hronline
     n. 12 anno 2019

Contro Canto n. 111 (stimoli da 676 a 682)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

CONCAVI, un po' depressi ma creativi (676)
A differenza degli individui pieni di sé, ‘convessi', chi ha fatto tesoro delle proprie parti ‘concave' è pronto a riconoscere la domanda dell'altro, a contenere le emozioni che gli vengono inviate e restituirle elaborate e condivise. Un buon uso della ‘depressività' è la condizione primaria, non solo per amare, ma anche per pensare creativamente.
(Silvia VEGETTI FINZI, psicologa, docente di psicologia dinamica, rubrica ‘psiche lei', ‘Io Donna', 27 luglio 2002).

COOPERARE, l'abbiamo imparato solo 10 mila anni fa (677)
... ormai la psicoanalisi non riesce più a fare a meno della neurobiologia. Persino Freud l'avrebbe utilizzata se i suoi tempi fossero stati maturi. E cosa dice la neurobiologia? Dice che ci sono comportamenti, modi di stare al mondo, che si tramandano geneticamente. Oggi noi sappiamo che il saper capire l'altro, imparare a conoscere chi ti sta di fronte, è qualcosa che il cervello ha imparato a fare da poco, da circa 10 mila anni. E fisiologicamente sono parti cerebrali più nuove, che stanno nella regione frontale del nostro cervello. Nei momenti di stress e di pericolo queste capacità diciamo più recenti si perdono molto più facilmente delle altre. A vantaggio di quelle più arcaiche.
(Massimo AMMANITI, psicoanalista, docente di psicopatologia generale e dell'età evolutiva all'università La Sapienza di Roma, intervistato da Roberto Cotroneo, ‘l'Unità', 16 settembre 2004).

CRITICA, 8 suggerimenti per l'arte del giudicare (678)
... è molto importante per un leader essere in grado di esercitare una critica efficace sui membri del suo team: il termine ‘critica' è, purtroppo, spesso soggetto a un pregiudizio etimologico, che gli attribuisce un significato prevalentemente negativo. In realtà, il termine deriva dal greco ‘Krìtiké (téchnè)', che significa semplicemente ‘(arte) del giudicare'. Quindi, ecco un breve elenco di suggerimenti per come condurre un corretto processo di critica:
(1) la critica deve poter essere sia positiva, sia negativa; anzi, quest'ultima funziona solo quando si è attestata la possibilità di esistenza della prima; ad esempio, un capo che non fa mai complimenti o non ringrazia mai i suoi dipendenti per un buon lavoro non si ‘prepara il terreno' per giudizi negativi o interventi critici di correzione;
(2) occorre trovare il contesto adatto per farla: alcuni preferiscono che la critica rimanga ‘chiusa' nel rapporto con il capo; altri potrebbero ritenere sfidante e stimolante una critica pubblica;
(3) prima di iniziare a criticare negativamente un comportamento o un risultato, occorre rafforzare la percezione di se stesso del dipendente, in modo da non mettere in crisi la sua autostima;
(4) se è il caso, si può cominciare sottolineando i miglioramenti che effettivamente ci sono stati;
(5) occorre mostrare un sincero interesse per le opinioni del ‘criticato', sia in termini di valutazione del risultato, sia in termini di analisi di eventuali errori;
(6) inutile mostrare chiusura rispetto al futuro; meglio porre il problema in termini di opportunità, andando a negoziare una soluzione per risolvere la questione;
(7) occorre accentuare il coinvolgimento emozionale del dipendente, attivando le sue emozioni e rendendolo partecipe del problema anche a livello personale;
(8) infine, prima di chiudere l'intervento critico, è opportuno lasciarlo parlare della sua reazione, in modo da renderlo consapevole di quello che ha provato.
(Francesca Romana PUGGELLI, docente di psicologia sociale e del turismo, Gestire l'emotività sul lavoro, Il Sole 24 ore, Milano, 2005).

HR, OGGI (679)
Leggo e riadatto dalla rete: «Direttore Generale a Direttore del Personale: «Cosa accade se investiamo nello sviluppo delle persone e poi queste ci lasciano». Direttore del Personale a Direttore Generale: «E che cosa accade se non lo facciamo e queste non se ne vanno?». Mio commento: forse la risposta del Direttore del Personale è un ‘wishful thinking'. Ora sono tutti HR Business Partner. Mentre servirebbero Hr People Partner.
(Massimo FERRARIO, Gruppo Linkedin ‘Impresa Diversa', 30 novembre 2013)

MANAGER, cosa differenzia quelli ‘grandi' (680)
Durante le 80.000 interviste fatte ai manager dalla Gallup è stata posta questa domanda: «Avete un dipendente di talento, che però arriva sempre tardi al lavoro: che cosa gli direste?».
Le risposte spaziavano tra l'autoritarismo e il laissez-faire: «Io lo licenzierei; qui non tolleriamo ritardi». «Io prima lo rimprovererei a voce, poi gli farei un rimprovero scritto e alla fine lo licenzierei». «Io chiuderei la porta dell'ufficio e gli direi che, d'ora in avanti, se mi fa due secondi di ritardo non entra più». «Per me va bene così. Non mi interessa a che ora arrivano, a patto che rimangano fino a tardi e finiscano il lavoro».
Ciascuna di queste risposte è plausibile. E ciascuna ha i propri meriti. Ma non erano queste le risposte dei grandi manager. Quando è stato chiesto loro cosa farebbero con un dipendente che arriva sempre in ritardo in ufficio, i grandi manager hanno dato sempre la stessa risposta, che sintetizza il loro atteggiamento nei confronti del rapporto tra manager e dipendente: «Io gli domanderei perché».
(Marcus BUCKINGHAM e Curt COFFMAN, consulenti statunitensi di management, Primo: rompere le regole, 1999, Baldini & Castoldi, Milano, 2001).

RI-FLESSIONE, se un'organizzazione vuole il futuro (681)
Un'organizzazione senza riflessione ha più debole il proprio futuro, perché priva di sufficiente consapevolezza di quel che accade nel presente. Eppure osserviamo ogni giorno l'affermarsi di realtà organizzative nelle quali la riflessione ha traslocato, sistemandosi e limitandosi ai piani alti delle decisioni, mentre al resto dell'organizzazione si chiede di agire con velocità, di reagire con tempestività, di decidere con responsabilità. Ci si attende flessibilità, capacità di adattamento alle emergenze, ma non vi sono spazi per poter tornare sui propri passi e riflettere. Si diffonde la richiesta di un'esecutività intelligente, di una reattività flessibile, attraverso capacità e modi di essere che non possono fermarsi nella riflessione, ma devono impiegare best practices, automatismi comportamentali efficaci, modelli di leadership standardizzati.
Il futuro ha invece bisogno di ri-flessione, di spazi nei quali soffermarci e tornare indietro, rivedere i nostri modi di agire, ripercorrere emozioni provate, sensazioni e decisioni, per fare di questa realtà che ci è accaduta un'esperienza. E' la differenza tra il cercare di imparare un'istruzione letta o sentita da qualcuno e il cercare di capire chi sono e come ho agito.
(Gian Maria ZAPELLI, consulente di direzione e formatore, Liberare il futuro delle persone per ‘fare la differenza', in Andrea Fontana, e Adriana Maria Quaglia, a cura di, Diversività. Come fanno la differenza le aziende di successo, Guerini e Associati, Milano, 2006).

INDIFFERENZA, semplice (682)
Tutto ciò che occorre per il trionfo del male è che gli uomini perbene non facciano nulla.
(Edmund BURKE, 1729-1797, statista, filosofo, letterato e oratore irlandese, citato da Barbara Kellerman, statunitense, esperta di leadership, direttore delle ricerche del Center for Public Ledership della Harvard University e docente alla Kennedy School of Government di Harvard, Cattiva leadership, 2004, Etas, Milano, 2005).

Massimo Ferrario, Consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-Logos 

 

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