hronline
     n. 12 anno 2019

Coltivare l'umano nel lavoro e nell'economia
Riflessioni a margine dei lavori di Assisi

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

L'AIDP Award, occasione privilegiata per ascoltare le "aziende che si raccontano" all'interno del congresso annuale dell'associazione, è un interessante osservatorio per farsi un'dea concreta su cosa si stanno impegnando le donne e gli uomini delle direzioni HR, per cogliere quali sono le preoccupazioni che guidano questo impegno, in definitiva, per comprendere dove batte il loro cuore. Anche questa edizione del concorso ha così segnalato le nuove "emergenze organizzative" di quest'epoca, come le chiamerebbe Pino Varchetta.
E' in questa cornice che condivido gli appunti presi mentre leggevo tutti i progetti che hanno partecipato al concorso, in quanto Presidente della Commissione AIDP Award, arricchiti dalle aggiunte che ho annotato a margine dei lavori congressuali.
L'idea che mi sono fatto è che si stia prevalentemente lavorando su due grandi filoni:

  • quello che ruota attorno alla trasformazione digitale e alle Tecnologie per l'InterAzione come le ha chiamate il prof. Bruno Siciliano;
  • quello interessa il welfare aziendale in un'accezione ampia, comprensivo cioè di tutte quelle iniziative che hanno a cuore il benessere (well-being) delle persone e la ricerca del loro engagement.

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La trasformazione digitale richiede di intervenire su molti fronti: da quello organizzativo e delle nuove modalità di prestazione lavorativa come lo smart working e le forme agile a quello dell'apprendimento. La parola chiave è senza dubbio cambiamento, nella versione di una profonda e inedita trasformazione che impatta su tutti i processi HR: dal recruiting al performance e talent management, passando per le questioni poste all'apprendimento. Come possiamo continuare a imparare ad apprendere? Questa domanda ha echeggiato più volte nella due giornate di lavoro. E' inutile nascondersi dietro un dito, siamo tutti un po' disorientati, seppur con toni e intensità diverse, poiché chiamati a trovare soluzioni per accompagnare un cambiamento che richiede un nuovo mindset. Già, perché ci stiamo accorgendo che questa trasformazione, prima ancora che una trasformazione disruptive di processi, organizzazione, modelli di business e skill è soprattutto una trasformazione antropologica. Cresce la consapevolezza cioè che stiamo cambiando anche noi. Non è chiara la direzione di questo movimento, ma sappiamo che siamo "parte" del cambiamento e non possiamo esserne solo spettatori. Cominciano a girare infatti domande che interpellano direttamente l'uomo e che pongono nuove sfide come queste: la coabitazione tra esseri umani e robot; l'etica di chi realizza i robot - perché questi ultimi non sono agenti morali - la cui azione dovrà coniugarsi con i diritti della persona. A me sembra evidente l'emergere prepotente di un'istanza: come difendere e coltivare l'umano anche nel lavoro? Gestire con successo la natura e i contenuti di quest'istanza non è solo questione di competenze o di nuove competenze. Un tema certamente importante questo, ma c'è altro da fare. Occorre alzare il tiro, perché quest'epoca ci sfiderà su altro. Per esempio:

  • quando parliamo di lavoro, di quale lavoro stiamo parlando? Il lavoro-merce ricordato da Oscar Giannino o un lavoro che sia espressione della persona, che è l'orizzonte pedagogico su cui è impegnata la Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)?
  • e noi, cosa stiamo diventando nel lavoro?
  • e soprattutto: chi vogliamo essere, lavoratori o persone-che-lavorano e quindi in relazione con gli altri?
Domande distanti dalla quotidianità? Non credo perché sono già leggibili nell'orizzonte della responsabilità delle donne e degli uomini HR. Credo anzi che la capacità di rispondere a esse costituirà la parte più generativa del futuro del nostro contributo nelle organizzazioni, nelle imprese e nella comunità.

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Vengo al secondo filone, quello del welfare aziendale, benessere ed engagement.
La sua rilevanza è ben testimoniata dall''esplosione di pratiche organizzative che si prendono cura delle persone e delle loro famiglie. Anche i progetti aziendali che hanno partecipato all'AIDP Award contribuiscono a consolidare questa evidenza, soprattutto perché sono cresciuti di molto rispetto alle passate edizioni arrivando a rappresentare - se messi insieme - il 50% degli stessi. E' il segnale più evidente che nel lavoro c'è tanto bisogno di cura. E' questa parola che qualificherà il significato e darà il contesto alla responsabilità nei prossimi anni. Perché il lavoro è ancora troppo spesso:

  • un luogo di frustrazione anziché di espressione delle capacità di ciascuno, un luogo cioè dove il lavoro intrappola energia piuttosto che liberarla
  • un tempo da cui fuggire e dimenticare piuttosto che valorizzare
  • un ambiente che fa crescere passioni tristi al posto dei beni relazionali e della loro generatività.
Ecco allora che il welfare aziendale e le sue pratiche diventano uno straordinario laboratorio di innovazione organizzativa e sociale per prendersi cura dei bisogni che la "nuova grande trasformazione del lavoro" - per dirla con il linguaggio e le categorie dei ricercatori di ADAPT (si veda il bel volume di Francesco Seghezzi) - sta producendo. Un laboratorio per ricercare il benessere delle persone, quello delle imprese e della più ampia comunità con implicazioni positive sull'engagement dei collaboratori e degli altri stakeholder. Da questo punto di vista, l'osservatorio dell'AIDP Award offre interessanti materiali che mi consentono di affermare che si sta comprendendo la direzione del vento forte che soffia sulle imprese e la loro gestione, un vento che sollecita a ripensare la stessa funzione dell'impresa nell'economia e nella più ampia società civile. E' un vento che fa gonfiare le vele dell'impresa "che opta per la responsabilità civile [...] che si adopera per intervenire sul fine stesso dell'agentività economica mirando alla democratizzazione del mercato". Sono parole che mutuo dall'ultimo volume del prof. Stefano Zamagni, dedicato a chiarire il significato di essere responsabili in quest'epoca (Responsabili. Come civilizzare il mercato, il Mulino, 2019, p. 105). D'altra parte, ci sono ormai numerose prese di posizione in tal senso di uomini di business e personaggi influenti come Larry Fink, presidente di BlackRock, la più grande società di investimenti al mondo. Nella lettera ai CEO delle società in cui investe i soldi dei suoi clienti del gennaio scorso scrive: "Lo scopo [dell'impresa] non è semplicemente uno slogan o una campagna di marketing: è la ragione d'essere fondamentale di un'azienda, ciò che essa fa ogni giorno per creare valore per i suoi portatori d'interesse. Lo scopo non è solo la ricerca del profitto, bensì la forza propulsiva per ottenerlo. Utili e scopo non sono affatto in contraddizione, anzi risultano indissolubilmente legati tra loro".
Credo che l'impegno crescente delle direzioni del personale in quest'ambito (welfare aziendale, benessere, engagement) lasci intendere che abbiamo capito l'aria che tira e quale sia la via lungo la quale costruire il nostro posizionamento nel XXI secolo:
  • contribuire a cambiare radicalmente il modo di fare impresa
  • lavorare con passione per imprese che non pensano solo al proprio interesse o a massimizzare quello degli azionisti, ma a quel diverso inter-esse inteso come luogo di costruzione del bene comune e di valorizzazione dell'impatto sociale (Gabrielli G., Zaccaro F., Gestire l'inter-esse. L'alleanza tra impresa responsabile e società civile, Franco Angeli, 2018)
E' questo allora il nostro straordinario campo di gioco: legare Purpose, People e Performance coltivando l'umanità e il progresso. Saranno queste le nuove "3P" della cura e gestione delle risorse umane del XXI secolo che prenderanno il posto di quelle del Novecento (Posizione, Prestazione, Potenziale).
Insomma, quel vento forte che soffia dice che questo modello di impresa può essere trasformato, così come può essere cambiato il paradigma della "società della prestazione" (Chicchi F., Simone A., Ediesse 2017). Non cambiarlo significherebbe farsi male e scavare il solco sempre più profondo delle diseguaglianze, significherebbe aggravare la nostra responsabilità verso le nuove generazioni. Il pensiero non può andare allora al messaggio inviato da Papa Francesco "ai giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo" per invitarli proprio ad Assisi, a marzo prossimo, con l'obiettivo di stringere un patto "per cambiare l'attuale economia e dare un'anima all'economia di domani".

Credo profondamente che tutti noi, se interessati a prenderci cura del benessere dei lavoratori, delle imprese e della società, possiamo e dobbiamo fare molto in questa direzione. E' bene che sia così, perché questo impegno che persegue la finalità di far fiorire l'umano nell'economia e nel lavoro sarà la cifra più autentica e generativa del contributo delle donne e uomini HR nel XXI secolo.

Gabriele Gabrielli
Executive Coach, consulente e formatore è Consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit, insegna HRM & Organisation alla LUISS e alla LUISS Business School è Professor of Practice in People management, HRM e Organisation, Organisational Behaviour. E' ideatore, fondatore e Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona 

 

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