare e potendo anche omettere la prestazione (mancava il requisito dell'obbligatorietà), i Giudici - infatti - si sono discostati dalla sentenza di primo grado, precisando che, in base all'art. 2 D.Lgs. 81/2015, il legislatore hariconosciuto un vero e proprio tertium genus, a metà tra la subordinazione pura, come indicata dall'art. 2094 c.c., e la collaborazione coordinata continuativa, regolata dall'art. 409, n. 3, c.p.c.

La pronuncia, che ha creato non poche perplessità, ha individuato una nuova figura di lavoratore, definibile come "autonomamente subordinato". Non si costituisce un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, ma semplicemente si applicano le tutele ai rapporti di collaborazione autonoma: essa, cioè, resta tale, ma ogni altro aspetto riguardante la sicurezza, l'igiene, la retribuzione diretta e differita, i limiti di orario, ferie e previdenza si regolano come si trattasse di un rapporto di lavoro subordinato.

Sollecitato dalla giurisprudenza, è intervenuto anche il legislatore: con il D.L. 3 settembre 2019, n. 101 (convertito, con modifiche, dalla L. 2 novembre 2019, n. 128), sono stati recepiti, di fatto, i principi espressi dalla Corte d'Appello di Torino.

I riders oggi trovano, dunque, una precisa definizione legislativa, come "lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali" (art. 47 bis, primo comma, D.Lgs. n. 81/2015) e sono inclusi nell'ambito delle collaborazioni etero-organizzate disciplinate dall'art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015: "A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali".

La nuova disciplina rende, così, quasi evanescenti le differenze rispetto alla collaborazione coordinata e continuativa dell'art. 409 c.p.c.

Provare a fare ordine nell'attuale sistema è comunque tutt'altro che agevole, anche perché le disposizioni riguardanti il compenso (art. 47 quater), inserite nel Capo V bis del D.Lgs. n. 85/2015 ("Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali"), entreranno in vigore solo a partire dal 2 novembre 2020: il compenso dovrà essere definito dai contratti collettivi, con criteri di determinazione, che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell'organizzazione del committente.

In tale ingarbugliato contesto, è intervenuta - da ultimo - la Cassazione, con la storica sentenza n. 1663/2020, che ha sì respinto il ricorso proposto dall'azienda, ma ha imposto una riflessione puntuale sull'effettivo regime normativo da applicare al caso di specie.

Infatti, nonostante confermi l'applicazione dell'art.2 del D.Lgs. n. 81/2015, non condivide la posizione dei Giudici d'Appello, nella parte in cui questi ultimi ritengono che così sarebbe stato creato il "terzo genere" di rapporto di lavoro, nel mezzo tra autonomia e subordinazione: in particolare, secondo la Suprema Corte, i riders hanno diritto a essere pagati come i lavoratori subordinati, proprio sulla base di quanto previsto dalla suddetta norma, senza la necessità di trasformazione in lavoro dipendente (e nemmeno nella fattispecie "intermedia").

La Cassazione, sul punto, sottolinea - non a caso - che la disposizione non si occupa di creare una nuova forma di rapporto di lavoro, ma svolge una funzione "sia di prevenzione", finalizzata ad evitare l'adozione di schemi contrattuali elusivi rispetto alle tutele del rapporto di lavoro subordinato, "sia "rimediale": in questo senso, si legge nella sentenza che "quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato".

Le finalità dell'impianto normativo consentono, dunque, di applicare la disciplina, senza ricorrere a ricostruzioni giuridiche extra ordinem: "Si tratta di una scelta politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di ‘debolezza' economica, operanti in una ‘zona grigia' tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea".

La portata di tale interpretazione giurisprudenziale si preannuncia di notevole impatto: il potere organizzativo del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, dovrebbe comportare sempre l'obbligo di assicurare un trattamento economico pari a quello dei lavoratori subordinati con mansioni analoghe.

Un effetto non da poco.

Sarà da discutere, invece, l'applicazione delle norme di tutela in relazione ai licenziamenti ingiustificati: sul punto, la Corte non ha preso una posizione netta, limitandosi a rilevare che, in alcuni casi, esse potrebbero dimostrarsi incompatibili con la disciplina della collaborazione.

Insomma, a prima lettura, la sentenza sembrerebbe aver consentito di compiere un deciso passo avanti nella stabilizzazione delle tutele in materia: sarà opportuno, in ogni caso, attendere la reazione delle parti sociali e, soprattutto, un auspicabile dialogo tra le stesse, al fine di condividere le scelte contrattuali più efficaci ed equilibrate per favorire una sana crescita del settore.

avv. Antonino La Lumia, Studio Legale La Lumia & Associati - Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Milano 

 

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