hronline
     n. 8 anno 2019

Contro Canto n. 109 (stimoli da 664 a 670)

di Massimo Ferrario

di Massimo Ferrario

LAVORO, la qualità degradata (664)
La qualità del lavoro si è degradata anche per l'effetto degli impieghi short term. Nell'economia liberista le carriere non esistono più, nessuno riesce a sviluppare competenze saltando di continuo da un posto all'altro. Nessun datore fa investimenti a lungo termine, offre training. Il risultato è un percorso accidentato, casuale, fatto di frammentazione, mediocrità. Il nostro senso d'identità ne esce danneggiato.
(Richard SENNETT, 1943, sociologo statunitense, dichiarazione a Mara Accettura, La chiave inglese e la manutenzione dell'anima, ‘Io Donna', 12 dicembre 2009).

RIMPROVERARE, ma le sfuriate servono (?) solo a noi (665)
Uno di noi faceva da consulente all'allenatore di una squadra di baseball della Major League, i Chicago Clubs. La discussione si incentrava sul rimprovero che aveva ricevuto un giocatore per non aver rispettato il segnale di lanciare una palla smorzata. L'allenatore l'aveva pesantemente redarguito di fronte ai compagni.
Quando gli fu chiesto di spiegare la logica che aveva ispirato quella pubblica lavata di capo, l'allenatore rispose che l'aveva fatto per insegnare a quel giocatore e, più ancora, agli altri, che cosa non dovevano fare in futuro. Scavando, si capì che in realtà non voleva che gli altri lo considerassero un debole. Era ‘il capo' e voleva essere rispettato attraverso la piena adesione alle sue direttive. Ammettiamo pure che il giocatore avrebbe dovuto obbedire al segnale. Ma quali alternative alla sfuriata avrebbero prodotto dei risultati più efficaci per l'allenatore, per il giocatore e per la squadra?
Sono ben poche le circostanze in cui i rimproveri in pubblico risultano vantaggiosi. In questo caso, è giusto che ci siano delle conseguenze negative per il giocatore, ma non una pubblica lavata di capo, perché crea un atteggiamento difensivo, resistente e timoroso che lo induce a sentirsi vittima di un torto (anche se ha sbagliato). La reazione naturale del giocatore a una critica pubblica potrebbe consistere nel cercare delle scuse, nell'accusare l'allenatore o nel chiudersi difensivamente a qualunque eventuale feedback costruttivo. Coloro che assistono alla sceneggiata non pensano: In futuro starò più attento ai segnali. Pensano: Poveraccio, sono contento di non essere al suo posto... L'allenatore non si comporta correttamente... Commette anche lui degli errori, come tutti noi... Se mai lo facesse a me...
Invece di produrre un'utile esperienza di apprendimento sull'esigenza di rispettare i suoi segnali, l'allenatore ha intaccato la propria credibilità, ha introdotto un elemento di paura in una situazione di apprendimento e ha spinto gli altri a vedersi nel compagno, probabilmente l'ultima cosa che voleva fare. In effetti, è riuscito a trasferire la sua paura su coloro che lo circondavano, sotto le spoglie dell'insegnamento e dell'autorità. A peggiorare la situazione c'è il fatto che il «Sé-ombra» dell'allenatore non è stato riconosciuto né esaminato. Il suo lato oscuro si è rivelato nel timore di apparire troppo tenero o di perdere il controllo attraverso un atteggiamento soft. Queste paure gli hanno impedito di prendere in considerazione dei comportamenti alternativi.
Una soluzione che funziona quasi sempre in queste situazioni è prendere in disparte la persona (senza farsi sentire dagli altri, ma non necessariamente sottraendosi al loro sguardo) e, dopo averne ascoltato il punto di vista, farle la ramanzina se è ancora il caso. Con questo approccio, la dignità del giocatore rimane intatta e riceve il messaggio senza la tensione che comporta una scenata pubblica. Gli altri giocatori vedono quali sono le conseguenze che derivano dalla mancata adesione alle direttive dell'allenatore e sanno che in circostanze analoghe saranno trattati con altrettanta discrezione. Quando gli è stata presentata questa proposta alternativa, il coach ha commentato: «Forse ha ragione, ma adesso i giocatori sanno chi comanda».
(Drea ZIGARMI, Kenneth BLANCHARD, Michael O'CONNOR, Carl EDEBURN, statunitensi, esperti di leadership e consulenti di direzione, Essere leader. L'importanza di conoscere se stessi per guidare gli altri, 2005, Sperling & Kupfer, Milano, 2006).

LEADER, quando la risposta è giusta (666)
Penso di potere affermare che nella piccola isola che noi chiamiamo la Filarmonica realizzai una condizione di autentica ‘civiltà' - il rispetto tra uguali.
Spero che non sia stata un'illusione.
Non dovetti mai dire una sola parola negativa. Anche nelle situazioni difficili e delicate, spiegavo i miei punti di vista all'orchestra. Non li imponevo. La risposta giusta, se forzata, non è la stessa della risposta giusta che scaturisce dalla convinzione.
(Carlo Maria GIULINI, 1914-2005, già direttore dell'orchestra filarmonica di Los Angeles, citato da Warren Bennis e Burt Nanus, Leader. Anatomia della leadership, 1985, FrancoAngeli, Milano, 1987).

RESA, per entrare in contatto sospendere il giudizio (667)
Senza pretendere di trarne una conseguenza universale, credo comunque che il contatto con l''altro', a qualsiasi latitudine, inizi con un gesto di resa incondizionata: la rinuncia a propri schemi e abitudini, liberandosi dall'inconfessata certezza che la realtà sia univoca e unidimensionale, e che tutto possa venire interpretato da un solo modo di guardare.
L'ingrediente più nefasto della cultura occidentale credo sia proprio questa nostra ormai istintiva consuetudine ad analizzare e giudicare, filtrando i comportamenti altrui attraverso una rete di convenzioni che ci illudiamo siano assolute e scontate.
(Pino CACUCCI, 1955, scrittore, La polvere del Messico, Feltrinelli, Milano, 1995).

RISPETTO, per persone e luoghi (668)
Purtroppo è ormai pratica corrente nelle università americane tollerare che gli studenti partecipino alle lezioni senza il dovuto rispetto: possono mangiare mentre il professore spiega, presentarsi in ciabatte da piscina, tenere i piedi sui banchi, rispondere al cellulare. Non ho mai permesso nulla del genere perché ritengo che fra i doveri di un docente ci sia anche quello di insegnare il rispetto per le persone e per i luoghi, spiegando, se necessario, perché il rispetto è doveroso. Ma temo di essere ormai un ‘sorpassato'.
(Maurizio VIROLI, 1952, professore emerito di Teoria Politica all'università di Princeton, rubrica ‘lettera dal campus', ‘Specchio', 10 gennaio 2004).

TEMPO, semplicemente per ‘essere lì' (669)
Nel paesaggio sociale di un mondo sempre più organizzato è necessario salvare alcune zone dalle costrizioni materiali, conservandole libere e disponibili come regni sacri di vuoto creativo, in cui improvvisamente balenano rapporti e interconnessioni di cui altrimenti non ci accorgeremmo. Come in un paesaggio sono necessarie zone prive di edifici, anche nella nostra quotidianità abbiamo bisogno di spazi e di tempi in cui noi semplicemente siamo lì, disponibili. Allora anche le vere costrizioni materiali perdono il carattere di dolorose identificazioni. Ci risvegliamo dall'ipnosi sociale che ci ha fatto confondere i nostri innumerevoli doveri con la vita stessa.
(Peter SCHELLENBAUM, 1939, teologo e psicoanalista svizzero di matrice junghiana, La ferita dei non amati, Red Edizioni, 1991).

QUELLI SOPRA, ucciderli è semplice (670)
« ... Io non credo che la cosa più importante sia stare sopra gli altri. Per uccidere quelli che stanno sopra di te basta una cosa». «Cosa?» «L'indifferenza».
(Francisco GONZÁLEZ LEDESMA, 1927-2015, giornalista e scrittore spagnolo, Storia di un Dio da marciapiede, romanzo, 1991, Giano Neri Pozza Editore, 2009).

Massimo Ferrario, consulente di formazione e di sviluppo organizzativo, responsabile di Dia-logos 

 

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