hronline
     n. 12 anno 2019

Il danno da demansionamento non è in re ipsa

di Marcello Floris

di Marcello Floris

Non è sufficiente provare la sola inattività del dipendente per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla illecita sottrazione di mansioni. Occorre infatti dimostrare anche i fattori che hanno determinato un effettivo impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore.
E' quanto ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 431 del 25 febbraio 2019 con cui ha respinto il ricorso di un ex calciatore nei confronti della società sportiva datrice di lavoro.
Nelle precedenti fasi del giudizio, la Corte di Appello aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità, confermando invece il ristoro del pregiudizio morale ed esistenziale.
La Corte d'Appello aveva accertato l'inattività cui era stato costretto il ricorrente, ma ha poi ritenuto insufficienti i fatti a sostegno e soprattutto le prove del danno professionale, dedotto all'ex calciatore come danno automaticamente derivante dalla condotta lesiva del datore (cioè in re ipsa).
L'ex calciatore ricorreva in cassazione sostenendo che in primo grado, pur avendo chiesto il risarcimento del danno in re ipsa, avesse comunque indicato elementi in fatto, finalizzati a fondare una prova del danno professionale. Questi erano identificati nella brillante carriera precedente del ricorrente e nella successiva completa inattività cui egli era invece stato costretto, a decorrere dal gennaio 2003. Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello non avrebbe considerato la forzata inattività di per sé quale fonte di danno e avrebbe omesso l'esame della dequalificazione, causata dalla perdita di mansioni lamentata dal lavoratore e non contestata dalla società. Il ricorrente criticava inoltre la sentenza d'appello per non aver considerato che il danno derivante dalla dequalificazione poteva essere dimostrato - e fosse stato dimostrato nel caso di specie - per via presuntiva, cioè arrivando, tramite indizi, a ritener provati i fatti lesivi.
La Corte di Cassazione respingeva il ricorso confermando l'orientamento secondo cui è possibile il risarcimento del danno da dequalificazione professionale "sempre che il lavoratore, sul quale ricade il relativo onere, fornisca prova dell'effettiva sussistenza di tale danno, la quale costituisce il presupposto indispensabile anche per la liquidazione equitativa".
La Corte, rifacendosi alle sentenze delle Sezioni Unite n. 6572 del 2006 e 26972 del 2008, ha qualificato come inadempimento contrattuale la violazione degli obblighi di tutela della professionalità, della salute e della personalità dei lavoratori, ma ha precisato come dall'inadempimento non derivi automaticamente l'esistenza del danno, che non può verificarsi immancabilmente solo perché un atto illegittimo può astrattamente recare danno. Dall'inadempimento del datore di lavoro possono derivare diverse conseguenze lesive per il lavoratore (danno professionale in senso patrimoniale, alla salute, all'immagine o alla vita di relazione, sintetizzati dal concetto di danno esistenziale) che possono anche coesistere, ma, per ottenere un risarcimento è necessario che tali esiti siano indicati e provati da chi ritiene di essere stato danneggiato. Con particolare riferimento al danno professionale patrimoniale, è stato precisato già dalle Sezioni Unite nel 2006 che esso può consistere sia nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel danno subito per una perdita di ulteriori possibilità di guadagno (perdita di chances). Però anche questo tipo di danno non può essere riconosciuto in concreto se non in presenza di adeguata indicazione. Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto che i giudici di appello avessero fatto corretta applicazione di tali principi, attribuendo al ricorrente l'onere di indicazione e prova dei fattori presunti del danno patrimoniale causato dall' inattività ed ha reputato che tale onere non fosse stato adeguatamente assolto, avendo l'ex calciatore omesso di evidenziare le conseguenze negative in termini di perdita di professionalità in ordine al tipo di attività svolta o di possibilità di reperimento di nuovi lavori, a causa dall'inadempimento datoriale.

avv. Marcello Floris
Partner, Co - Head Employment and Pensions (Italy), Eversheds Sutherland  

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®