hronline
     n. 8 anno 2019

Perdonare. Puo' essere una risposta per gestire i conflitti nelle organizzazioni?

di Gabriele Gabrielli

di Gabriele Gabrielli

Quando subiamo (o pensiamo di aver subito) un torto possiamo, semplificando molto, reagire in due modi. Vivere continuando a "ruminare" l'esperienza che non riusciamo ad accettare alla ricerca di una qualche occasione che possa riscattarci, oppure cambiare verso a quanto accaduto mettendo una pietra sopra il passato. In questo caso può essere cercato un nuovo equilibrio nel perdono che fiorisce lungo la strada della riconciliazione. Questa seconda possibilità, che per lo più suscita diffidenza o benevoli sorrisi indotti dall'idea della sua impraticabilità, sta riscuotendo in verità un crescente interesse.
Sulla scena della nostra riflessione intorno alle teorie e pratiche del conflict management entrano prepotentemente domande molto impegnative. Per esempio: leader e capi possono perdonare? Il perdono non è una virtù dei deboli? Le imprese dovrebbero incoraggiare questa pratica? Con quali benefici?
Manfred Kets de Vries, uno tra i più noti esperti e docenti di leadership al mondo, dedica un intero capitolo del suo libro Mindful Leadership Coaching all'arte del perdono, che distingue i leader trasformativi capaci di creare sviluppo e futuro per le imprese, proprio perché non sono preoccupati dal passato, non sono più suoi prigionieri ma liberi di guardare avanti e andare oltre. Scrive: «Perdonare significa estirpare un pungiglione dalla memoria che altrimenti rischierebbe di avvelenare la nostra esistenza». Per questo non è una virtù dei deboli, tutt'altro; è una virtù in realtà che ci rende liberi e che consente alle organizzazioni di essere generative. Secondo alcuni studi, perdonare aiuta anche a ridurre il disagio che si può provare nel vedere l'altro, che ci ha offeso, soffrire. Magari non tutti proveranno questo sentimento, l'esperienza e gli studi dicono però che capita più frequentemente di quanto si possa pensare; non fa star bene sapere sapere che l'altro (il nemico) sta soffrendo. Astratto altruismo? A ben vedere il comportamento altruista sarebbe mosso in questo caso anche da interessi egoistici: voler stare bene. Comunque è indubbio che, accogliendo gli esiti di numerosi studi di psicologia, organizzazione e management, il perdono porta apertura, futuro, nuove possibilità. Guarisce le ferite, un regalo che facciamo a noi stessi prima ancora che alle organizzazioni dove lavoriamo. Per queste motivazioni da qualche tempo la letteratura organizzativa e la pratica manageriale stanno esplorando la generatività del perdono e quella di ambienti di lavoro che promuovono una cultura orientata alla comprensione. Viene guardata come una prospettiva interessante non soltanto per le persone ma anche per le organizzazioni.
D'altro canto queste ultime sanno bene che i conflitti sono una componente naturale della loro vita. Quando stabiliscono regole e comportamenti o riorganizzano il loro funzionamento per coordinare gli sforzi di persone e gruppi al fine di conseguire obiettivi comuni - che è l'essenza di un'organizzazione - le imprese sono consapevoli che stanno anche disegnando territori da cui potranno nascere incomprensioni, dissidi e conflitti. Per questo non c'è contratto o accordo che non preveda clausole utili a individuare e indirizzare il processo e gli attori preposti alla risoluzione dei conflitti, modalità che delineino preventivamente la strada lungo la quale incanalare i dissapori e trovare risposte efficienti ed efficaci. Con quali strumenti? Quali sono le pratiche più utilizzate dalle imprese per allenare l'organizzazione e i suoi protagonisti a cogliere i benefici del perdono? In verità sono numerosi: interventi formativi sulla gestione del conflitto, modelli di leadership, politiche e strumenti di valorizzazione delle persone, coaching e mentoring sono alcune tra le risposte più diffuse che le organizzazioni mettono in campo per gestire i conflitti e renderli funzionali ai loro interessi. Prima di chiudere questa riflessione che andrà ripresa e approfondita, merita attenzione una rapida annotazione. Verrebbe da pensare che la diffusione dei nuovi modelli produttivi che l'economia 4.0 e la trasformazione digitale stanno proponendo, fondati su un'intensa attività collaborativa e su meccanismi che privilegiano l'interazione e la cooperazione, porti anche un minor tasso di conflittualità. Saremmo autorizzati a immaginare cioè che il conflict management abbia la strada segnata, ossia quella di un suo inarrestabile declino. Le ricerche però deludono questa legittima aspettativa perchè mostrano che anche nell'economia della connessione e delle interdipendenze i conflitti in verità continuano a crescere. Conseguentemente, c'è necessità di indirizzare questo problema organizzativo, comprendere le cause e, soprattutto, individuare le leve e le pratiche capaci di gestire efficacemente un fenomeno che nasconde implicazioni costose per l'impresa e per gli individui, prime fra tutte le conseguenze di comportamenti aggressivi, di vendetta e di non collaborazione che frenano lo scorrere della vita organizzativa, producendo stress e minando la produttività.

Gabriele Gabrielli
Executive Coach, consulente e formatore è Consigliere delegato di People Management Lab S.r.l Società Benefit, insegna HRM & Organisation alla LUISS e alla LUISS Business School è Professor of Practice in People management, HRM e Organisation, Organisational Behaviour. E' ideatore, fondatore e Presidente della Fondazione Lavoroperlapersona 

 

  • © 2024 AIDP Via E.Cornalia 26 - 20124 Milano - CF 08230550157 - tel.02/6709558 02/67071293

    Web & Com ®